FAUSTO, L'AMICO PIU' GRANDE E SFORTUNATO


di MARIO FOSSATI
la Repubblica, 27 giugno 1994

HO conosciuto Alberto Sironi, il regista de ' Il grande Fausto', al Giro d' Italia, un giro di anni fa. Me lo aveva presentato il mio amico fraterno Sergio Meda perché lo ospitassi sulla macchina di 'Repubblica' al seguito di una tappa. Infilammo, ricordo, una discesa, con il gruppone pericolosamente in gara con i parafanghi della nostra Alfa. Il povero Sironi dovette ritrovarsi nelle condizioni di Nelson, il celebre ammiraglio che, richiesto da Sua Maestà britannica, chi mai fosse il peggior nemico che avesse affrontato non esitò a rispondere: "Il più odioso, indubbiamente, perché nauseante, 'the sea-sick' , il mal di mare. Quotidianamente, però, lo sconfiggo". 

Sironi aveva in animo un film, appunto ' Il grande Fausto' . Avrebbe ricostruito quell'episodio alto anche e doloroso: l'amore dell' uomo famoso, sposato, padre di una bimba: l'amore folgorante del campione per Giulia Occhini, ella stessa sposa di un medico di Varese e madre di due figli. 

Che significa fare un film su Coppi?, mi sono chiesto e mi chiedo. Poni uno specchio davanti all'immagine di Fausto così da riprodurla calligraficamente? Oppure fai sì che la si veda attraverso, quasi Fausto fosse uno di quegli insetti, affilati, trasparenti che popolano uno stagno? 

Fausto Coppi è stato un amico. Io ero in forza, ai suoi bei dì, alla 'Gazzetta dello Sport' . Coppi era per me e per Rino Negri, altro ambasciatore della 'Gazzetta' , alla corte di Fausto, la figura più quotidiana che si potesse immaginare. Prisoner of war, era ritornato in patria, quando nessuno più sapeva se fosse morto o vivo. 

Per anni, davanti alle ruote sue e di Bartali, ho veduto spuntare e morire le stagioni: uscivi dal Vel' d'Hiv' parigino, dalla Sei giorni e ti accorgevi che le vecchie acacie del boulevard avevano le gemme: scoprivi la primavera, pennellata di verde cadmio, alla Sanremo e acerba al nord della Roubaix: e poi il sole del Giro e l'esplosione dell'estate al Tour: l'atmosfera carica di fermenti partigiani dello stesso Tour e del "Mondiale" (Bartali-Coppi-Magni): e le nebbie e le foglie morte dell'autunno, al "Lombardia".

Attorno la gente semplice, pulita che faceva di Gino e di Fausto, un motivo di discussione, un argomento per l'aperitivo o per il "pastis" allo zinco del bar o del bistrot. L'avventura, in quel ciclismo, era spessissimo dietro l'angolo. E le cadute pure: e tutte fatali alle ossa di Fausto, che erano di cristallo. Coppi vinceva il "Baracchi" e si era a novembre. Lo spogliatoio del Vigorelli era l'ultima tenda del guerriero. Sapeva di grotta. Le alte curve del velodromo scalavano l'oscurità. A volte, bisognava seguirlo, nell'inverno, nelle tournée su pista, indoor. Si viaggiava la notte sul "train bleu". Sul marciapiede, della "gare" c'era puntuale, ad attenderlo, un "soigneur". Quindi, il taxi. Coppi, in cappotto color cammello e la striscia della sciarpa sulle labbra, pregava il taxista di infilare la strada più lunga che lo conduceva allo Sport Palais, al Vel' d'Hiv' o all'Hallenstadion. Abbassava il cristallo. Beveva l'aria fredda. Dentro le vetrate, lo aspettavano un'atmosfera da boite de nuit e la mischia dell'inseguimento. Infine la cena (le ostriche avevano il potere di illuminarlo) e ancora le train bleu. Si tornava, in patria. Cavanna - le grosse lenti da cieco che gli mangiavano il viso - gli tastava i muscoli e borbottava: "Sei uno zingaro e magro". La cronaca finale è risaputa. L'amore per una bella donna. L'Italia puritana e il suo pubblico che gli si rivoltano contro. Ipocrisia e bigottismo. Il bimbo che nasce in una clinica argentina. Coppi tornò a vincere. E noi si credeva che quel fenomeno non dovesse finire mai. La maledetta tournée i Congo. Al rientro da Ouagadougou, dall'Alto Volta, la malaria, non individuata a tempo dai medici. Un errore bestiale gli costò la vita.

Sono un uomo della strada, appartengo alla categoria dei semplici di spirito, seguendo le corse ho consumato anni di vita. Invecchiando sento profondo il rimpianto dell'amico. Per Coppi, lo ammetto, mi fa velo l'amicizia. Io lo vedo con gli occhi intenti di Milano e di Carrea, dei suoi gregari, non già del cronista mondano: lo vedo con lo sguardo di Marina, la dolce figliola. Faustino l'ho conosciuto, un giorno, al Vel' d' Hiv' di Parigi. Era piccolo piccolo: aveva due anni. Il paltoncino aperto sorrideva a suo padre, in tuta. Il dolore di Bruna era amarissimo. E Giulia non si è innamorata, a sua volta, solamente del mito. Di ciò sono sicuro. Louison Bobet diceva che Coppi è stato il campione più grande e il più sfortunato. Vorrei che ce lo restituissero e ce lo conservassero tale, "il grande Fausto".
MARIO FOSSATI

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