Netzer, L'altro Kaiser


Günter Netzer è stato uno dei più grandi calciatori tedeschi di sempre. Ma pochi lo sanno, perché stava troppo sulle balle a Beckenbauer. Il che non gli ha impedito di diventare comunque un gigante.



Per rimettersi in piedi il magazziniere fa perno col palmo sulla coscia, sbuffa e sibila un'imprecazione in dialetto kölsch. Non è la sciatica. Soffia via la polvere dalle mani e parla, senza levar lo sguardo da terra:

- Sarebbe stato più facile se avesse avuto due piedi sinistri, Hennes.

Hennes non dice niente, fa solo un tiro di sigaretta.

"Hennes" è Hans Weisweiler, allena il Borussia Mönchengladbach ed è pronto a consegnare alla storia del calcio europeo una delle squadre più belle e vincenti. L’ultimo tassello è appena andato a posto: trovare un paio di scarpe per il tizio dai due piedi sinistri, l'uomo indispensabile affinché tutto si compia.

Günter Netzer ancora non lo sa, mentre ruota le caviglie e rimira gli scarpini nuovi, ma una cosa che Beckenbauer non riuscirà mai a togliergli è il primato di più grande giocatore di sempre ad aver avuto piedi allo stesso tempo giganteschi (siamo sul 48) nonché vistosamente difformi fra loro. Un fatto quasi premonitorio, perché tutte le vite di quest'uomo saranno esattamente così: enormi e asimmetriche.

DUE GERMANIE: OVEST E OVEST

Sospinto dai fervori del 1968, il vento della contestazione spira anche nella Repubblica federale tedesca. Da questa parte del muro ci sono sostanzialmente due modi di vivere la placida opulenza che il boom economico del dopoguerra ha consegnato ai giovanotti dell'epoca. Il primo è godersi lo status quo, come fanno in Baviera: si lavora in ufficio, si cambia spesso macchina, si fanno le vacanze sul Mediterraneo d'estate e sulle Alpi d'inverno, si va a messa e poi allo stadio, naturalmente a tifare Bayern. Appesi nelle camerette ci sono il loden e il poster di Franz Beckenbauer.

Il secondo è frequentare le aule universitarie più radicalizzate, schierarsi contro la guerra in Vietnam e la corsa al nucleare, seguire le gesta di Rudi "il Rosso" Dutschke e gli altri leader del movimento studentesco, scendere in piazza col pugno chiuso e i capelli lunghi. Scene affatto rare in Renania, soprannominata in quel periodo Land del carbone e dell’acciaio, il Land del Borussia Mönchengladbach e qualche decina di migliaia d’operai sommessamente scontenti, che hanno messo al mondo figli fragorosamente scontenti. Appesi nelle camerette ci sono l’eskimo e il poster di Günter Netzer.

A modo suo, una guerra: si trascinerà fino alle soglie degli anni Ottanta e sarà tutt'altro che fredda.

Weisweiler sente che la stagione 1969/70 è quella buona. Da tre campionati sta facendo rodaggio e finalmente ha messo assieme una banda di ragazzini prodigiosi venuti dal nulla, dei quali il mondo intero sentirà parlare per decenni: Berti Vogts, Jupp Heynkes (che da allenatore passerà sulla sponda Bayern e vi porterà il primo triplete della storia) o il bomber danese Ulrik Le Fevre (uno che segnava gol così - video). L'età media è 22 anni e spiccioli, la stampa appioppa ai bianconeroverdi l'appellativo di Fohlen (Puledri), che da lì in poi rimarrà in dote al club per sempre. Sono adrenalinici, potenti, precisi, sfrontati. Fortissimi.

L'idea di gioco di Weisweiler è illuminata dall'alba dei maestri olandesi – Mönchengladbach dista meno di trenta chilometri dal confine coi Paesi Bassi - che si apprestano ad accecare di lì a poco l'Europa col calcio totale.

Il bello del Borussia sono i cambi di ritmo con cui rovesciano il campo. Pensano in fretta, corrono il doppio degli altri e il dramma – per l’avversario - è che sanno sempre dove andare. È uno show di vampate offensive, prodezze individuali e gol a grappoli: una volta lo Schalke ne ha presi undici, al Borussia Dortmund ne toccheranno dodici. Il calcio del Gladbach passa da un sonnecchioso possesso alla vertigine verticale così, in un tocco. E il tocco è quasi sempre di Günter Netzer, il direttore d'orchestra. Un Beethoven in braghette.

DUE SINISTRI, PERO’ BIONICI

Capello biondo fin sulle spalle e basettone folto da superstite di Woodstock, Netzer è il classico "brutto che piace". Occhio curiosamente scuro per quelle latitudini, naso ingombrante e mento allungato non sono quelli del fotomodello, ma ha la faccia di uno a cui non si possa dir cosa fare. Una faccia da maschio alfa. Numero dieci sulle spalle e fascia da capitano al braccio, Netzer è in grado di sistemar palla sulla corsa dell'attaccante lanciando da dieci o cinquanta metri senza perdere un solo centimetro d'accuratezza. Padrone assoluto del cerchio di centrocampo, spesso e volentieri agguanta la biglia e decide di partire di punto in bianco, dritto per dritto, come a voler scoprire se esista qualcuno in grado di farci qualcosa. Per dire: sgroppava verso la porta come se gli altri non ci fossero nella stessa maniera che, molti anni dopo, sarebbe stata la firma di Kakà. E guai a far fallo. Non c'era barriera che tenesse. In tempi in cui il calcio di punizione era circostanza lasciata un po' alla dea bendata, Netzer possedeva una tecnica implacabile. Per lui esisteva solo e soltanto l'incrocio sopra la barriera. E sapeva eseguire tutto il repertorio con entrambi i piedi, quasi indifferentemente. Saranno stati enormi e asimmetrici, ma funzionavano alla perfezione.

La sensazione di Weisweiler era giusta. Nel 1969/70 e nel 70/71 i Puledri mettono in bacheca - primi nella storia della Bundesliga - due scudetti di fila. A Monaco di Baviera non resta che rosicare. E a Franz Beckenbauer, impegnato a edificare il proprio mito, rosicare non piace.

Netzer a Mönchengladbach è un'icona glamour, fuori dal campo si muove in modo vagamente estroso ma non ha nulla a che vedere con le follie di un George Best. È un tipo sì originale, ma visceralmente pragmatico. Investe lo stipendio da giocatore in una discoteca - battezzata Lovers Lane con eccelsa mossa di marketing, perfettamente in sincrono coi precetti di "amore libero" tanto in voga all'epoca - che in breve tempo diventa la più cool del circondario e incassa tanto da permettere al buon Günter di girare in Ferrari (gialla, è pur sempre un tedesco) nonostante, come ammetterà lui stesso a fine carriera "noi guadagnassimo molto ma molto meno di quelli del Bayern". Tra una cosa e l'altra, diventa pure editore del giornalino del Bökelbergstadion, lo stadio di Mönchengladbach, assicurandosi trentamila e rotti fedeli ed entusiasti lettori ogni settimana.

Fare grana: un altro dei suoi molteplici talenti.

Nell'estate del 1971 il telefono di Weisweiler non smette di suonare. Le chiamate arrivano tutte dalla Baviera. Il Bayern vuole il più prezioso fra i diamanti del Borussia e, tengono a specificare da Monaco, i marchi non sono un problema. La tentazione è fortissima. Per quanto campione di Germania, il Borussia resta il club di una piccola città della provincia mineraria: i bilanci sono sempre piuttosto asfittici.

Ma Netzer non si muove.

Sui motivi del rifiuto cronaca e leggenda si mischiano in un nebbione troppo fitto per poterci afferrare anche una sola ciocca di verità, però in tanti son pronti a giurare che Günter abbia fiutato la trappola. A Monaco per lui ci sarebbe stato posto solo in panca, perché laggiù c'era già un maschio alfa, che non avrebbe tollerato comprimari. Beckenbauer l'avrebbe fatto sparire dal campo e dai giornali, indebolendo mortalmente il Borussia e marchiando per sempre il biondo rivale - perché il diavolo sta nei dettagli - con l'infamia del tradimento.

Il mondo ancora non lo sa, ma nemmeno per Netzer i marchi saranno mai un problema.

IL GIGANTE E LA LATTINA

La stagione 1971/72 finirà comunque col Bayern campione di Germania, ma è in Coppa Campioni che il Mönchengladbach darà il meglio di sè. Il terreno europeo deve comprovare se i ragazzi di Weisweiler (semisconosciuti al grande pubblico perché la Bundesliga all'epoca è un campionato a dir poco periferico) hanno davvero qualcosa in più. Impacchettata agevolmente una squadra irlandese, gli ottavi di finale portano al Bökelbergstadion l'Inter di Mazzola, Facchetti, Jair, Corso e Boninsegna, una delle squadre più forti del pianeta. Quella che per i nerazzurri doveva esser poco più d'una gita fuoriporta, è una Caporetto già a fine primo tempo: 5-1 per il Borussia. Al triplice fischio i gol subiti saranno sette. Doppietta Heynkes, doppietta Le Fevre, doppietta Netzer e un rigore di Sieloff. Adesso l'Europa sa che il Borussia Mönchengladbach esiste. La partita di Netzer è un manifesto (video). Inizia da trequartista, servendo a Heynkes l'assist per il gol che rompe il ghiaccio. Sul 3-1 ammazza il punteggio. Punizione da una una trentina di metri: interno destro sopra la barriera, il portiere dell'Inter riesce solo a sfiorare e la palla è nel sette. Il gol del 6-1 è l'incarnazione dell'aggettivo "totale" riferito al gioco del calcio (minuto 1:53 del video di cui sopra). Netzer recupera palla al limite dell'area del Borussia (dov'era tornato per difendere sul risultato di 5-1), scambia con un compagno e avanza, chiede un altro uno-due e porta palla un metro oltre la linea di centrocampo. A quel punto alza la testa e vede quel che c'è da vedere: spara un esterno destro rasoterra, sarà stato quasi 40 metri, telecomandato sulla corsa di Heynkes, che può così attaccare l'area sul lato sinistro in pieno slancio. A questo punto la telecamera segue il centravanti tedesco e noi non vediamo la meravigliosa corsa dritta di Netzer, che subito dopo il passaggio d'esterno s'era fiondato a centro area per l'appuntamento col passaggio dentro di Heynkes. Günter riappare nell'inquadratura, come un vichingo all'assalto, quando incrocia il pallone dalle parti del dischetto e lo bacia, di prima intenzione, senza cambiar passo, con un mezzo esterno che lo solleva sopra la testa del portiere. La sfera, dolce come il miele, va a morire in rete sul palo lungo. Viene giù lo stadio. Riguardandolo oggi, questo gol è un mix di senso tattico, atletismo e tecnica di una modernità sbalorditiva.

Il match però passa alla storia in modo diverso. Sarà per tutti La partita della lattina. Al 29° una lattina vuota colpisce alla testa Boninsegna, per il quale a un certo punto viene chiesto il cambio. L'arbitro olandese mette a referto che l'episodio fu ininfluente sul risultato finale e ribadirà - decenni dopo - che a suo modo di vedere Boninsegna sarebbe stato in grado di continuare. L'Inter tuttavia ricorre e un po' a sopresa - ma va detto che il calcio italiano all'epoca qualcosa contava - ottiene un re-match in campo neutro. Nel frattempo si è giocato il ritorno al Meazza e i nerazzurri hanno vinto 4-2, risultato che qualificherebbe comunque i tedeschi. L'andata-bis (che a questo punto è diventata un bislacco ritorno) finisce a reti inviolate. Gianni Brera consegna la faccenda agli archivi con queste parole:

«L'Inter ha eliminato il Borussia Mönchengladbach. A tanto è pervenuta dopo tre incontri: ha disastrosamente perso il primo in Germania (7 a 1), ma per sua immeritata fortuna uno spettatore ubriaco ha avuto il ticchio di scagliare una lattina di Coca-Cola sulla capa di Boninsegna, in azione presso l'out. Subito Mazzola gli ha gridato qualcosa che poteva anche essere "buttati giù". Boninsegna è franato perdendo i sensi e forse anche la faccia. I legali dell'Inter hanno sporto reclamo e l'Uefa ha annullato la partita. Il Borussia è poi venuto a San Siro e vi ha perso 4 a 2. Il ritorno in Germania ha avuto luogo a Berlino. I tedeschi non sono riusciti a segnare e gli interisti pure».

Da lì in poi l'Inter farà un'epica cavalcata fino alla finale di Rotterdam, nella quale si troverà però di fronte l'Ajax degli invincibili, campione in carica del trofeo. La stagione si conclude, senza possibilità d'appello né polemiche, con la doppietta di Johan Cruijff e il sole arancio del calcio totale che rifulge su un continente intero.

CASO NAZIONALE

Indiscusso uomo simbolo dei bianconeroverdi, Netzer è stabilmente nel giro della nazionale tedesca quando arriva l'Europeo del 1972 in Belgio. La Germania stravince. Alla fine Gunter sarà nella top 11 stilata dall’Uefa, decisivo per la vittoria tanto quanto le stelle del Bayern, tanto quanto Beckenbauer. La foto in cui sorreggono assieme la coppa nella calca è una delle poche immagini rimaste in cui lui e il Kaiser si scambiano qualcosa di simile a un sorriso. Forse è proprio in quel periodo che Netzer intavola con quel musone di Franz la trattativa per cedergli la Jaguar E-Type che a lui ha rotto le balle. Alla fine Beckenbauer - magari desideroso di darsi lo stesso tono da bon vivant del compagno - in cambio di diecimila marchi si metterà in garage il bolide di seconda mano, come un qualsiasi medio borghese in preda alla crisi di mezza età. Interpellato dai media sull'episiodio, molti anni dopo, Netzer non esiterà a infierire:

- Chi ha fatto l'affare? Ovviamente Franz, perché rivendette la macchina a Overath. Ma non per lucro, bensì perché non era capace di guidarla. Non era un tipo da Jaguar sportiva.

Un modo molto tedesco per dare del pirla a Beckenbauer.

ADDIO

La stagione 1972/73 vede il Mönchengladbach ancora sofferente per il doppio binario Bundesliga-Europa. Partito Le Fevre, Weisweiler l'ha rimpiazzato con un altro misconosciuto danese: Allan Simonsen. Sarà pallone d'oro nonché l'unico calciatore della storia a segnare nella finale di ogni competizione Uefa. Il vecchio "Hennes" aveva occhio, non c'è che dire.

Netzer ormai è diventato troppa roba. Per il Bökelbergstadion, per Mönchengladbach, forse per la Germania stessa. Partecipa ai varietà televisivi, coltiva le sue attività fuori dal campo con crescente successo e sovente entra in conflitto col vecchio maestro. Ma lui è uno così: enorme e asimmetrico. Il calcio non gli basta. Il club studia un piano per liberarsi del suo figlio prediletto, optando infine per il classico "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Il Real Madrid ha tutto l'occorrente: il prestigio, 1.700 chilometri di distanza dalla Renania e un assegno da un milione di marchi intestato al Borussia Verein für Leibesübungen 1900 Mönchengladbach. Affare fatto, a fine campionato Günter andrà in Spagna.

Il passo d'addio è qualcosa di romanzesco. Dopo aver perso la finale di Coppa Uefa contro il Liverpool (i Puledri tuttavia riusciranno a vincere la coppa per ben due volte prima della fine del decennio, oltre a disputare altre tre finali, due in Uefa e una in Coppa Campioni), Netzer è lacerato dal dolore: non vuole lasciare la sua gente, ormai consapevole delle scelte societarie e del cambio di casacca, con una cocente sconfitta come ricordo di sè. Il destino però ha un occhio di riguardo, e riserva a Günter l'occasione di un ultimo valzer col suo amato Borussia. La tappa conclusiva della stagione è la finale di Coppa di Germania contro il Colonia: un derby infuocato.

Il 23 giugno 1973 il neutro di Dusseldorf ribolle e perfino il plumbeo cielo tedesco, per questo giorno speciale, ha virato su un azzurro che ha del miracoloso.

L'altoparlante declama le formazioni e piomba il gelo.

Netzer è in panchina.

Succede che Weisweiler, professore di calcio in senso letterale (l'Accademia dello sport di Colonia porta il suo nome), sta impartendo una lezione di teutonico buonsenso: non si fa giocare, col rischio di spezzarsi una gamba, un calciatore che il Real Madrid vuol pagarti un milione di marchi. Netzer aveva già qualche acciacco e per il vecchio "Hennes" conveniva farlo stare buono in panca, per poi fargli la valigia e adios.

La partita inizia, in tanti protestano: Net-zer! Net-zer! Net-zer!

Il Borussia passa in vantaggio ma non frega un cazzo a nessuno: Net-zer! Net-zer! Net-zer!

Il Colonia riesce a pareggiare, poi Heynkes sbaglia il rigore della vittoria. Il che è paradossalmente un bene, perché così facendo innesca gli ingranaggi dell'epica. Triplice fischio, supplementari. Siamo alla fine di una stagione lunghissima, è giugno inoltrato e ci sono sole e caldo persino in Germania: ventidue stracci sudati si trascinano sull'erba. Il numero 12 del Borussia corre a centrocampo e si china sul compagno Kulik, sfatto dalla fatica. Parlottano. Kulik non si nasconde:

- Sono morto.

Il numero dodici del Borussia torna verso la panchina.

Il pubblico adesso sta quasi pregando: Net-zer! Net-zer! Net-zer!

Gunter guarda dritto negli occhi il vecchio "Hennes". Sono due uomini troppo fieri per raccontarsi cazzate a vicenda.

- Adesso entro, Hennes.

Hennes non dice niente, fa solo un tiro di sigaretta.

L'altoparlante gracchia che esce Kulik ed entra il numero 12: nel giorno in cui ha smesso di essere un giocatore del Mönchengladbach, Netzer indossava già una maglia diversa dal solito.

Tre minuti.

Poi Netzer si fa dare palla a centrocampo, una finta e passa a un compagno, poi parte subito alla sua maniera, dritto verso la porta. Il pallone di ritorno taglia fuori i difensori troppo esausti per muoversi bene, mentre Günter arriva a cento all'ora e sgancia un sinistro forse un po' troppo aperto, ma abbastanza giusto da finire all'incrocio (video).

C'è gente che piange: Net-zer! Net-zer! Net-zer!

Due a uno. Günter Netzer lascia il cortile che lo ha cresciuto con un trionfo degno d'un poema.

INTRIGO MONDIALE

Il Real Madrid ha preso Netzer in un'ottica di rinnovamento. Nella stagione 1973/74 gioca un campionato difficile perché il Barcellona ha ingaggiato Rinus Michel come allenatore e nel frattempo è arrivato anche Johan Crujiff dall'Ajax: il calcio totale è sbarcato in Spagna. Per la Liga non c'è nulla da fare, faranno festa sulle Ramblas, ma i Blancos portano a casa la Copa del Generalìsimo (che è come si chiamava la Copa del Rey nel periodo franchista), bottino più che sufficiente a Netzer per ripresentarsi in patria ed esigere un posto in nazionale. Nell'estate del 1974, infatti, ci sono i mondiali. E la Germania Ovest è paese ospitante. In quel momento storico Günter Netzer è senza ombra di dubbio uno dei migliori - se non il migliore - numero 10 tedesco a livello internazionale.

Non la pensa così Franz Beckenbauer, che infatti a scarpini appesi al chiodo sentenzierà:

- Netzer ha avuto solo un paio di stagioni ad alto livello, perché non si concentrava solo sul calcio. Aveva altre idee per la testa.

Certo, idee enormi e asimmetriche.

Restava il problema di avere come nemico giurato numero uno l'uomo con in mano le chiavi della nazionale tedesca.

Il mondiale comincia e la sorte tira una beffa delle sue. Il girone eliminatorio prevede la sfida Germania Ovest-Germania Est. L'idea che una roba del genere sia stata resa possibile in sede di sorteggio fa semplicemente ridere, ma è così che è andata. Per di più, vince la Ddr. I tedeschi dell'Est portano a casa uno 0-1 storico e a nulla serve l'ingresso di Netzer a 22 minuti dalla fine, al posto di uno spento Overath, se non a fare incazzare Beckenbauer come una iena. Il Kaiser aveva dato ordini precisi. Nello spogliatoio dell'Ovest parte un processo sommario.

Nessuno dei protagonisti rivelerà mai il contenuto delle discussioni, ma qualcosa si può intuire dalla cronaca dei giorni successivi. Netzer sparisce dal campo per non farvi più ritorno. La geopolitica della rosa parla di sette giocatori in quota Bayern Monaco, del Borussia Mönchengladbach si salvano solo gli intoccabili Vogts ed Heynkes. Il Bayern Monaco comanda. E il Kaiser comanda il Bayern Monaco. Fine della storia. In mezzo al campo Beckenbauer pretende un regista di cui possa fidarsi o, meglio, che gli ubbidisca ciecamente. E la scelta era ricaduta su Overath. Quello che si era ricomprato la Jaguar di Netzer perché il vecchio Franz non sapeva guidarla. Casi della vita.

La Germania è uno squadrone, il passo falso viene riassorbito in fretta e i meccanismi non si inceppano più: Beckenbauer è un monumento, Gerd Muller ficcherebbe in porta persino la luna, Vogts ferma tutto quel che s'avvicina all'area. In finale i tedeschi trovano i maestri olandesi, gli unici più forti di loro, però gli Orange si dimenticano di vincere e quando si svegliano è troppo tardi. Perché coi tedeschi puoi far di tutto, ma non azzardarti a sottovalutarli. Anche se si laurea campione del mondo, Netzer è troppo intelligente per considerarla una vittoria. Sa, in fondo, di aver perso la battaglia contro Beckenbauer.

Ma Beckenbauer non sa che non è finita lì.

ENORME E ASIMMETRICO

Rientrato a Madrid, Netzer nel 1974/75 vince la Liga e un'altra Coppa Franco, dopodiché si avvia a concludere la carriera di calciatore. Passa qualche anno e lo ritroviamo in giacca e cravatta, che poi è l'outfit che meglio gli si addice, a fare il direttore generale dell'Amburgo. Era successo questo: Netzer avanzò al presidente del club la proposta di editare il magazine della squadra. Il patron acconsentì a una condizione: Netzer avrebbe dovuto entrare nella dirigenza. Affare fatto.

La fama di uomo col senso del business lo precedeva.

Mettere assieme una squadra di calcio, per uno come lui, fu cosa semplice: competenza, pragmatismo e un occhio agli affari. Per alzare il livello tecnico e contenere i costi, sapeva ci sarebbero voluti giocatori d'esperienza a fine corsa. E fu così che Beckenbauer chiuse la carriera (parentesi coi NY Cosmos a parte) con la maglia dell'Amburgo. Col Kaiser in campo e l'uomo con due piedi sinistri nel consiglio d'amministrazione arrivò uno scudetto (1981/82). Altri due senza Beckenbauer (1979 e 1983). Sempre nel 1983, la squadra costruita da Netzer mise a segno uno dei colpacci più celebri della storia della Coppa Campioni. Perfetti underdogs, i ragazzi di Günter arrivarono alla finale contro la favoritissima Juve impaccata di campioni del mondo del Mundialito 1982, più Boniek e Platini. Ma con un gol di Magath che i bianconeri di ogni età ancora oggi maledicono, l'Amburgo portò a casa il trofeo.

Poi Netzer è andato avanti con gli affari, seguendo le sue idee enormi e asimmetriche. Prima ha aperto a Zurigo una società di pubblicità, poi nel 2002, in cordata con l'ex presidente di Adidas e altri pezzi grossi della finanza, ha coordinato l'acquisto della società tedesca KirchSports, che era sull'orlo del fallimento ma aveva in pancia i diritti televisivi per il mondiale di Germania 2006. Per riuscire nell'impresa, si dice sia stato necessario un esborso pari a trecento milioni di euro.

Un bel giorno Franz Beckenbauer, in veste di presidente del comitato organizzatore del mondiale 2006, dovette trattare con la neonata società che possedeva quei diritti tv e aveva la bomba atomica - non il coltello - dalla parte del manico. Il direttore di quella società era Günter Netzer. Quella società si chiamava, e si chiama ancora, Infront Sports & Media. Definire Günter Netzer “calciatore” è quasi un’offesa.

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