CAPITOLO 37 - Simply The Best


«Non ci sarà mai un altro Michael Jordan»
- Magic Johnson 

«È il più grande puro e semplice giocatore di basket di tutti i tempi»
– Jerry West

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Michael Air Jordan
© Rainbow Sports Books

Nel frullatore spazio-temporale che, alla ricerca della spremuta ideale, tritura i migliori atleti del secolo relativamente agli sport di squadra, la frutta americana è sempre la stessa: Babe Ruth per il baseball, Wayne Gretzky per l’hockey su ghiaccio, Jim Brown per il football e Michael Jordan per il basket. 

Se poi ci si volesse avventurare nell'impervio terreno dell'impatto extra-sportivo, allora in quell'arena dominerebbe ancora oggi, e forse più che mai, la figura del pugile Cassius Clay, al (ventesimo) secolo, dopo la sua conversione alla religione mussulmana, Muhammad Ali. 

The Greatest, Il Più Grande, come amava (probabilmente non a torto) considerarsi e definirsi pubblicamente Ali, ha infatti rappresentato un'icona incommensurabile, soprattutto per la comunità nera, non solo quella d'America. 

Naturalmente in ambito strettamente tecnico, ogni profondo conoscitore del singolo sport può, più che legittimamente, obiettare alla scelta del quartetto sopra citato proponendo una personalissima ed altrettanto attendibile cerchia di candidati. 

Di primo acchito, non possono non venire in mente i soliti nomi. Nel football, i quarterbacks Joe Montana e Johnny Unitas, i running back Jim Brown e Walter Payton e gli outside linebacker Lawrence Taylor e Jack Ham. 

Nel baseball, Joe di Maggio, Ted Williams, Jackie Robinson, Mickey Mantle, Lou Gehrig, Ty Cobb. Nell’hockey, Bobby Hull, Gordie Howe, Bobby Orr, Maurice Richard, Guy LeFleur. Nel basket, poi, per la palma di migliore di sempre sono all’ordine del giorno i confronti fra Magic Johnson, Larry Bird, Bill Russell, Wilt Chamberlain, Kareem Abdul-Jabbar, Julius Erving, Oscar Robertson, eccetera. 

Nella NFL, un vincente per antonomasia e leader naturale come Joe Montana, per esempio, ha delle statistiche appena migliori di quelle di uno Steve Young, di un Dan Marino, di un Otto Graham o del già citato Johnny Unitas. 

Tornando per un momento a una disciplina individuale come il pugilato, quello che in molti continuano a ritenere il più grande (che non significa più forte) peso massimo di sempre, Muhammad Ali, dovette perdere il campionato mondiale per ben tre volte per poi poterlo riconquistare di nuovo. 

Il suo record vittorie-sconfitte (56-5) non fa più impressione di quelli di altri grandissimi come Jack Johnson (78-8), Joe Louis (63-3), Rocky Marciano (49-0!) o del peso medio Sugar Ray Robinson (175-19). Eppure, al di là delle nude cifre, assi come George Herman “the Babe” (il Bambino) Ruth, Wayne “the Great One” Gretzky e Jim Brown hanno raggiunto un livello tale di dominio nei rispettivi sport da diventarne essi stessi il simbolo. 


L'atleta del secolo 

In tutta la storia del basket non c’è mai stato un talento più grande di Jordan. L’affermazione risulta vera oggi e potrebbe esserlo da qui a cinquanta o cento anni. 

Certo, ancora esistono dei miscredenti che pompano questo o quell'idolo locale nella corsa al platonico titolo di migliore di tutti i tempi. A seconda della regione di appartenenza o dei motivi di convenienza, ci sarà sempre chi spingerà per Magic, per Bird, per Robertson o per altri in ogni caso eccellenti e credibili candidati. 

Nessun altro atleta in attività in tempi recenti e in qualsiasi sport è riuscito a non venir mai meno in situazioni di tremenda pressione come ha fatto Jordan, e questo è davvero incontrovertibile. La mano freddissima di Michael è stata più che mai evidente nelle Finali NBA 1998, quando, a una manciata di secondi dalla fine della decisiva Gara-6, ha inchiodato quel jumper, divenuto ormai il manifesto di tutta una carriera, che ha battuto gli Utah Jazz e ha consegnato a Chicago il suo sesto titolo in otto anni. Pardon, il sesto negli ultimi sei anni in cui Air è stato presente per tutta la stagione. 

Nell'arco degli ultimi tre campionati con Jordan, quelli successivi al suo ritorno dal baseball, i Chicago Bulls hanno registrato 203 vittorie e 43 sconfitte. Avete letto bene, non c’è alcun errore di stampa, nessun refuso tipografico: con il “terzo” Michael in squadra, quello più maturo tecnicamente, psicologicamente e tatticamente, quello un pelo meno esplosivo ma con un tiro da fuori perfetto, quello con un ascendente inimitabile sulla Lega intera ma con un “milligrammo” di rispetto in più per i limiti degli altri, quello meno penetratore ma finissimo passatore, i Tori hanno vinto l’82.5% delle loro 246 partite disputate, e, soprattutto, il 100% di quelle che contavano. Tutto questo, negli States, lo chiamano “impatto”. 

In un gioco come il basket, fatto di balzi esplosivi, di devastanti uno-contro-uno e di supersonici contropiedi in campo aperto (guardate la foto a doppia pagina di MJ contro Kenny Anderson dei New Jersey Nets e diteci se non sembra di vedere una pantera dotata di partenza in palleggio!), dovrebbero essere le giovani leve, intese metaforicamente come stelle emergenti della Lega, quelle, fuor di metafora, dotate di gambe fresche, a dominare. Invece, Jordan - che nell’ultima finale NBA aveva toccato le 35 primavere - è stato ancora, e di gran lunga, il miglior giocatore del mondo. Sotto ogni aspetto. Una superiorità talmente assoluta, la sua, da risultare quasi imbarazzante. Jordan si è ritirato non da numero uno... Il numero uno andava cercato nel resto della NBA, lui era a parte. 


Ma perché il numero uno di sempre? 

Sappiamo che stiamo per entrare nel terreno minato dai pericolosi tranelli della soggettività, delle incommensurabili differenze di preparazione fisica, di approccio mentale e tattico alle partite, di durata e intensità dello sforzo atletico, della diversa concentrazione di talento che, per quanto negli USA sia inesauribile, non può essere dello stesso livello se diluito in otto o dieci squadre, come accadeva agli albori della NBA, o in ventinove come avviene nella Lega di oggi. 

Wilt Chamberlain, la più devastante macchina da canestri mai conosciuta, ha segnato più di Jordan. Ha realizzato 100 punti in una partita, Jordan è arrivato al massimo 69, tetto che Wilt ha sfondato cinque volte. Chamberlain ha chiuso una stagione a 50.4 punti per gara, Michael al massimo è arrivato a 37.1. Jordan però ha vinto dieci (!) volte la classifica marcatori e in sei di queste ha poi conquistato anche l’anello; Chamberlain è stato sette volte capocannoniere ma in quelle stagioni mai ha conquistato il titolo NBA: i suoi unici campionati li ha vinti infatti con la grandissima Philadelphia del 1967 e con i Lakers del 1971-72, quelli delle 33 vittorie iniziali e delle 69 vittorie in regular season, uno squadrone sì ma nel quale, nonostante il ritiro di Elgin Baylor a metà annata non era già più la prima opzione offensiva. Quella era Jerry West, non per caso primo MVP perdente delle Finals. 

Abbiamo pensato alla difesa e al numero di vittorie, i due possibili talloni d’Achille, ammesso ne avesse, dell’immenso realizzatore (e passatore, dote, questa, da molti sottovalutata) che fu Chamberlain. E ci è venuto in mente il nome di Bill Russell, il contraltare per eccellenza di Wilt. Russell ha trasformato la difesa in un’arte e ha rivoluzionato il modo di intendere e di giocare la pallacanestro dominando il gioco da sotto il proprio tabellone, una svolta epocale che, prima di lui, nessuno aveva mai saputo nemmeno concepire, figurarsi realizzare. Inoltre, Russell è passato alla storia dei canestri per essere stato Il Vincente per definizione; mentre Wilt continuava ad inanellare record su record a livello individuale, Bill seguitava ad... infilarsi alle dita anelli NBA. Anche qui, quindi, dal punto di vista puramente statistico, è vero: albo d’oro alla mano, infatti, chi può negare che il centro della dinastia dei Celtics anni Cinquanta-Sessanta abbia vinto più di Jordan? Russell ha guidato la University of San Francisco a due titoli NCAA, la nazionale USA alla medaglia d’oro alle Olimpiadi di Melbourne 1956 e nella NBA ha vinto 11 titoli in 13 stagioni tra il 1956 e il 1969 (gli ultimi tre nel duplice ruolo di giocatore-allenatore). Jordan ha vinto un titolo NCAA (1982), due (e qui supera l’ex bostoniano) ori olimpici (Los Angeles ‘84 e Barcellona ‘92) e nella NBA ha vinto 6 titoli, con due three-peat. Ma vogliamo parlare dell’impatto offensivo di Russell? Semplicemente imparagonabile con quello di MJ, non c’è da aggiungere altro. Quelle squadre di Boston, là davanti, si basavano sul movimento di palla, sulle invenzioni in contropiede dell’Houdini del Parquet, il geniale playmaker Bob Cousy, e i tiri di Bill Sharman (dalla lunga distanza) e di Tom Heinshon (dall’angolo), senza contare il contributo di Frank Ramsay, sesto uomo di lusso, dalla panca. Ma Russell, in attacco, sotto il profilo del mero numero di punti, era quasi nullo. 

Abbiamo pensato alla longevità, alla durata al top della Lega. In questo senso, non si può che prendere in considerazione l’eterno Kareem Abdul-Jabbar. L’artista dello sky hook, il gancio cielo, ha giocato nella Lega più famosa e dura del mondo per vent’anni, legando assieme vere e proprie epoche diverse come quella di Chamberlain (il quale disse di aver avuto bisogno, per la prima volta nella sua carriera, dell’aiuto di qualcuno per marcare proprio l’allora Lew Alcindor; Wilt che chiedeva un raddoppio in aiuto... Incredibile.) con quella dello stesso Jordan. Anche qui, numeri alla mano e filmati all’occhio, la candidatura è più che attendibile, ma va fatto un distinguo: Jabbar, come Chamberlain e Russell era un centro. Un pivot è un’arma potenzialmente devastante che, però, per essere efficace, ha bisogno di essere innescata: ovvero, il big man dipende dalle guardie e dalle ali dalle quali riceve il pallone. Non possiamo non considerare che Jabbar nel suo titolo a Milwaukee ebbe una rampa di lancio del calibro di Oscar Robertson e nei suoi anni migliori a Los Angeles, ad accendergli la miccia, un certo Magic Johnson, che, pure, gli ha indubitabilmente allungato la carriera. Attenzione: queste non sono considerazioni che sminuiscono il valore di Kareem, anzi, al contrario, ne forniscono una ricostruzione. 

Ma Jordan è una guardia e noi preferiremmo parlare di guardie, o, al limite, di ali piccole alla Larry Bird, alla Julius Erving, che costituiscono termini di paragone più calzanti. I nomi delle guardie che ci sembrano delle valide concorrenti all’ambito titolo di migliore di sempre sono quelli degli stessi Robertson e Magic, Jerry West (ottimo difensore, sì, ma infinitamente meno esplosivo di MJ, e grandissimo tiratore, soprattutto quando contava). Big O, assieme a West, è forse il nostro preferito come runner up (secondo classificato) nell’ipotetica “finale” per l’assalto al trono virtuale di re Jordan: Oscar ha avuto cifre da sogno, disponeva di un bagaglio tecnico completissimo anche se, la tara è sempre la solita, non è parso un difensore della stessa ferocia di Michael; e questo discorso sulla tenuta difensiva è estendibile anche a Larry Bird e a Doctor J (che forse era addirittura più spettacolare di MJ, ma non aveva un confrontabile tiro da fuori). Magic, pure, non poteva disporre dello stesso talento atletico di Michael ed era una point guard pura: un passatore stratosferico, ma lontano anni luce dalle medie realizzative di Jordan. Un altro che stuzzica la nostra fantasia è Walt Frazier, l’unico ladro di palloni che possa reggere degnamente il confronto con il Signore dei Recuperi (“Air” ha vinto la speciale classifica per tre volte, ‘88, ‘90, ‘93) Michael Jordan, ma, anche qui, una lievissima pecca: avete mai visto schiacciare e volteggiare in aria l’elegante (in campo e fuori) e freddissimo Clyde? 

Negli ultimi anni, ormai tutti eravamo arrivati al punto di aspettarci da Jordan, come del tutto normali, cose assolutamente straordinarie: i puntuali jump shot (scagliati, soprattutto negli ultimi tempi, sempre più lontano dall’area “colorata”) che risolvevano le partite nei momenti caldi (alla West), i movimenti mozzafiato sciorinati in entrata (alla Doctor J) tanto lungo la “lane” quanto lungo la linea di fondo. E, forse più d’ogni altra cosa, quell’incredibile equilibrio, il controllo del corpo, quella dote innata che, eccezionalmente, teneva insieme il tutto. Quello che prima di Michael non era stato neanche lontanamente immaginabile, dopo di lui veniva dato per scontato. 

La rivista specializzata Slam, in uno studio intitolato “Stolen Movements”, alludendo ai movimenti rubati da “Black Cat” ai grandi giocatori del passato, ha ravvisato alcune sfumature del gioco di Jordan che meritano attenzione. Il turn-around jumper, il tiro in sospensione eseguito in avvitamento, per esempio, che, dell’ultimo Michael era forse diventato l’arma più preziosa, è una combinazione, naturalmente perfezionata, di quelli di Elvin Hayes, di Bernard King, di Chet “The Jet” Walker e di Larry Bird. Superfluo dire che nessuno di essi sapesse ruotare così velocemente o eseguire la conclusione in maniera così bella da vedere... 

La schiacciata denominata rock-the-world-dunk, quella vista nei vecchi filmati (in particolare contro Milwaukee), quando MJ va in contropiede e, mentre è in volo, alza la palla e la fa oscillare, non è forse una riedizione (migliorata) di quelle che era solito fare Darrel Griffith ai tempi del college, a Louisville? 

Inoltre la cup-dunk, affondata a canestro eseguita tenendo la palla con una mano e muovendola avanti e indietro prima di schiacciarla (altro video vecchia scuola), non è che un campione dei numeri ad effetto che George Gervin eseguì dalla linea laterale nel corso dello Slam-dunk Contest della ABA nel 1976. 

Ogni movimento che Jordan esibì durante la celeberrima serata (Gara-2 del primo turno dei playoff) da 63 punti al Boston Garden del 20 aprile 1986 aveva avuto in Walter Davis il suo ispiratore. 

E che dire del cambio di mano eseguito a mezz’aria contro i Lakers in quella Gara-2 della Finale NBA del 1991 (non necessario, ma bellissimo: l’unico movimento capace di far restare senza parole perfino il mezzobusto tv Marv Albert)? Elgin Baylor, forse. 

E quanto ai canestri realizzati prendendo la linea di fondo e segnando in sottomano rovesciato dall’altra parte del tabellone? Doctor J. 

Per quanto riguarda le altre sfaccettature della personalità di gioco jordaniana, è doveroso fare riferimento alla sua capacità di dominio psicologico sugli avversari, paragonabile alla ferrea determinazione e alla sicurezza nei propri mezzi di un Larry Bird. 

E potremmo continuare. Ma forse facciamo prima a concludere con una domanda: chi è mai stato contemporaneamente, cioè nel corso della stessa stagione (1987-88), il capocannoniere e il Difensore dell’Anno della NBA? 

A sentire Michael, uno che gli sarebbe piaciuto incontrare sarebbe stato proprio Jerry West. Mr. Clutch contro Air: se un paradiso c’è, deve essere un posto del genere in cui duelli così non solo esistono ma hanno vita eterna. 


36 modi per dirti grazie 

1) 29/3/’82, Finale NCAA: Georgetown University
The Shot. Dopo una serie di passaggi dentro-fuori, per simulare la penetrazione centrale per James Worthy (la stella) o Sam Perkins (la seconda opzione offensiva dei Tar Heels), North Carolina si decide (a 17Ó dal termine, con gli Hoyas avanti di uno) ad eseguire lo schema chiamato da coach Smith. Il Santone di UNC, preoccupato per il prevedibile sovraffollamento della area colorata, decide, per cercare di chiudere la contesa, di puntare tutto su quella semisconosciuta matricola che tanto non sarà filata da nessuno. Ed è proprio quello che accade. Jordan, dall’angolo sinistro, a cinque metri dal canestro, lascia partire una parabola stranissima, molto alta, che ricade facendo frusciare solo la retìna: 63-62 per i caroliniani del nord e primo campionato per Dean Smith. Tutto grazie a quel freshman dalla mano d’oro, che il primo dei suoi poi innumerevoli The Shot aveva messo sulla cartina geografica del basket e non solo. 

2) 5/1/’85, regular season: New York Knicks 
The Main Arena. Il rookie MJ scende in campo nella sua arena preferita. I Bulls perdono, intanto però il competentissimo pubblico newyorkese dimostra di apprezzare quella matricola spettacolo le cui credenziali sono di tutto rispetto: 42 punti, con 16/25 al tiro e 10/11 ai liberi. 

3) 17/4/’86, Gara-1 del Primo Turno (Quarti Eastern): Boston Celtics 
La guarigione. MJ è rientrato da poco dopo la frattura al piede e stampa 49 punti (18/26 al tiro) ai futuri campioni NBA 1986. Ma questo è solo il riscaldamento per la maratona di tre giorni dopo. 

4) 20/4/’86, Gara-2 del Primo Turno (Quarti Eastern): Boston Celtics 
La Consacrazione. Michael alla terza partita di campionato si era prodotto una frattura da stress ad un piede e l’infortunio, apparentemente banale, gli aveva fatto perdere 64 partite di regular season e la stima che provava per i due Jerry: Reinsdorf, il proprietario, e Krause, il suo braccio destro e GM. Jordan brucia dalla voglia di giocare (49 punti in Gara-1) e, al Garden, davanti a Larry Bird, in diretta tv nazionale, inscena uno show: 63 punti (potendo contare però su due tempi supplementari), 22/41 dal campo e 19/21 dalla linea. “Per me, è Dio travestito da Michael Jordan”, è il commento di The Legend, uno poco incline ai facili entusiasmi. 

5) 1/11/’86, regular season: New York Knicks 
La Promessa. L’imberbe (35 anni) Doug Collins si è appena seduto sulla panca dei Bulls e Michael, che pure qualche frizione con lui l’avrebbe poi avuta, decide di fargli un regalo per l’esordio. “A metà dell’ultimo quarto, è venuto da me e mi ha detto: ‘Non Le lascerò perdere la sua prima partita NBA da allenatore’”. Promessa mantenuta attraverso 50 punti (di cui 40 nella ripresa) nel suo tempio, il Madison Square Garden. 

6) 21/11/’86, regular season: New York Knicks 
Palleggio-Arresto-Tiro. Chicago vince 101-99 e sembra una normale giornata di routine. Quello che può apparire un po’ meno normale sono i 18 punti conclusivi, segnati... tutti da Jordan. In quella stagione dei miracoli (in attacco, 37.1 ppg), la prima di nuovo a pieno regime dopo il grave infortunio, Michael sembra inarrestabile, e il modo in cui conclude la sfida con i Knicks è il simbolo di un’annata irripetibile: sul punteggio di 99 pari, coast-to-coast, poi arresto-e-tiro dalla media. Ciuff. Come nei manuali, solo che qui non era su carta. 

7) 26/2/’87, regular season: Boston Celtics 
Leggende a confronto. Ancora una volta, di fronte a Bird, che poco meno di un anno prima lo aveva scambiato per “Dio travestito da Michael Jordan”, MJ si esalta: 58 punti (26/27 ai liberi!), di cui 15 degli ultimi 17 segnati dai Bulls prima dell’intervallo. 

8) 4/3/’87, regular season: Detroit Pistons 
L’Astio. Per Chicago quei Pistons sono gli ancora insuperabili, detestatissimi Bad Boys, ma in quell’occasione MJ non si sarebbe fatto intimidire: 61 punti, con 22/39 al tiro e con 17/18 dalla linea. Le Regole, quella sera, le dettò Jordan. 

9) 16/4/’87, regular season: Atlanta Hawks 
La scalata dei Tremila. Mancano ancora due partite alla fine della stagione offensivamente più incredibile che Jordan abbia mai realizzato. Gli mancano 37 punti per raggiungere il record di segnature in una regular season (3.000) detenuto da Wilt Chamberlain. Avendo ancora due partite, Michael potrebbe farcela. Decide invece di rompere gli indugi e con gli Hawks ne mette dentro 37 nel solo primo tempo! Terminata anche la seconda frazione, il suo score personale dice 61: il record dovrebbe averlo battuto… 

10) 3/4/’88, regular season: Detroit Pistons 
Il mastino difensivo. Uno degli avversari che più hanno fatto soffrire Jordan nel corso della sua carriera, seppure sempre con l’imprescindibile apporto dei raddoppi, è sempre stato Joe Dumars, la guardia compagna di Isiah Thomas nel backcourt dei Pistons. Stavolta non sembra esattamente così: per MJ, 59 punti 40 dei quali ottenuti infilando i primi 20 dei suoi 24 tiri. A soffrire deve essere stato il duro Joe... 

11) 17/2/’89, regular season: Milwaukee Bucks 
Auguri. Jordan compie 26 anni e li festeggia a modo suo: con una torta da 27 punti nel solo quarto periodo di gioco (!) e, per ciliegina, il tiro decisivo dai cinque metri nella vittoria casalinga per 117-116. Cin-cin. 

12) 22/3/’89, regular season: Phoenix Suns 
Thunder Dan. La matricola Dan Majerle furoreggia nella Lega dopo averlo appena fatto alle Olimpiadi di Seul 1988 (nonostante gli USA non fossero andati oltre il bronzo, episodio che, assieme ai soliti motivi di cassetta, dette il via libera all’operazione Dream Team). Majerle è una guardia molto potente e dal mortifero tiro da tre e qualcuno lo etichetta come potenziale marcatore ideale di Jordan. Bad idea, Dan il Tuono: 53 punti sul groppone da quel fulmine col 23. 

13) 7/5/’89, Gara-5 del Primo Turno (quarti Eastern): Cleveland Cavaliers 
The Shot, part II. La situazione della serie (al meglio delle tre partite) vede in vantaggio i Bulls per 2-1 e MJ aveva avuto la possibilità di chiudere il discorso ma l’aveva fallita dalla lunetta. Si va allora a Cleveland e il povero Ehlo non dimenticherà mai Il Tiro (il primo nei pro’) che Jordan gli avrebbe stampato in faccia. E pensare che a 12’ dalla fine Jordan segna il jumper del 99-98 per i Bulls, lo stesso Ehlo risponde di tabella a 4’ dal termine credendo ormai di aver archiviato la pratica. Jordan però decide di uscire dallo scaffale, di palleggiare per due volte, di arrestarsi, galleggiando nell’aria una mezz’oretta, e di Swish. Gatorade ringrazia per lo spot. 

14) 28/3/’90, regular season: Cleveland Cavaliers 
High. Per Mike è il record in carriera per punti segnati in una partita: 69, con 23/37 al tiro con 21/23 ai liberi e l’ausilio di un overtime. Ancora i Cavs, poverini, ma che gli avranno fatto? “Non so perché, ma, in effetti, ho sempre fatto buone prestazioni contro Cleveland”, ha dichiarato His Airness. Già, in effetti. 

15) 7/6/’91, Gara-3 delle Finali NBA: Los Angeles Lakers 
La Prima Volta. 1990-91 è la stagione del primo Anello dei Bulls e la terza partita è una lotta durissima. Dopo aver sbagliato da fuori il tiro decisivo in Gara-1 ed essersi sorbito le critiche che vedevano Magic come uomo squadra migliore di lui (nei rispettivi ultimi possessi-palla, Johnson aveva pescato con un assist un compagno meglio piazzato che aveva realizzato, mentre Jordan aveva deciso di fare tutto da solo e aveva sbagliato), Michael stupisce il mondo in Gara-2 con Da Move, l’immortale movimento in entrata (su Perkins, ex suo compagno a UNC) in cui MJ per segnare cambia mano in volo. Ora, in Gara-3, è il momento della verità. Lakers avanti di due, a meno di 10" dallo scadere. Air, reduce da un inguardabile 9/11 nelle ultime conclusioni, non si perde d’animo e cerca di segnare in coast-to-coast ma, all’ultimo momento, venutogli addosso in raddoppio il centrone Divac, cambia idea e segna dalla media, dopo arresto volante e colpo di reni all’indietro. Canestro e supplementari. Poi vince Chicago. 

16) 29/4/’92, Gara-3 del Primo Turno (quarti Eastern): Miami Heat 
I Clic Clac. È la serata delle nacchere, il patetico tentativo di assordare Michael che inscenano i tifosi degli Heat. I Bulls sono già 2-0 nella serie e MJ vuol chiudere il conto. Missione compiuta: 56 punti, con 20/30 al tiro e 12/13 dalla lunetta, e sweep di Miami. 

17) 17/5/’92, Gara-7, Semifinali Eastern: New York Knicks 
Il Bullo. Mai prima di questa volta i Bulls dell’epoca d’oro sono stati costretti alla settima partita di una serie di playoff. Xavier McDaniel, il duro dei ghetti newyorkesi, passa alla storia con l’impagabile monito: “Chiudetemi in spogliatoio con tutti i Bulls e sarò io quello che ne esce vivo”. McDaniel, sin lì, aveva vessato il povero Pippen. Michael da vero leader va a muso duro sul bullo. Risultato: 42 punti suoi (di cui 18 nel primo quarto) e vittoria (di gara e serie) per i Bulls. 

18) 3/6/’92, Gara-1 delle Finali NBA 1992 
Da Fuori. In sede di presentazione, i media annunciano la sfida come Jordan contro Drexler, ponendoli così sullo stesso piano, con specifica sottolineatura che, pur con meno di classe, riseptto a lui The Glyde tirava meglio da fuori. Non l’avessero mai scritto: 6/6 da tre nel solo primo tempo, con Michael che dopo l’ultima tripla si gira verso Magic e gli altri inviati dei media tenendo le braccia larghe come a dire “è solo un caso…”. Seh. 

19) 16/1/’93, regular season: Orlando Magic 
Multinazionali Contro. Primo duello NBA fra Jordan e O’Neal, ma qualcuno ci vede anche uno scontro a più ampio raggio: Nike contro Reebok. Quest’ultima è la grande concorrente della casa di Beaverton e per contrastarne il passo la multinazionale inglese si è assicurata quello che viene etichettato come il nuovo Chamberlain. O’Neal è stato ricoperto d’oro e propagandato come Fenomeno ancora prima di giocare una sola partita NBA e di aver dimostrato di esserne all’altezza. Per Jordan, una sfida imperdibile. Non fa in tempo ad iniziare la gara che MJ allenta uno stoppone al primo tiro di O’Neal e glielo fa da dietro. Mike finisce a quota 64 punti (anche se perde un pallone decisivo che costa alla sua squadra la sconfitta). Oggi O’Neal, pur grandissimo, è stato scaricato dalla Reebok. Solo un caso? 

20) 1/2/’93, regular season: Utah Jazz 
Il Grande Freddo. I Bulls all’inizio dell’ultima frazione di gioco si trovano a -15, una temperatura polare, soprattutto se si gioca a Salt Lake City. Incominciato da poco il quarto periodo, Jordan decide di riscaldare un po’ l’ambiente: la situazione è di 84-71 per i locali, ma MJ segna due volte in jumper e si va sul punteggio di 84-75; poi Air realizza altri quattro punti (di cui uno in transizione e l’altro ancora in sospensione) e ora Chicago insegue solo di 5. Il rush finale dell’Alieno si materializza con sette canestri sui nove che la sua squadra segna in quei minuti finali. Michael chiude l’incontro con 37 punti (di cui ben 20 ottenuti negli ultimi 12’) e porta i Tori alla vittoria (96-92). 

21) 15/5/’93, Gara-3 del Primo Turno (quarti Eastern): Cleveland Cavaliers 
The Fade-Away Jumper. Serie sul 2-0 per i Bulls, ma punteggio pari. Inutile pensare ad una soluzione diversa che non preveda Michael per l’ultimo tiro. Il fatto che a marcarlo ci sia Gerald Wilkins (rivale storico e fratello del più noto Dominique), autoproclamatosi l’Anti-Jordan (The Jordan Stopper, per la precisione), non fa che accrescere la sete di competizione del perenne (da questo punto di vista) disidratato MJ. Affrontato da Wilkins e chiuso dal raddoppio di ÒHot RodÓ Williams, Jordan inventa un movimento memorabile e, girandosi dalla parte opposta, va a tirare dall’angolo col suo classicissimo fade-away jumper, il tiro in sospensione scomparendo all’indietro. 

22) 31/5/’93, Gara-4 delle Finali della Eastern: New York Knicks 
La Vendetta. John Starks ha le polveri asciuttissime e decide le prime due gare in favore di N.Y.; nel terzo incontro vincono i Bulls nonostante un impreciso Michael (3/18 dal campo). A stuzzicare MJ in quella occasione c’erano state le polemiche, scoppiate proprio alla vigilia della quarta partita, sulla scappatella che la notte prima di Gara-2 si era concesso ai tavoli verdi di Atlantic City; e, in misura minore, l’affondata ricevuta in faccia da parte dello stesso Starks che aveva chiuso sempre la famigerata seconda sfida. Risultato: il can che dormiva si sveglia di brutto e morde 54. 

23) 16/6/’93, Gara-4 delle Finali 1993: Phoenix Suns 
La Consapevolezza. Chicago conduce 2-1 nella serie (fattore campo sempre non rispettato), c’è qualche bisbiglio che MJ non domini più come una volta, perché Jordan aveva avuto un inguardabile 9/22 nella parte conclusiva di Gara-3 (persa in casa dopo due overtime). Morale: 55 punti, con gioco da tre punti (canestro in acrobazia aerea più fallo di Barkley) a risolvere la contesa. 

24) 25/3/’95, regular season: Atlanta Hawks 
Il Ritorno. Sei giorni prima, sul parquet della Market Square Arena di Indianapolis, Michael era tornato a giocare su un campo NBA. Contro gli Hawks, torna a fare quello che gli viene naturale: decidere le partite. Coast-to-coast e arresto-tiro dai 5 metri. Ciuff. 

25) 28/3/’95, regular season: New York Knicks 
Double nickel, Part I. Michael è alla quinta partita dopo aver mollato il baseball ed essere tornato se stesso, vale a dire il più grande giocatore di basket del Creato. 55 punti al Garden (in 39’: 21/37 dal campo, 10/11 ai liberi, in 39’), e la Mecca del basket viene ancora una volta espugnata, 113-111. La vittoria, per inciso, è arrivata su schiacciata di “Billone” Wennington, innescato da… 

26) 28/4/’95, Gara-1, Primo Turno (quarti Eastern): Charlotte Hornets 
I’m Back! Michael è tornato da poco più di un mesetto e, mollate mazza e pallina, si rituffa nella per lui inebriante atmosfera dei playoff NBA. Gara-1 si gioca a Charlotte perché gli Hornets, in virtù del loro miglior record, si sono conquistati il vantaggio-campo. Per Jordan, nessuna differenza: 48 punti (di cui 10 nell’overtime) nella vittoria dei suoi Bulls per 108-100. 

27) 6/11/’96, regular season: Miami Heat 
An Early Message. Un messaggio anticipato da dare all’intera NBA, la cui stagione è appena incominciata, rende tutto più chiaro. È Michael a mandare l’avvertimento alle contender: 50 punti (18/33 dal campo). La Drive for Five è già incominciata. 

28) 21/1/’97, regular season: New York Knicks 
Il Nanerottolo. Dopo le dichiarazioni del coach di New York, Jeff Van Gundy, che gli aveva rimproverato di ingraziarsi subdolamente gli avversari (prospettando loro possibili future partnership, endorsement, eccetera) allo scopo di diminuirne la cattiveria agonistica in campo, Jordan si vendica. 51 punti e canestro vincente. Ciao-ciao nanerottolo, gli dice Mike. 

29) 12/2/’97, regular season: Charlotte Hornets 
La Tripla. Il Jordan che era approdato alla NBA non aveva un gran tiro da fuori, se lo è costruito. E anche bene, a giudicare da come ha deciso la sfida con gli Hornets. Da dietro l’arco, proprio sulla sirena. 

30) 18/3/’97, regular season: Seattle Sonics 
La Lunetta. Si gioca l’overtime a Chicago. A 8Ó dal termine, fallo di The Glove (Il Guanto, per come sa avvolgersi attorno a qualsiasi avversario) che manda MJ alla linea dei liberi: 2/2 e vittoria dei Bulls. 

31) 30/4/’97, Gara-2, Primo Turno (quarti Eastern): Washington Bullets 
Double nickel, Part I. Se al college, a Michigan, il duo Chris Webber-Juwan Howard faceva faville (timeout a parte) con il resto del tanto pubblicizzato “Fab Five”, al piano di sopra professionistico c’è un Fab One: Michael Air Jordan. Ennesimo Double nickel di MJ: 55 punti, con 22/35 dal campo e 100% (10/10) ai liberi. 

32) 1/6/’97, Gara-1 delle Finali: Utah Jazz 
Il vero MVP. Malone fa 0/2 dalla lunetta nei secondi finali. Un errore pesantissimo anche nell’economia dell’intera serie, e che Jordan non perdonerà. Quando Bryon Russell, buon tiratore dall’arco e ottimo difensore, si illude di rubare palla a Michael in palleggio e, nel compiere il tentativo si sbilancia, MJ lo punisce proprio quando il difensore dei Jazz ha meno di un millisecondo in cui è fuori equilibrio. Jumper di Jordan e l’importantissima prima partita va in tasca ai Bulls. 

33) 11/6/’97, Gara-5 delle Finali: Utah Jazz 
Il Carattere. Forse La Partita di Jordan. Gli Utah Jazz avevano vinto due partite in casa consecutive (i Bulls avevano fatto lo stesso) e adesso c’era Gara-5 – solitamente la sfida più importante in turni di playoff al meglio dei sette incontri – anch’essa al Delta Center di Salt Lake City. A peggiorare (di molto) le cose ci si era messo il virus intestinale che aveva costretto a letto Michael per tutto il giorno prima, con febbre alta, vomito e nottata in bianco. Jordan non si sottrae ai suoi doveri di eroe sportiva e gioca. Bulls già a -16 nel secondo quarto, poi rimontano. Michael, con 38 ¼ di febbre, ne segna 38 in campo, compresa la tripla che taglia le gambe all’ultimo disperato assalto di Malone e compagni. Vittoria (90-88) apripista per il quarto titolo. FourmidaBulls. 

34) 13/6/’97, Gara-6 delle Finali: Utah jazz 
L’Assist. In Gara-1, i Jazz non avevano raddoppiato la marcatura su Jordan e avevano pagato. In Gara-6, Michael sa che Utah non ripeterà lo stesso errore e avverte Kerr: il tiro decisivo toccherà a lui. Steve non si lascia schiacciare dalla pressione e, quando Stockton, che lo marcava, gli si stacca di dosso per andare appunto in raddoppio su Air, questi dimostra di essersi evoluto nel giocatore più intelligente che il basket abbia mai avuto. Jordan (che intanto ha già accumulato 39 punti e 11 rimbalzi) scarica a Kerr solo quando lo shooter up dei Bulls è smarcatissimo. Conclusione pulita, quinto titolo in tasca. 

35) 2/1/’98, regular season: Milwaukee Bucks 
Lo Shootout. È una sparatoria, quella con Glenn “Big Dog” Robinson. La gara a chi segna di più la vince Jordan (15/22 dal campo), 44-42; la gara tout court la vince Chicago, 114-100. Una volta, però, le sfide individuali MJ le faceva con ’Nique Wilkins ed era un’altra cosa. 

36) 14/6/’98, Gara-6 delle Finali: Utah Jazz 
Lo Stile. Forse la seconda partita di sempre di Jordan, per l’impatto sul risultato finale ma anche per come l’ha ottenuto. Recupero decisivo su Malone e perla in jumper (stranamente non ricadendo all’indietro) dalla media che dà, davanti ai tifosi di Chicago, il sesto titolo ai Bulls. La mano destra protesa, dopo il tiro risolutivo, a 6.6” dalla sirena, è l’ideale suggello di una carriera fotografa tutto: la sesta sfida, la serie, il campionato, il secondo Three-Peat. Sweet Six. 

CHRISTIAN GIORDANO
Michael Air Jordan

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