Kuijt & Kalou, robe di Kappa Kappa
Guerin Sportivo © (2006)
In Olanda di questi tempi fa notizia il KKK, ma niente paura, qui fortunatamente cappucci bianchi, linciaggi e croci bruciate non c’entrano nulla; KKK è l’acronimo di Koeman-Kalou-Kuijt, il trio sul quale il Feyenoord sta facendo affidamento per tornare a vincere uno scudetto che in bacheca manca ormai da sei anni.
Le parti sono assegnate: Erwin Koeman è il tecnico emergente, Salomon Kalou il talento, Dirk Kuijt il bomber. Se però il giovane Kalou pare essersi un po’ montato la testa e quest’anno finisce sulle prime pagine dei giornali sportivi più per l’infinita querelle che lo vede opposto al Ministro dell’Immigrazione Rita Verdonk (c’è di mezzo una poco credibile naturalizzazione che quest’ultima non intende concedergli) che per le imprese in campo, gli altri due le copertine se le sono guadagnate per ragioni squisitamente sportive.
Erwin Koeman, al primo anno sulla panchina del club di Rotterdam, si sta dimostrando un tecnico preparato e pragmatico, capace di proporre un calcio spiccatamente offensivo senza per questo trascurare la fase difensiva (come invece faceva il suo predecessore Ruud Gullit) e di ricavare il meglio da una squadra complessivamente inferiore, in termini di qualità ma anche di risorse economiche, ai vari Az Alkmaar, Ajax e Psv Eindhoven, lanciando anche qualche giovane interessante (Serginho Greene, Diego Biseswar e soprattutto il centrocampista canadese Jonathan de Guzman).
Fedele al motto “geen woorden maar daden” (“fatti, non parole”) che da sempre ha accompagnato il Feyenoord, e prima ancora la città di Rotterdam, il pur notevole lavoro di Koeman perderebbe in efficacia almeno il cinquanta per cento senza un giocatore come Dirk Kuijt, leader indiscusso della squadra e uomo nuovo del calcio olandese.
Le parti sono assegnate: Erwin Koeman è il tecnico emergente, Salomon Kalou il talento, Dirk Kuijt il bomber. Se però il giovane Kalou pare essersi un po’ montato la testa e quest’anno finisce sulle prime pagine dei giornali sportivi più per l’infinita querelle che lo vede opposto al Ministro dell’Immigrazione Rita Verdonk (c’è di mezzo una poco credibile naturalizzazione che quest’ultima non intende concedergli) che per le imprese in campo, gli altri due le copertine se le sono guadagnate per ragioni squisitamente sportive.
Erwin Koeman, al primo anno sulla panchina del club di Rotterdam, si sta dimostrando un tecnico preparato e pragmatico, capace di proporre un calcio spiccatamente offensivo senza per questo trascurare la fase difensiva (come invece faceva il suo predecessore Ruud Gullit) e di ricavare il meglio da una squadra complessivamente inferiore, in termini di qualità ma anche di risorse economiche, ai vari Az Alkmaar, Ajax e Psv Eindhoven, lanciando anche qualche giovane interessante (Serginho Greene, Diego Biseswar e soprattutto il centrocampista canadese Jonathan de Guzman).
Fedele al motto “geen woorden maar daden” (“fatti, non parole”) che da sempre ha accompagnato il Feyenoord, e prima ancora la città di Rotterdam, il pur notevole lavoro di Koeman perderebbe in efficacia almeno il cinquanta per cento senza un giocatore come Dirk Kuijt, leader indiscusso della squadra e uomo nuovo del calcio olandese.
Le cifre, pur importanti (a fine dicembre siamo a quota 98 reti realizzate in tre stagioni e mezzo, considerando tutte le competizioni, nazionale compresa), non rendono pienamente giustizia al lavoro svolto in campo da questo giocatore capace, partendo da prima punta, di svariare su tutto il fronte offensivo e all’occorrenza di sacrificarsi anche in copertura, giocando da centrocampista puro. Non solo gol quindi, ma anche assist e tanta quantità. Kuijt (si pronuncia “Kaet”, con la e quasi muta) non possiede né la tecnica sopraffina di Robin van Persie, né lo scatto esplosivo e il dribbling di Arjen Robben, ma a queste sopperisce con uno spirito di sacrificio e una duttilità tattica (oltre che ovviamente con una capacità realizzativa non indifferente) tali che lo hanno reso una pedina inamovibile della nuova Olanda di Marco van Basten, tanto da risultare, dopo Edwin van der Sar, il giocatore più utilizzato (precisamente 11 volte, per un totale di 979 minuti giocati, 3 gol, 3 assist e 55 palloni recuperati, cifra altissima per un attaccante) nel corso delle qualificazioni ai Mondiali. Solitamente schierato come attaccante esterno nel 4-3-3 dell’Olanda, nell’ultimo incontro degli oranje, perso 3-1 con l’Italia, van Basten lo ha provato come prima punta e Kuijt non ha sfigurato, proponendosi come alternativa più credibile alle lune di Ruud van Nistelrooy rispetto ai vari Jan Vennegoor of Hesselink (poco prolifico), Roy Makaay (che, mistero della fede, in arancione ha quasi sempre toppato) e Pierre van Hooijdonk (splendido artista del calcio piazzato – altro che Pirlo e Beckham, vedere per credere – i cui 36 anni però cominciano a farsi sentire).
La storia di Dirk Kuijt presenta diverse analogie con quelle di un altro uomo nuovo del calcio europeo, il nostro Luca Toni. Una carriera costruita da entrambi passo dopo passo, con fatica, tanti sacrifici e l’ambizione giusta per emergere. Erano bravi quando giocavano in provincia, ma non così tanto da scomodare nugoli di osservatori; avevano talento, ma anche qualche pecca a livello tecnico e in ben pochi avrebbero scommesso che i due sarebbero riusciti ad arrivare così in alto.
Perché giocare nel Feyenoord o nel Palermo, quindi con visibilità internazionale pressoché nulla (i rosanero nelle coppe ci sono entrati quest’anno, i biancorossi di Rotterdam da tre anni non riescono a superare i sedicesimi di Uefa), e trovarsi candidati come migliori attaccanti del 2005 accanto a gente come Henry, Shevchenko, Eto’o, Ibrahimovic, Adriano e Drogba, se non significa essere al top, poco ci manca. E infine mai una polemica, nessuna concessione alle cronache rosa e, nel caso di Kuijt, anche impegno sociale (gestisce con la moglie Gertrude la Dirk Kuijt Foundation, che si occupa di progetti sportivi per bambini del Terzo Mondo e disabili); non c’è poi da stupirsi se la gente apprezzi più loro di tanti celebrati campioni, o presunti tali, che oramai riempiono più le pagine delle riviste patinate che quelle sportive.
Perché giocare nel Feyenoord o nel Palermo, quindi con visibilità internazionale pressoché nulla (i rosanero nelle coppe ci sono entrati quest’anno, i biancorossi di Rotterdam da tre anni non riescono a superare i sedicesimi di Uefa), e trovarsi candidati come migliori attaccanti del 2005 accanto a gente come Henry, Shevchenko, Eto’o, Ibrahimovic, Adriano e Drogba, se non significa essere al top, poco ci manca. E infine mai una polemica, nessuna concessione alle cronache rosa e, nel caso di Kuijt, anche impegno sociale (gestisce con la moglie Gertrude la Dirk Kuijt Foundation, che si occupa di progetti sportivi per bambini del Terzo Mondo e disabili); non c’è poi da stupirsi se la gente apprezzi più loro di tanti celebrati campioni, o presunti tali, che oramai riempiono più le pagine delle riviste patinate che quelle sportive.
Dirk Kuijt è nato il 22 giugno 1980 a Katwijk aan Zee, piccola cittadina di pescatori nella provincia del Zuid-Holland che durante la Seconda Guerra Mondiale fu scelta dal Feldmaresciallo Erwin Rommel come punto di partenza di quel Vallo Atlantico poi mai pienamente completato. Terzo di quattro figli, padre marinaio, Kuijt ha diviso la sua infanzia tra il calcio, che ha iniziato a praticare a cinque anni entrando tra le fila dei Quick Boys di Katwijk, e il mare, optando definitivamente per il primo a dodici anni quando le lunghe uscite nel Mare del Nord erano divenute impossibili da conciliare con gli allenamenti settimanali e con la partita del sabato. Il passaggio al professionismo arriva cinque anni dopo, grazie alla… profonda rivalità che divide i due club dilettantistici di Katwijk, il Quick Boys e il VVK. Tutto ha inizio quando l’attaccante titolare dei Quick Boys, Pieter Slootweg, annuncia la sua intenzione di trasferirsi nell’altra squadra cittadina e viene messo fuori rosa. Il suo posto al centro dell’attacco viene preso dal giovane Kuijt, che impiega meno di sette partite per convincere l’Utrecht a offrirgli un contratto. A seguire, la classica gavetta, una prima stagione giocata da riserva (esordisce in Eredivisie il 30 agosto 1998 in Utrecht-Cambuur Leeuwaarden 3-0, subentrando a cinque minuti dalla fine al bomber della squadra, Micheal Mols), altre tre da titolare senza grandissimi sussulti (segna 20 reti in tre campionati e fa il suo esordio in Europa il 20 settembre 2001, Utrecht-Grazer 3-0, primo turno di Coppa Uefa), quindi l’esplosione nel 2002-2003 con il nuovo tecnico Foeke Booy, che porta la squadra alla conquista della Coppa d’Olanda. Di quell’Utrecht Kuijt è il capocannoniere (20 gol) e il leader, come dimostra anche nella finale di Coppa d’Olanda, vinta a sorpresa 4-1 (il nostro segna la quarta rete) in trasferta sul Feyenoord, il club che aveva già perfezionato l’acquisto del giocatore per la stagione successiva. «Volevo presentarmi ai miei nuovi tifosi come un vincente», è il suo lapidario commento.
Con il Feyenoord nuovi trofei non se ne vedono, ma non mancano gol (20 il primo anno, 29 il secondo – 36 se consideriamo anche quelle in Coppa Uefa e in Coppa d’Olanda – e il titolo di capocannoniere), alto rendimento (terzo classificato come giocatore olandese dell’anno stagione 2004/2005) e soddisfazioni personali (l’esordio in nazionale il 3 settembre 2004 in Olanda-Liechtenstein 3-0, la prima rete il 9 ottobre dello stesso anno in Macedonia-Olanda 2-2). Nell’estate del 2005 sembra vicino un suo trasferimento in Inghilterra (Tottenham o Liverpool), ma Kuijt decide di rimanere un altro anno a Rotterdam «per cercare di vincere qualcosa con una squadra che mi ha dato tanto». La sua partenza però è solamente rinviata. A dicembre si è parlato di Real Madrid che voleva farne come possibile sostituto di Raul, ma la notizia ha lasciato piuttosto perplessi. Certamente il buon Florentino Pérez non avrebbe problemi a scucire i 15 milioni di euro chiesti dal Feyenoord, ma Kuijt non sembra rientrare pienamente nei canoni del giocatore-tipo del Real; troppo poco glamour, e troppo di sostanza. Le camisetas delle Merengues rimarrebbero invendute.
La nuova Olanda
Sono tanti i volti nuovi nell’Olanda di Marco van Basten che si è qualificata ai Mondiali senza perdere neanche una partita. C’è il blocco Az innanzitutto, con i vari Mathijsen, Opdam, De Cler, Landzaat, Vlaar (ancora acerbo però), ci sono i gioielli dell’Ajax (Maduro e Babel), quelli del Feyenoord (Kuijt e Castelen) e prossimamente arriveranno anche quelli del PSV (Afellay in primis). Pur non dimenticando i talenti già finiti all’estero (Robben, van Persie, Boulharouz e van der Vaart), a van Basten piace indubbiamente pescare molto in casa propria, e finora i risultati gli hanno dato ragione. Insomma non pesano le assenze dei vari Davids, Stam e Seedorf; per l’ex “Cigno di Utrecht” lo stato di forma dei giocatori conta più di cognome e club d’appartenenza.
Questione di Klaas
Ogni allenatore, pur grande, ha i suoi scheletri nell’armadio. Quello di Guus Hiddink si chiama Klaas Jan Huntelaar, 22 anni, attuale capocannoniere del campionato olandese con 17 reti. Huntelaar è cresciuto nelle giovanili del Psv, ma dopo un anno “formativo” all’Agovv Appeldoorn (26 gol e titolo di capocannoniere della Eerste Divisie), mago Guus ha preferito cederlo a titolo definitivo (per puntare sui deludenti Sibon e Vonlanthen) all’Heerenveen dove la scorsa stagione, la sua prima da titolare in Eredivisie, è finito in doppia cifra (17 reti). Dal primo gennaio di quest’anno si è trasferito all’Ajax. Se anche ad Amsterdam dovesse continuare con questi ritmi, non sarebbe una sorpresa vederlo nella lista dei convocati per Germania 2006.
Christian Giordano ©
Guerin Sportivo © (2006)
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