Baghdad FC, un calcio al regime
In un libro-inchiesta «La tragedia del calcio nell’Iraq di Saddam» Hussein. Studio sui rapporti tra politica e pallone in un Paese in cui il ministro dello Sport, nonché presidente del Comitato Olimpico Nazionale, era il sadico Uday, primogenito del dittatore
di Christian Giordano, Guerin Sportivo (2006)
«Questo libro racconta di come il calcio si è sviluppato in Iraq e di come Uday lo abbia praticamente distrutto». Lo scrive nella prefazione l’autore, Simon Freeman, 40enne freelance inglese di The Sunday Times, The Herald Tribune, The Guardian, Vanity Fair, The Times. Uscito nell’edizione italiana in aprile, il volume segue un’altra coraggiosa scelta della Isbn Edizioni, la traduzione di Ajax, la squadra del ghetto - Il calcio e la Shoah, saggio del cronista olandese Simon Kuper. Là, strazianti storie di collaborazionismo e deportazione nazista. Qua, giocatori – come il difensore della nazionale Sharar Haydar, 40 caps e la partecipazione a Seul 88 – frustati ai piedi con cavi metallici (20 volte al giorno per tre giorni a pane e acqua, variante della pena corporale araba denominata falaqa) e costretti a calciare palle di cemento armato, internati e percossi per un rigore sbagliato, una sconfitta, la “eccessiva” popolarità, condannati a morte per un autogol. Per diciannove anni Uday Hussein ha fatto arrestare, torturare e uccidere calciatori, arbitri, dirigenti e giornalisti. Una storia di sport e dolore come lettera a una nazione mai nata. Un Paese composto da etnie, confessioni, interessi e culture inconciliabili tracciato su carta dai colonizzatori inglesi e «nromalizzato» a forza dagli angloamericani: non un nuovo Vietnam, ma una polveriera al cui confronto la ex Jugoslavia è una innocua girandola di Capodanno. Aveva ragione Colin Powell, dimessosi da Segretario di Stato degli USA a novembre 2004, che già nell’agosto 2002 aveva avvertito il proprio presidente George Bush Jr: il difficile non era destituire Saddam, bensì cosa fare dell’Iraq dopo, visto che «si sarebbe frantumato come un bicchiere di cristallo». Come denominatore comune, il pallone come specchio impietoso della ferocia dei regimi.
Nel 2003, con la caduta di Saddam Hussein in Iraq finisce anche il regno dispotico del sadico Uday Hussein, primogenito che il dittatore aveva messo a capo del dicastero dello sport e del Comitato Olimpico Nazionale. Un periodo segnato da torture e soprusi di ogni tipo, e nel quale la nazionale irachena tagliava un traguardo dopo l’altro: dalla storica qualificazione ai Mondiali di Messico 86, alla finale per la medaglia di bronzo persa contro l'Italia alle Olimpiadi di Atene del 2004.
Diviso in tredici capitoli, il racconto è incentrato su alcune figure-chiave e drammatici fatti del football iracheno. Da Ammo Baba, controverso “Pelé del mondo arabo” e da cinquant’anni, prima da giocatore poi da allenatore, uomo simbolo del calcio locale ma anche del regime, al tedesco Bernd Stange, ex Ct della Germania Est e in passato collaboratore della Stasi, giunto sulla panchina dell’Iraq, nell’ottobre 2002, «perché nessun altro mi ha offerto un contratto» ed esposto al pubblico ludibrio da parte degli occidentali per una (innocente?) foto accanto a Saddam. Dalla partita, nella stagione 1984-85, durata mezz’ora in più per far vincere la squadra dell’esercito in modo da «risollevare le sorti del paese», al messaggio recapitato a un arbitro durante l’intervallo di una gara: «La tua vita dipende da “un certo tipo” di risultato»? In pochi minuti, due espulsi negli avversari, la formazione dell’Aeronautica, e ovvio finale. Chi si opponeva, come Furat Ahmed Kadoim, passava attraverso il trattamento completo fornito dagli “insegnanti” nelle 15 celle al primo piano del quartier generale di Uday: il palazzo del Comitato Nazionale Olimpico iracheno, in Palestina Avenue, a Baghdad. Per i più riottosi, corsi intensivi al carcere di Radwaniya, a circa 25 km dalla capitale.
A voler trovare il pelo nell’uovo, la ricerca compiuta da Freeman ha due difettucci. La caotica presentazione e il mancato sopralluogo sul posto. La prima si spiega con il cambio in corsa del progetto, dal documentario tv (non andato in porto) al libro-inchiesta. Il secondo con gli ovvi motivi di sicurezza e il costo della guardia del corpo: mille sterline al dì, e senza la garanzia di portare a casa la pellaccia.
Troppo, per poter capire e raccontare meglio un Paese matto per il calcio. Per festeggiare la storica qualificazione alle Olimpiadi del 2004 i giocatori della nazionale si rifiutarono di usare la bandiera di fresco preparata dai sottoposti di Paul Bremer, capo dell’Autorità Provvisoria della Coalizione. Cambiarono la grafia della scritta «Dio è grande» sulla bandiera (si sospettava fosse la grafia di Saddam) ed esultarono con i propri colori tradizionali. Un successo sportivo del popolo iracheno: non di Saddam e neppure degli americani, che mai hanno inteso fino in fondo quanto conti, da quelle parti, un pallone non ovale calciato coi piedi. L’unica cosa capace di accomunare – purtroppo senza affratellare – sunniti, sciiti, curdi, assiri ed ebrei.
Quando i soldati di Bush parcheggiarono i propri carri armati nello stadio nazionale, Ammo Baba, vero nome Emmanuel Baba Dawud, aggredì così i militari: «State facendo di tutto per rendere impossibile la rinascita del nostro calcio. L’unica cosa che desidero è che ve ne andiate da questo stadio».
Non vi fossero mai entrati o l’avessero subito lasciato, forse la chiosa scelta da Freeman sarebbe suonata meno ottimistica: «Un giorno l’Iraq sarà “normalizzato”. Bombe e rapimenti avranno fine. Il Paese potrà anche smembrarsi, ma ci sarà pace. Si giocherà a calcio, come si è sempre fatto. Ma ci vorrà del tempo».
Christian Giordano, Guerin Sportivo (2006)
I 13 capitoli:
1. Un tedesco di nome Stange
2. Il progetto televisivo che non andò in porto
3. La fine di Uday
4. I pericoli della rete
5. La leggenda di Ammo Baba
6. Il complotto di Penmarc’h
7. La storia di Ammo
8. Parlano le vittime
9. Il Goodwill Tour finisce male
10. Racconti dell’orrore
11. Arrivano i rinforzi, da un generale, uno studioso, un avvocato e dal signor Fatfat
12. Ammi ci ripensa; i ragazzi in Grecia si comportano bene
13. Il gioco continua
Simon Freeman
Baghdad Football Club
La tragedia del calcio nell’Iraq di Saddam
Isbn Edizioni, 304 pagine, 18 euro
traduzione di Gianmaria Pastore; revisione di Massimiliano Galli
aprile 2006
titolo originale: Baghdad FC: Iraq’s Football Story – A Hidden History of Sport and Tyranny, John Murray General Publishing Division, 2005
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