MAESTRI DI CALCIO - Cruijff, due volte Profeta Totale


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di CHRISTIAN GIORDANO © - Guerin Sportivo © 
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Ritorno dei quarti di finale della Coppa di Spagna 1977-78: al Camp Nou il Barcellona, che alla fine vincerà il trofeo (3-1 al Las Palmas), riceve il piccolo Deportivo Alavés. Malgrado il sorprendente 1-0 di Vitória, il pronostico pare a senso unico.

A metà ripresa, il gioco viene interrotto per un fallo senza importanza e Johan Cruijff comincia a protestare. L’arbitro, in manifesta sudditanza psicologica, si dilunga in spiegazioni e il siparietto esaspera il giovane Jorge Valdano, che sbotta.

Al capitano blaugrana suggerisce di tenersi il pallone e di darne un altro alle squadre in campo cosicché continuino la partita, mentre al direttore di gara consiglia di lasciare all’olandese anche il fischietto perché tanto si è capito chi comanda. 

Il Profeta del gol, con uno sguardo a metà fra il compatimento e la noia, chiede all'argentino il nome e l’età. Alle risposte dell’ingenuo attaccante («Jorge Valdano» e «Ventidue») fa seguito, pronta e glaciale, la controreplica: «Ragazzino, a ventidue anni a Cruijff si dà del lei».

Alle parole seguono rapidamente i fatti: Johan entra in area a tutta velocità, inseguito proprio da Valdano. L’olandese si arresta di colpo, l’argentino evita l’impatto, ma il “9” del Barça frana a terra in modo del tutto credibile. Rigore. Barcellona 1, Alavés 0, primo e decisivo passo verso il 2-0 che varrà ai catalani la semifinale.

Tutto questo e molto di più era Cruijff: in campo ha (quasi) sempre avuto ragione lui; fuori, in panchina o davanti ai microfoni, pure. Troppo bravo, e consapevole di esserlo, per piacere a tutti. Specie a chi, su tutti dirigenti e giornalisti, non la pensava come lui.

Hendrik Johannes (Johan) Cruijff nasce il 25 aprile 1947 a Betondorp, sobborgo popolare della periferia di Amsterdam. Il padre Manus e la madre Nel Draaijer vi si erano trasferiti dal rione Jordaan dopo aver acquistato una modesta dimora con annesso negozietto di frutta e verdura, l’attività di famiglia da un paio di generazioni (erano fruttivendoli anche il padre e un fratello di Cruijff senior).

Il nome del quartiere, alla lettera “villaggio di cemento”, è tutto un programma, così è per strada che Henny (Hermanus Cornelius) e Jopie, come li ha soprannominati la mamma, cominciano a giocare a calcio. L’abitazione dei Cruijff, lungo Akkerstraat, è a duecento metri dal “De Meer”, lo stadio dell’Ajax, club di cui Manus è tifosissimo. L’innamoramento dei rampolli per i colori biancorossi è persino ovvio anche se forse non proprio libero da condizionamenti.

Johan, di due anni più piccolo, è il predestinato. A 3 anni riceve il primo completino della squadra. A 5, grazie anche al collo dei piedi quasi piatto per una malformazione congenita, già infila 150 palleggi consecutivi. A 9 ha in dono il primo paio di scarpe da calcio vere, ai tempi un lusso poco sostenibile.

Il tempo libero lo trascorre allo stadio, e il magazziniere, che lui chiama affettuosamente “zio Henk”, diventa il suo secondo padre. Jopie lo aiuta a piazzare le bandierine, tracciare le righe del campo, pulire le scarpe dei giocatori e “zio” Henk, su spinta della signora Cruijff, lavandaia che fra i suoi clienti ha l'Ajax, gli procura un provino per le giovanili. Su 300 bambini, in genere ne prendono due o tre: tra questi i fratellini Cruijff, il maggiore come stopper, il minore da attaccante.

La comunicazione ufficiale arriva per lettera il giorno del decimo compleanno di Johan, «il regalo più importante al mondo», per un ragazzino ormai in simbiosi col pallone. 

L'infanzia felice dura altri due anni perché l’8 luglio 1959 papà Manus, 44enne, muore per un attacco cardiaco. La situazione economica della famiglia, già non florida, si fa ancora più difficile. La signora Nel vende casa e negozio, si trasferisce al 37 di Weidestraat e ringrazia l’Ajax per il posto come addetta alle pulizie al bar della società. Johan da tutto questo trarrà una determinazione e uno spirito di rivalsa straordinari, ma anche uno smisurato orgoglio e un'avidità, anche troppo chiacchierata, che gli procureranno immense fortune ma pure grossi guai. 

Sa tanto di leggenda invece la storiella che Johan si affezioni al 14 perché indossandolo, a 14 anni, vince con l'Ajax il campionato Ragazzi. Da lì il falso storico che vuole Cruijff così convinto che gli porti fortuna da cercare di mantenerlo per tutta la carriera, peraltro in un’epoca in cui maglie “personalizzate” e numeri con la prima cifra diversa dall’1 sono ancora inimmaginabili. La realtà, sempre un po' più grigia del mito, parla di un compagno, Gerrie Muhren, che non trova la maglia, Cruijff gli dà la sua, cioè la numero 9, e indossare la prima che capita. Guarda caso, la 14. L’Ajax vince e Johan, superstiziosissimo, inizia a credere che gli porti bene e da lì in poi non lo molla più. 

“Scoperto” da Jany van der Veen, il supervisore delle giovanili, Johan cresce sotto l’ala protettrice del tecnico inglese Vic Buckingham. Dopo averlo fatto irrobustire facendolo allenare con i pesi, lo fa debuttare in massima divisione, a 17 anni, il 15 novembre 1964, nella sconfitta per 3-1 a Groningen contro il GVAV. Rispetto agli avversari, gente del nord, alta e grossa, il talentuoso magrolino (1,76 x 67 kg) è in chiaro deficit fisico (un suo corner non arriva nemmeno in area), ma sul piano tecnico si dimostra una spanna sopra tutti. Una settimana dopo, nel 5-0 casalingo al PSV Eindhoven, segna il primo gol in Eredivisie e da allora non esce più di squadra. Altri 15 giorni e il primo contratto da professionista, a 16 anni, è nero su bianco. E con sua madre sarà chiaro: non puoi più pulire le scale, «perché tu sei la madre di Cruijff».

Il 29 novembre l'Ajax viene travolto al de Kuip di Rotterdam dal Feyenoord, un 9-4 che fa un altro tremendo scossone alla traballante panchina di Buckingham. L’Ajax è in zona retrocessione e il 21 gennaio 1965, all’indomani del pareggio nel derby con il DWS, Buckingham viene esonerato. Tre giorni dopo gli subentra Rinus Michels, 38enne ex centravanti del club, che impone una rigida disciplina in campo (allenamenti durissimi) e fuori (in ritiro vieta persino di giocare a carte). 

Alla fine, però, avrà ragione il “generale”, perché con i suoi rivoluzionari princìpi – intercambiabilità di ruoli e posizioni, pressing, ricorso sistematico al fuorigioco, passaggi corti e accelerazioni improvvise – l’Ajax scalerà i vertici del calcio mondiale. Il tutto, però, grazie soprattutto a campioni straordinari guidati dall'immensa classe di Cruijff. 

Il 24 marzo ’65, a Leeuwarden, Johan debutta nella nazionale giovanile per gli Europei di categoria. L’anno successivo, il 7 settembre, esordisce (con gol) in quella maggiore: Olanda-Ungheria 2-2, la gara del fantomatico pugno all’arbitro. Primo espulso nella storia della selezione arancione, Cruijff ha sempre negato di averlo sferrato. Le poche immagini esistenti sembrano dargli ragione, ma non bastano a evitargli la squalifica di un anno (poi ridotta), sanzione figlia dei tempi e del clamore internazionale suscitato dalla vicenda. 

In patria, intanto, la fama di Johan, secondo olandese a passare professionista (il primo era stato il compagno di reparto Piet Keizer), cresce esponenzialmente con i successi della squadra. Il sodalizio tecnico Michels-Cruijff frutta all’Ajax 4 campionati olandesi (1966, ’67, ’68 e ’70), 3 Coppe d’Olanda (’67, ’70 e ’71) e, nel ’71, con un 2-0 al Panathinaikos a Wembley, la prima di tre Coppe dei Campioni consecutive. La conquista dell’agognato trofeo sancisce l’addio di Michels. A sostituirlo arriva il più tollerante rumeno Stefan Kovács, che consegna a Cruijff, fresco del primo di tre Palloni d’oro (’71, ’73 e ’74), le chiavi della squadra che, a briglie sciolte, riesce addirittura a far meglio. Nel ’72, infatti, centra il primo “grande slam” della storia del calcio, anche se allora nessuno si sogna di chiamarlo così: in bacheca vanno titolo e coppa nazionali, Coppa dei Campioni (2-0 all’Inter a Rotterdam, doppietta di Cruijff, che fa impazzire il ventenne Gabriele Oriali, deputato a marcarlo), Coppa Intercontinentale (contro l’Independiente, 1-1 a Buenos Aires, 3-0 ad Amsterdam) e, disputata nel gennaio ’73, la neonata Supercoppa Europea (3-1 ai Glasgow Rangers fuori, 3-2 in casa). 

La stagione seguente è quella degli addii: a Kovács (rimpiazzato dal troppo tenero George Knobel), a Cruijff, non confermato capitano, e al grande Ajax del Calcio Totale. Dopo la terza Coppa dei Campioni consecutiva, arrivata ai danni della Juventus (0-1 al Marakana di Belgrado), il Papero d’oro raggiunge il pigmalione Michels al Barcellona. In Spagna l’asso olandese – costato l’iperbolica cifra di un miliardo di lire dell’epoca – trova una seconda patria, non soltanto calcistica. La squadra, quintultima al suo arrivo, non perde più e dopo – neanche a dirlo – 14 anni, torna sul trono della Lega. Alla fine dell’estate, il secondo posto ai Mondiali tedeschi vale a Johan il lusinghiero e meritato appellativo di “Pelé bianco” e alla nazionale oranje quello di “Arancia Meccanica” (per la perfezione dei meccanismi e in scia all’onda emozionale suscitata dal film di Stanley Kubrick del ’71). 

In Spagna però, le grandi aspettative della piazza non trovano riscontro nei risultati, perché a parte uno dei più bei gol visti su un campo di calcio (rovesciata di tacco, il 22 dicembre 1973, nel 2-1 all’Atlético Madrid) e la già citata Copa del Rey 1978, l’avventura iberica gli riserva soprattutto dolori: le feroci polemiche con gli arbitri, il killeraggio scientifico da parte di spietati difensori come Villar, la paura di rapimenti, l’influenza filofranchista del Real Madrid. Tutte cose che lo porteranno a un prematuro ritiro, a soli 31 anni. 

Una serie di investimenti sbagliati (malconsigliati dal finanziere internazionale Jack van Zanten), tra cui un allevamento di maiali in una fattoria sui Pirenei, lo costringono al rientro agonistico. A sollecitarlo è chi ne cura gli interessi, e cioè il ricchissimo Cor Coster, re dei diamanti e padre dell’ex fotomodella Danny con cui Johan si era sposato il 2 dicembre ’68 e dalla quale ha avuto tre figli: Chantal (1970), Susila (1972) e Jordi (1974, anche lui calciatore, così chiamato in omaggio al patrono di Barcellona e in spregio alle imposizioni franchiste). È questa la fase più brutta della carriera di Cruijff, che in versione globetrotter ma ormai parodia di se stesso cerca di spremere gli ultimi spiccioli dal suo straordinario talento. 

Rifiutato un ingaggio miliardario ai New York Cosmos (anche) perché giocavano su erba sintetica, e archiviati i fugaci passaggi ai Los Angeles Aztecs (1979) e ai Washington Diplomats (1980) della North American Soccer League, il primo campionato professionistico nordamericano, antesignano della attuale Major Soccer League, il 2 marzo 1981 Cruijff torna in Spagna per scendere fra i cadetti, nel Levante, seconda squadra di Valencia. Dopo nove mesi, e una decina di partite senza gloria, né i soldi promessi, ecco la resurrezione: il 6 dicembre torna in campo con l’Ajax, che al De Meer batte 4-1 l’Haarlem (straordinario il suo gol in pallonetto). Assieme al giovane Rijkaard, trascina i biancorossi a due titoli consecutivi (’82 e ’83), ma molti lo danno per finito: su tutti il presidente Tom Harmsen, col quale non instaurerà mai lo stesso, conflittuale eppure produttivo, rapporto che aveva con colui che, negli anni d’oro, ricopriva quella stessa carica, Jaap van Praag. Il regalo più bello però se lo fa la stagione successiva quando, a 36 anni, passa ai rivali di sempre, il Feyenoord della matricola Gullit, con i quali chiude in bellezza la ventennale carriera vincendo per la nona volta il campionato e per la sesta la Coppa d’Olanda. 

Nel 1985 torna all’ovile, come consulente tecnico dell’Ajax, poi subentra a Leo Beenhakker e ricostruisce dalle fondamenta il settore giovanile. Nel frattempo lancia Marco van Basten (anche lui esordiente a 17 anni, rimpiazzando lo stesso Cruijff), il cui 1-0 al Lokomotive Lipsia, ad Atene, gli regala nell’87 la Coppa delle Coppe, assieme alla Coppa Uefa l’unico trofeo che Johan non aveva vinto da giocatore.


Nel gennaio ’88, le divergenze con la dirigenza gli fanno capire che è giunto il momento di nuove sfide. Come fatto dal suo maestro Michels 17 anni prima, passa al Barcellona, dove in sei stagioni costruirà il celebre Dream Team capace di regalare ai tifosi catalani, che l’adorano, sempre ai danni della Sampdoria, la Coppa delle Coppe (1989) e la prima Coppa dei Campioni (1992) della loro storia. Contando su stelle quali Ronald Koeman, Michael Laudrup, Romário, Hristo Stoitchkov (in tempi in cui in campo possono scendere massimo tre extracomunitari) e una solida base di talenti autoctoni Cruijff, tra i primi a convertirsi alla difesa a tre, diventa il paladino del calcio offensivo. In Spagna detta legge conquistando 4 titoli consecutivi (1991-94, in almeno due occasioni approfittando dell’harakiri dei rivali madrileni, il Real di Beenhakker e l’Atlético di Radomir Antic) e la Coppa di Spagna ’90. In Europa diverte tanto ma vince meno di quanto potrebbe (memorabile lo 0-4 di Atene ’94, inflittogli nella finale di Coppa dei Campioni dal Milan di Fabio Capello).

Nel ’96, i dirigenti del Barcellona con in testa il presidente Josep Lluís Núñez, suo nemico storico, gli presentano il conto: due anni di insuccessi sono troppi per chi pretende di fare sempre di testa propria, e così lo mettono alla porta. 

Cruijff potrebbe allenare come e quando vuole, ma preferisce occuparsi della salute, la propria e quella altrui (dopo i due by-pass innestatigli nel ’91 è diventato testimonial di una nota campagna antifumo: «nella vita ho avuto due vizi: uno, il calcio, mi ha dato tutto, l’altro, il fumo, stava per togliermelo»); della formazione calcistica dei ragazzi e della loro istruzione; della fondazione benefica che porta il suo nome; dei tornei di calcio a sei (il campo è di 42x28, tutti multipli di 14), patrocinati dal quotidiano di Amsterdam Telegraaf. Scrive libri (il non troppo riuscito “Mi piace il calcio. Ma non quello di oggi”, pubblicato anche in edizione italiana), fa l’opinionista tv (poliglotta e con il suo personalissimo e sgrammaticato slang, ma senza peli sulla lingua), gioca a golf, è consulente FIFA e si dedica ai nipotini.

Sommando la carriera di giocatore “totale” a quella di allenatore coraggioso e innovativo, non appare ardua la tesi che vuole Cruijff tra i più grandi, se non il più grande, personaggio di calcio di ogni epoca. Nessuno tra i fuoriclasse che capeggiano le classifiche all-time ha saputo dimostrarsi tale anche da allenatore: non Alfredo Di Stéfano (che però qualcosina l’ha vinta: il campionato argentino ’70 col Boca Juniors, quello spagnolo ’71, la Coppa delle Coppe ’80 e la Supercoppa Europea ’81 col Valencia, la Supercoppa di Spagna ’90 col “suo” Real Madrid), non Diego Armando Maradona né tanto meno Pelé, che ad allenare neanche ci ha provato. L’unico che può forse reggere il confronto è Franz Beckenbauer, l’amico-nemico di sempre (all’ultimo figlio il Kaiser ha messo nome Johan, ndr), campione del mondo da capitano nel 1974 e da Ct nel 1990. Sarebbe bello vederli ancora contro, ma uno è presidente del Bayern e da sempre uomo FIFA, l’altro invece ha detto basta e nemmeno protesta più. 
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo



La scheda di JOHANNES (JOHAN) HENDRIKUS CRUIJFF
Nato: 25 aprile 1947, Amsterdam (Olanda)
Ruolo: trequartista/attaccante
Club da giocatore: Ajax (giovanili: 1957-64; prima squadra: 1964-73), Barcellona (1973-78), Los Angeles Aztecs (USA, 1979), Washington Diplomats (USA, 1980), Levante (Spagna, II div., agosto-dicembre 1981), Ajax (dicembre ’81-83), Feyenoord (1983-84)
Esordio in Eredivisie: 15-11-1964, GVAV-Ajax 3-1
Primo gol in Eredivisie: 22-11-1964, Ajax-PSV Eindhoven 5-0
Esordio in nazionale: 7-9-1966, Olanda-Ungheria 2-2 (1 gol)
Presenze (reti) in nazionale: 48 (33)
Palmarès da giocatore: 9 titoli olandesi (1966, ’67, ’68, ’70, ’72, ’73, ’82, ’83, ’84), 6 Coppe d’Olanda (1967, ’70, ’71, ’72, ’83, ’84), 3 Coppe dei Campioni (1971-73), 1 Coppa Intercontinentale (1972), 1 Supercoppa Europea (1972), 3 Palloni d’oro (1971, 1973, 1974), 1 campionato spagnolo (1974), 1 Coppa di Spagna (1978)
Club da allenatore: Ajax (1985-gennaio ’88), Barcellona (1988-96)
Palmarès da allenatore: 2 campionati olandesi (1986, ’87), 2 Coppe d’Olanda (1986, ’87), 2 Coppa delle Coppe (1987, ’89), 1 Coppa di Spagna (1990), 4 campionati spagnoli (1991, ’92, ’93, ’94), 1 Coppa dei Campioni (1992), 1 Supercoppa Europea (1993)
In nazionale da Ct: Catalogna* (2009-2013)

(*) non riconosciuta da UEFA e FIFA.


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