Ajax 1971-72, così vicini, così lontani


di Christian Giordano ©
Guerin Sportivo © (2003)

Occupandosi di calcio, Giovan Battista Vico si sarebbe divertito. Di corsi e ricorsi, la storia del football è strapiena e alcuni sono davvero affascinanti. Prendete Ajax-Inter di Champions League. Dei giovani «ajacidi» – non chiamateli «lancieri», là non vi capirebbero – di Koeman leggete a parte. Qui riavvolgiamo il nastro della memoria per rievocare l’Ajax vincitutto di trent’anni fa.

Nel 1972, non si parla ancora di Grande Slam ma Cruijff e compagni sono i primi a centrarlo: nello stesso anno solare conquistano campionato e coppa nazionali, Coppa dei Campioni, proprio contro i nerazzurri a Rotterdam, e Coppa Intercontinentale. Manca qualcosa? Sì, la Supercoppa d’Olanda (che ancora non c’era) e quella d’Europa, appena ideata dal quotidiano di Amsterdam De Telegraaf, smanioso di «ufficializzare» la supremazia continentale dei biancorossi; che però si formalizzerà solo nel gennaio ’73, ai danni degli scozzesi del Rangers detentori della Coppa delle Coppe. 
Quello del Grande Ajax è un dominio assoluto. Totale. Come il suo Calcio.

Il palazzo di Buckingham

La testata d’angolo si chiama Johan Cruijff, a posarla, insieme allo “zio Henk”, come Johan chiama affettuosamente il magazziniere del club, per lui una sorta di secondo padre (Cruijff perse il suo a 12 anni), è il tecnico inglese Vic Buckingham. Erede del leggendario connazionale Jack Reynolds, Buckingham nota Cruijff nelle giovanili (74 gol in un anno) e lo prende sotto la sua ala. Lo obbliga ad usare il sinistro, ne frena le tendenze individualistiche e, soprattutto, lo fa allenare con i pesi per irrobustirne il fisico. Con lui, a soli 17 anni e mezzo, Johan esordisce in prima squadra: undicesima giornata, GVAV Groningen-Ajax 3-1. È il 15 novembre 1964. Una nuova era sta per cominciare. Per Cruijff, l’Ajax, la Nazionale olandese e il calcio mondiale. L’era del Total Voetbal.

Michels profeta in patria

Tutto comincia nel gennaio del 1965. L’Ajax, invischiato nella lotta per non retrocedere, licenzia Buckingham rimpiazzandolo con il 38enne Marinus (Rinus) Michels e si salva piazzandosi quartultimo. Ex centravanti del club dal ’45 al ’56, con 5 presenze in Nazionale, Michels, primo olandese a sedere sulla panchina biancorossa, ha fama di duro, sguardo impenetrabile e metodi rivoluzionari. Il suo è un progetto ambizioso: portare l’Ajax nell’élite del calcio internazionale.

Nel giro di quattro anni mette insieme un complesso vincente. Maniaco della preparazione atletica (è insegnante di educazione fisica) e amante della disciplina in campo e fuori (in albergo fa la guardia davanti all’ascensore), Michels trasforma un gruppo di talentuosi ma inesperti «dilettanti» in una superpotenza del calcio mondiale. Con il lui in panchina, l’esplosione di Cruijff in campo e l’avvento in società di un presidente illuminato come Jaap van Praag (1967), per l’Ajax inizia un periodo di straordinari successi. I biancorossi si aggiudicano consecutivamente tre campionati (dal ’66 al ’68) e una Coppa d’Olanda (’67). Michels, oltre che sul giovane fuoriclasse Cruijff (capocannoniere nel ’67 con 33 reti in 34 partite), può contare su validi elementi: le ali Swart e Keizer, i centrocampisti Muller e Pronk, l’attaccante Nuninga e il difensore Van Duivenbode, tutti nazionali. Ma a livello internazionale non basta.

Il Generale alle grandi manovre

Contrariamente al mito che vuole i biancorossi un’allegra brigata di spiriti liberi votati solamente all’attacco, il tecnico costruisce la squadra dalla difesa. La mossa chiave è l’acquisto del «duro» Vasovic, capitano del Partizan Belgrado e della Jugoslavia. Michels ne rimane conquistato a Parigi dove, nel maggio del ’66, ha modo di apprezzarne le doti di leader non solo difensivo – il gol del vantaggio slavo è suo –, nella finale di Coppa dei Campioni vinta per 2-1 dal Real Madrid.

Ma anche con Vasovic a dettare i tempi alla difesa (4 uomini disposti in linea a zona), nel ’66-67 l’Ajax non ha espresso che la metà del proprio potenziale. Il portiere Bals è già anziano, Pronk è un veterano della Nazionale arancione ma ad altissimo livello la sua figura c’entra poco. Cruijff è il miglior giocatore della squadra, ma non può fare tutto da solo. E quando su un telaio comprendente già il terzino Suurbier e la funambolica ala sinistra Keizer, sono promossi titolari talenti quali Gerrie Muhren e Haan a centrocampo, Hulshoff e Krol in difesa e Stuy in porta, arriva il salto di qualità.

Prove tecniche di grandezza

Il primo segnale del nuovo corso arriva il 7 dicembre 1966. In quella che passerà alla storia come «the Fog Game», la partita della nebbia, l’Ajax demolisce per 5-1 il Liverpool del presuntuoso Bill Shankly. Quella gara, che l’arbitro romano Sbardella vuole a tutti i costi far disputare, ha il merito di mettere lo sconosciuto Ajax sulla cartina calcistica d’Europa. Emblematico, in merito, il titolo della Gazzetta dell’indomani: «Liverpool surclassato», così, senza nemmeno scrivere da chi.

Dopo l’impresa contro i «Reds» di Callaghan, Hunt, Lawrence, St. John, Yeats, bloccati sul 2-2 nel ritorno di Anfield Road, nei quarti l’Ajax si fa ingenuamente eliminare dai più deboli ceki del Dukla Praga, che comunque schierano ancora un certo Masopust.

Nella massima competizione continentale ’67-68, il secondo acuto: l’Ajax per poco non elimina, al Bernabéu, il Real Madrid. Le «merengues» non sono più lo squadrone di Di Stéfano e Puskas ma hanno ancora Amancio, Araquistain, Gento, Pirri, Velasquez e Zoco. Gli «ajacidi», per la prima volta televisti in Italia, si arrendono solo ai supplementari. È nata una stella, e ha una maglia stupenda: bianca con al centro un fascione verticale rosso. Per i tempi, originalissima.

Così è se vi Paròn

In Europa le potenzialità del giovane Ajax, squadra ancora in evoluzione, diventano realtà già nella Coppa dei Campioni ’68-69. Superate di slancio Norimberga, Fenerbahçe, Benfica (indimenticabile il 3-0 nello spareggio di Parigi con un Cruijff stellare) e Spartak Trnava, l’Ajax raggiunge la finale col Milan ma perde 4-1. Contro i più esperti rossoneri del «Paròn» Rocco il rischioso 4-2-4 olandese (in attacco, Swart e Keizer alle ali, Danielsson centravanti più Cruijff libero di svariare) dipinge calcio per un’ora prima di cedere al letale contropiede orchestrato da un Rivera in serata di grazia e finalizzato dalla tripletta di Prati e da un assolo di Sormani.

Imparata la lezione, Michels arretra Haan e inserisce in pianta stabile Neeskens fra i titolari, ma l’illuminazione arriva nell’aprile del 1970. Un 3-3 col Feyenoord, che a centrocampo spadroneggia e, soprattutto, la scoppola in Coppa delle Fiere (l’antesignana della Coppa Uefa) contro l’Arsenal (1-3 in una gara che l’Ajax domina territorialmente) lo convincono a correggere il modulo in un più equilibrato 4-3-3. Da lì cambia la Storia.

Tris di Coppe: dei Campioni

Nel 1970 gli «ajacidi» dominano la scena nazionale conquistando campionato e coppa, successo, quest’ultimo, ripetuto nei due anni successivi. Ma incassano lo smacco di vedere il Feyenoord alzare la Coppa dei Campioni, prima formazione olandese a riuscirci.

L’anno dopo il dominio dell’Ajax si allarga al continente. I biancorossi superano agevolmente 17 Nentori Tirana, Basilea, Celtic e Atlético Madrid. E a Wembley si laureano campioni d’Europa superando i greci del Panathinaikos, guidati in panchina dal leggendario Puskas, con un gol di Dick Van Dijk (5’) e un’autorete di Vlahos (87’) su conclusione di Haan innescato da Cruijff. 

Raggiunto il suo obiettivo, Michels va al Barcellona in cerca di pesetas e di nuove sfide. Al suo posto, Stefan Kovacs, 51enne rumeno di Timisoara. Uomo colto e secondo alcuni il vero artefice del Calcio Totale (in realtà Michels scolpisce, lui cesella), Kovacs ha, rispetto al predecessore, idee simili ma metodi opposti. Inflessibile e accentratore Rinus, accomodante e disposto al dialogo Stefan che, provenendo da un regime, sa apprezzare come nessuno il libertario spirito olandese. Con lui al timone Cruijff, libero di fare quel che vuole, è il vero padrone della squadra e l’Ajax, allentate le briglie ai suoi tanti purosangue, diventa, se possibile, ancora più bello. Vincente lo era già.

L’anno dei miracoli

La stagione seguente, l’en plein. Archiviati campionato e coppa d’Olanda (3-1 all’ADO), l’Ajax elimina Dynamo Dresda, Olympique Marsiglia, Arsenal, Benfica e conquista al De Kuip, lo stadio del Feyenoord, la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva.

L’Inter non è più lo squadrone leggendario dei tempi di Herrera. Arriva alla finale dopo vicende assai rocambolesche come la «partita della lattina» di Mönchengladbach (che il Borussia aveva stravinto 7-1) e, in semifinale, dopo 210’ senza gol, la vittoria sul Celtic ai rigori. Nell’ultimo atto, l’infortunio di Giubertoni dopo neanche un quarto d’ora costringe il tecnico interista Invernizzi a rivedere la difesa. I suoi resistono un tempo, il non ancora ventenne Oriali fa l’impossibile per contenere Cruijff, ma non c’è niente da fare: troppo forte quell’Ajax per l’Inter, troppo forte Cruijff per Oriali. Il numero 14 gli scappa due volte, e sono due gol. Quelli decisivi. Il primo arriva, al 48’, su papera di Bordon che in uscita alta si scontra con Frustalupi, lasciando all’olandese la porta sguarnita e la più facile delle occasioni. Il secondo, al 77’, incornando in splendida elevazione una punizione calciata da Keizer quasi all’altezza della bandierina di sinistra. È una gara senza storia, sia chiaro, ma la fortuna aiuta gli «ajacidi», perché lo spiovente da cui nasce il vantaggio nasce da un rimpallo perso banalmente dai nerazzurri. A quel punto l’attacco interista, votato esclusivamente al contropiede, è una pallottola spuntata. 
(ch.giord)

In cima al mondo

Nel 1971 i biancorossi non avevano partecipato alla Coppa Intercontinentale, delegando per l’insidiosa trasferta sul campo del Nacional di Montevideo l’altra finalista di Londra, il Panathinaikos, poi gentilmente offertosi come agnello sacrificale al feroce agonismo degli uruguaiani. Nel ’72 l’Ajax decide invece che è ora di scrivere la storia. Dopo l’1-1 di Buenos Aires, vantaggio di Cruijff, scientificamente picchiato fino a farlo uscire anzitempo, e risposta di Sá, gli argentini vengono travolti ad Amsterdam, 3-0 con gol di Neeskens e, sempre su lancio di Cruijff, doppietta dell’esordiente Rep, che non uscirà più di squadra.

L’Ajax ’72-73 vive un’altra straordinaria stagione. Oltre alla Supercoppa Europea arriva, per la terza volta consecutiva, la Coppa dei Campioni. Vengono spazzate via CSKA Sofia, Bayern, Real Madrid e, in finale, Juventus. Al “Maracanã” di Belgrado, decide una rete di Rep dopo 5’. Anche qui, una gara a senso unico. È il vertice della parabola del Grande Ajax. L’inizio della fine.

In agosto, Cruijff lascia il club per raggiungere al Barcellona il suo mentore Michels. Il trasferimento, costato 3 milioni di fiorini (un miliardo e 250 milioni di lire dell’epoca), fa scalpore. La partenza del capitano è una brutta botta per la squadra, che in Coppa dei Campioni si fa eliminare al primo turno dai bulgari del CSKA. Nel gennaio del 1974 l’Ajax coglie un altro alloro internazionale, l’ultimo di un irripetibile ciclo di vittorie, strappando al Milan la Supercoppa Europea. Sconfitti per 1-0 a San Siro, gli «ajacidi» si scatenano ad Amsterdam: 6-0. Quel successo è il canto del cigno dei biancorossi. Mai si era vista una squadra dominare la scena internazionale come aveva fatto l’Ajax. E forse non si vedrà più. 
(ch.giord)

La diaspora dei talenti

Il Mondiale del ’74, che l’Olanda chiude al secondo posto fra gli applausi, si rivela una splendida vetrina per i giocatori dell’Ajax. Neeskens raggiunge Cruijff e Michels al Barcellona. In Spagna vanno anche Rep (Valencia) e Gerrie Muhren (Betis Siviglia). Haan parte per il Belgio, destinazione Anderlecht. Kovacs, sostituito dal «morbido» George Knöbel, va a dirigere la Nazionale francese. Il tedesco Blankenburg fa ritorno in patria firmando per l’Amburgo e nella Bundesliga approda anche Suurbier, in maglia Schalke 04. Keizer, all’ennesimo grave infortunio, si ritira. Hulshoff è più in infermeria che in campo. Della vecchia guardia rimane il solo Krol, che da terzino sinistro diventa uno dei migliori liberi del mondo. Intorno a lui sarà rifondata la squadra. Oggi come allora, l’Ajax dei giovani dovrà ripartire da zero. 
(ch.giord)

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