La rivolta catalana

L’uso della forza per impedire il referendum sull’indipendenza del 1 ottobre ha alimentato l’ostilità della Catalogna al governo spagnolo. Ora gli spazi per una trattativa sono ridotti al minimo e i due fronti sono sempre più lontani

di José Miguel Catalayud, New Statesman, Regno Unito

Alle 8.30 di domenica primo ottobre, a Barcellona e nel resto della Catalogna la situazione appariva tempestosa, in senso metaforico e letterale. Giorni di estate tardiva e manifestazioni festose avevano lasciato il posto a un cielo coperto e a un’atmosfera di tensione nelle strade e soprattutto in alcune scuole, che alle 9 avrebbero dovuto aprire per permettere ai catalani di votare al referendum sull’indipendenza. 

Il voto era stato dichiarato incostituzionale dalle autorità spagnole, che avevano cercato in tutti i modi di impedirne lo svolgimento. Ma nonostante gli arresti e il sequestro delle urne e delle schede elettorali, il governo catalano aveva ribadito che il referendum ci sarebbe stato, in un modo o nell’altro. All’alba le autorità catalane avevano dichiarato a sorpresa che chiunque avrebbe potuto votare in qualunque seggio, anche stampando da sé la propria scheda. 

I Mossos d’esquadra, la polizia catalana, avevano ricevuto da un tribunale spagnolo l’ordine di chiudere al pubblico tutti i possibili seggi dalle 6 del mattino. Ma dato che avevano anche ricevuto dal governo catalano l’ordine di non usare la forza, gli agenti si erano limitati a constatare che le scuole erano già piene di gente e se n’erano andati. Molti indipendentisti avevano passato le due notti precedenti negli edifici per evitare che venissero chiusi. 

E poi, poco prima delle 9, è cominciato tutto. Gli agenti della Guardia civil e della polizia spagnola, alcuni dei quali in assetto antisommossa, sono intervenuti su ordine del ministero dell’interno spagnolo. E immediatamente resoconti e immagini di violenze hanno cominciato a inondare i social network e i mezzi d’informazione. 

Gli agenti hanno sfondato le porte per entrare negli istituti, hanno trascinato fuori gli occupanti, in alcuni casi tirandoli per i capelli, li hanno colpiti con i manganelli e li hanno presi a calci mentre erano a terra. Nessuno è stato risparmiato, e tra i feriti ci sono stati anche degli anziani. Nelle scuole la gente continuava a cantare “Voteremo” e “Siamo gente pacifica”, anche se c’era chi lanciava oggetti contro i poliziotti. 

La tensione è salita. Altre persone sono scese in strada sotto la pioggia, e in alcune zone la polizia ha sparato proiettili di gomma per allontanarle. Il numero dei feriti ha cominciato a salire, e le immagini di persone sanguinanti e in lacrime passavano da telefono a telefono insieme a una rabbia sempre più forte. In alcuni casi i Mossos hanno cercato di fermare la Guardia civil tra gli applausi della gente che voleva votare. In seguito le autorità spagnole hanno dichiarato di voler denunciare la polizia catalana per la sua passività. 

Poi, nel primo pomeriggio, improvvisamente la Guardia civil e la polizia si sono ritirate, portando con sé tutte le schede e le urne che erano riuscite a trovare. 

Nell’Escola Mediterrània della Barceloneta gli organizzatori erano riusciti a nascondere un’urna. Le operazioni di voto sono cominciate appena i poliziotti sono andati via. Sul lungomare si è formata una lunga coda. Il ritmo era estremamente lento: bisognava mostrare il passaporto o la carta d’identità, poi un’applicazione online verificava che la persona in questione fosse autorizzata a votare, i suoi dati venivano scritti su un modulo e finalmente era possibile depositare nell’urna la scheda. “Per favore, abbiate pazienza. Aspetto questo momento da 62 anni, e voteremo tutti”, ha detto il presidente di seggio, suscitando gli applausi delle persone in fila. 

In seguito le autorità catalane hanno ammesso che le operazioni di voto sono proseguite anche quando l’applicazione aveva smesso di funzionare, permettendo teoricamente a chiunque di votare più volte in seggi diversi. 

Davanti a una scuola gesuita nel quartiere dell’Eixample, la coda riempiva due strade. Chi usciva dal seggio mostrava le dita in segno di vittoria a chi aspettava e applaudiva. Una ragazza era quasi in lacrime prima di entrare nella scuola. “Oggi la Spagna ha perso la Catalogna”, ha dichiarato il suo compagno. Erano in fila dalle 5 del mattino e avevano provato a votare in tre diverse scuole. “Ai tempi di Franco”, ha commentato Montserrat, 86 anni, “la lingua catalana era vietata e non potevamo nemmeno riunirci in più di tre persone per la strada. Ora dovremmo essere in democrazia, giusto? Allora dobbiamo avere il diritto di votare”. 

“Provate a immaginare come ci sentiamo in questo momento. Siamo stati umiliati per anni, la Spagna non ci ha mai ascoltato”, ha dichiarato la sua amica Carmen. Entrambe avevano appena votato. 

Con il passare delle ore la maggior parte dei seggi ha cominciato a funzionare. Le persone sono rimaste in ila e il referendum ha assunto l’aspetto di un voto normale, fatta eccezione per il fatto che chiunque poteva votare ovunque con un foglio stampato. Alla fine, secondo le autorità catalane i feriti sono stati almeno 893. La maggior parte aveva piccoli traumi, ma due erano in condizioni gravi: uno era stato colpito da un proiettile di gomma a un occhio, e un altro aveva avuto un infarto in un seggio. Il governo spagnolo ha riferito che 33 poliziotti sono rimasti feriti negli scontri. 

Lontano dai seggi, a Barcellona è stata una domenica normale. Le guide turistiche accompagnavano i gruppi di visitatori e i bar servivano chi osava avventurarsi tra i tavolini bagnati. “Penso che l’indipendenza non sarebbe un bene per i catalani, per gli spagnoli e per nessuno”, ha dichiarato una donna di 26 anni. “Non mi piace il modo in cui è stato organizzato il referendum. È troppo semplice pensare che l’indipendenza sia la soluzione a tutti i problemi”. La donna non ha voluto rivelare il suo nome perché teme conseguenze sul piano professionale. “Possiamo cercare di essere razionali, ma è una questione molto emotiva”, ha aggiunto. 


Come un festival
Alle 20 le operazioni di voto si sono concluse e i funzionari elettorali hanno cominciato a contare le schede. Molte persone sono rimaste a guardia delle scuole, temendo che la polizia tornasse. C’era un’aria di festa, come se fosse stata vinta una grande battaglia. In una scuola del quartiere di Sant Antoni la gente ha cantato Els segadors, l’inno della Catalogna. Alcuni piangevano.

La polizia non è tornata, e dalle scuole la gente si è spostata in plaça de Catalunya, all’inizio delle ramblas, dove era stato allestito un maxischermo. C’era una grande folla con bandiere e musica. Sembrava un festival. Le autorità catalane hanno dichiarato che nel 96% dei seggi si era potuto votare e hanno parlato di un’afluenza superiore al 42%. Come prevedibile, il sì all’indipendenza sembra avere superato il 90 per cento dei voti. Puigdemont ha dichiarato in collegamento video che “i catalani hanno guadagnato il diritto ad avere uno stato indipendente”, suscitando il tripudio della piazza. Ma il presidente del governo catalano non ha precisato se e quando ha intenzione di dichiarare l’indipendenza.

Dopo una giornata così intensa, il mattino successivo le strade di Barcellona sono tornate alla normalità. Ma l’atmosfera era surreale: era stato tutto vero? La gente non parlava d’altro, mentre le immagini delle violenze scorrevano su tutti gli schermi. I barcellonesi si chiedono: cosa succederà adesso? La Catalogna diventerà davvero indipendente?

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