Juan Ayuso: "IL PODIO NON MI BASTA"

Il ragazzo d’oro «L’Italia nel cuore Contador un mito»

Lo spagnolo debutta a 22 anni per dare alla Uae il bis dopo Pogacar: «Qui per vincere, pronto a sfidare Roglic»

7 May 2025 - La Gazzetta dello Sport 
Di Ciro Scognamiglio - INVIATO A TIRANA (ALBANIA)

Non è mai troppo presto per coltivare le ambizioni più grandi. E per realizzarle, neppure. Juan Ayuso lo sa benissimo, perché da sempre è accompagnato dalla fama del predestinato: un privilegio che però bisogna essere bravi a confermare, altrimenti si rischia l’effetto-boomerang, cioè che diventi una zavorra tale da rendere impossibile spiccare il volo. Ma questo ragazzo spagnolo per ora sta pedalando nella direzione giusta, se è vero che a 22 anni debutta al Giro d’Italia già dalla prima fila nei pronostici, al fianco di una vecchia volpe come Primoz Roglic che lo ha battuto nell’ultimo scontro diretto, a fine marzo in Catalogna. E peraltro da mesi – impreziositi da successi di valore, in primis quello alla Tirreno-Adriatico – Ayuso tutto fa tranne che nascondersi: «Al Giro vengo per vincere», è il suo biglietto da visita a parole. Adesso che al via di Durazzo, Albania, mancano solo due giorni, è giunto il momento di approfondire.

- Juan, anzitutto perché la scelta del Giro?

«Era un’idea che avevo già lo scorso anno, ma la squadra poi decise per il Tour e non ci fu molto da discutere. Ora, avendo già partecipato al Tour e alla Vuelta due volte, a maggior ragione era il Giro il mio desiderio più grande. Insomma, mi mancava. Ci tenevo ancor prima di conoscere il percorso del 2025».

- Ha vissuto nella Bergamasca quando correva da dilettante con la Colpack, vincendo tra l’altro il Giro dei giovani 2021. Ci racconta la sua Italia?

«Non è stato un periodo lunghissimo. Cinque, sei mesi. Ma è stato molto bello, sono stato davvero bene. Lo considero un vero passo fatto per crescere e maturare, dopo essere stato uno junior. E poi, è stata la prima volta che ho vissuto lontano dai miei genitori, il primo cambio grande della vita. In un certo senso, è in Italia che per me è cominciato tutto davvero, è stato come passare dall’essere bimbo ad adulto».

- Dicono spesso che Spagna e Italia siano simili. Per lei è così?

«Sì, e credo sia per questo che ambientarsi è stato facile. Li separa geograficamente la Francia, ma credo che siano i due Paesi d’Europa che si somiglino di più».

- Piccolo test: non è che la pista e la pizza le piacciono ora più della paella?

Sorride. «Beh, no. Sa, ho origini anche valenciane... Ma conosco quel detto secondo il quale senza il miglior olio d’oliva no hay vida, non c’è vita, e in questo Italia e Spagna sono il top».

- Lei è arrivato terzo alla Vuelta 2022 pochi giorni prima di compiere 20 anni. Tra il 2023 e il 2024 si è ripetuto a livelli sicuramente buoni, ma forse non come ci si aspettava. Che cosa ne pensa?

«Che è proprio così. Ho avuto degli intoppi. Nel 2023, per una lesione, non ho toccato la bici per tre mesi. Nel 2024, ho contratto il Covid e soprattutto non ho avuto continuità. Quando raggiungevo il livello che volevo, mi dovevo fermare e ricominciare da capo o quasi. Per questo, al 2025 ho chiesto soprattutto di ritrovare la continuità perduta, di non avere malanni o altri tipi di imprevisti».

- Senza dubbio ha la mentalità del vincitore, quella di volere fortemente diventare il migliore. E con la UAE Emirates-XRG ha un contratto fino al 2028. Ma visto ce l’ha anche, e fino al 2030, il numero uno al mondo Tadej Pogacar, non pensa che questa potrebbe essere una grande limitazione?

«No. Io vivo questa situazione in un altro modo. Finora, in squadra ho sempre e solo avuto belle opportunità e libertà, tranne che al Tour 2024 quando eravamo tutti per Tadej. E lo stesso sta succedendo nei mesi precedenti al Giro. Lui non è un rivale, ma un modello. E come ho già detto, lo considero il Messi del ciclismo. All’ultimo Tour non ho potuto aiutarlo, ma ne abbiamo parlato e ci siamo chiariti».

- È vero che è un grande appassionato dell’allenamento?

«Diciamo che so quanto sia importante per arrivare al massimo. E so pure che ora non posso fare per prepararmi le stesse cose che facevo a 18 anni, perché tutto si evolve e ogni anno in gruppo il livello medio si alza. Dunque, bisogna aggiornarsi per essere sempre all’altezza».

- Ha studiato il percorso del Giro?

«Sì. La terza settimana è la più difficile, con differenza sulle altre. Ma già qui in Albania bisognerà essere pronti, in forma. È un tracciato bello che si adatta a me. Sono convito pure di avere i compagni più forti».

- Se non vincesse, lo considererebbe un fallimento?

«No. Ma, allo stesso tempo, non dico che mi accontenterei di un podio. Sarebbe una delusione non terminare nei primi tre perché lo si potrebbe considerare un passo indietro».

- Sa chi sono gli spagnoli che il Giro l'hanno vinto?

«Sì, sì. Indurain e Contador. So anche che non troppo tempo fa Purito Rodriguez non ce l’ha fatta per poco (nel 2012, perse la rosa da Hesjedal l’ultimo giorno a cronometro; ndr)».

- Contador è sempre stato il suo idolo…

«Sì, e io ho iniziato a fare sul serio con il ciclismo proprio nel 2015, quando Alberto vinse contro Aru e Landa. Ricordo benissimo la sua scalata del Mortirolo. Tra lui e Landa, due spagnoli, tifavo per lui. E tra l’altro credo che Landa sarà protagonista al Giro ancora quest’anno...».

- Ci parli dell’Ayuso che non va in bici. Che cosa ama fare?

«Chiaramente, passare del tempo con la cagnolina Trufa, che spesso vedete pure alle corse. In italiano significa tartufo. Ora vivo ad Andorra con la mia fidanzata Laura. Faccio una vita parecchio tranquilla, quando me lo posso permettere diciamo che indugio sul divano».

- Ha modelli sportivi che non siano ciclisti, a parte Kobe Bryant e la sua Mamba mentality?

«Seguo molto la Formula 1, e dunque non posso non dire Fernando Alonso. Anche se ero piccolissimo quando ha vinto i suoi due Mondiali».

- Due anni le chiedemmo se la potevamo considerare l’Alcaraz del ciclismo e disse che era troppo presto. Ora?

«Idem. È più giovane di me, è stato numero uno al mondo, ha vinto 4 Slam. Dunque, è ben più avanti. Mettiamola così: speriamo che il confronto si possa riproporre davvero, in un futuro non troppo lontano».

***

La scheda 
JUAN AYUSO

Nato a Barcellona il 16 settembre 2002, è alto 1.83 per 65 chili. 
Da dilettante, primo al Giro dei giovani 2021 con la maglia dell’italiana Colpack. 
Pro’ dal 2022 con la UAE Emirates-XRG di Tadej Pogacar, ha un contratto fino al 2028. 
Conta 13 successi, tra cui la Tirreno-Adriatico (con una tappa) e il Trofeo Laigueglia 2025; due tappe al Giro di Svizzera 2023. 
Alla Vuelta, terzo nel 2022 e quarto nel 2023. Ritirato al Tour 2024, non ha mai corso il Giro d’Italia. 

***

LA PARTITA A SCACCHI TRA LE GRANDI SQUADRE
Bernal senza italiani

Il duello uomo contro uomo in salita, a cronometro, e anche dove meno te l’aspetti. Ma il Giro d’Italia sarà pure una sfida di blocchi, una partita a scacchi tra le squadre.

Titoli 

Prendiamo la Red Bull-Bora-Hansgrohe: ci sono il vincitore del Giro 2022, Jai Hindley, quello del 2023, Primoz Roglic, il 2° della scorsa edizione, Dani Martinez, e la giovane rivelazione sempre del 2024, Giulio Pellizzari... Tutto (anche) per invertire la tendenza che ha vinto la squadra troppo lontana dalle prime posizioni nei Monumenti di primavera. Quanto a Roglic, salta all’occhio un dato. Dal 2019, ha preso parte a 12 grandi giri: in quattro occasioni si è ritirato, ma quando è arrivato alla fine non ha mai fatto peggio del 3° posto e 5 volte ha vinto

In casa UAE Emirates-XRG, l’obiettivo dichiarato è confermare il titolo 2024 firmato Tadej Pogacar: e se Juan Ayuso non rispondesse alle attese, è pronto Adam Yates, capace di chiudere 3° il Tour 2023. Con Rafal Majka che pur a 35 anni resta uno dei migliori “ultimi uomini” in salita.

Rapporti 

Non sarà semplice il compito di Antonio Tiberi, che parte per migliorare il quinto posto del 2024, ma la sua Bahrain-Victorious ha scelto un buon blocco al suo fianco. E il riferimento non è solo a Damiano Caruso, su cui si può puntare a occhi chiusi (secondo al Giro 2021, ultimo italiano sul podio di un grande giro). Una garanzia è Pello Bilbao, capace già di due quinti posti al Giro – 2020 e 2022 – e di arrivare 6° al Tour 2023. Quanto alla Lidl-Trek di Giulio Ciccone, non si dichiarano ambizioni di classifica generale, almeno in partenza: ma stiamo parlando del miglior team (dopo la UAE) di questa prima fase di stagione, e dunque vanno seguiti con attenzione. Già in Albania: Ciccone a parte, Mads Pedersen è un serissimo candidato alla prima rosa e Vacek può stupire sabato a cronometro.

Forze 

La Ineos-Grenadiers non è più il blocco dominante che vinceva 7 Tour su 8 tra il 2012 e il 2019: l’ultimo grande giro vinto è ancora il Giro firmato Bernal nel 2021. Però la parabola discendente sembra essersi interrotta e proprio il colombiano torna alla corsa dopo 4 anni. Le punte sono due, perché l’olandese Thymen Arensman ha ben impressionato al Tour of the Alps (2°). Senza Ganna e Puccio, non ci sono italiani. 

Infine, la Visma-Lease a Bike: arriva un po’ a fari spenti Simon Yates, che un Giro nel 2018 lo stava vincendo prima di “saltare” (sul Colle delle Finestre, ndr) sotto i colpi di Chris Froome, mentre il debutto di Wout Van Aert è attesissimo. Se dopo infortuni e cadute finalmente riuscisse a sbloccarsi vincendo, potrebbe non fermarsi più.

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