Maurizio Fondriest, il meno trentino dei corridori


di CHRISTIAN GIORDANO © 
IN ESCLUSIVA per Rainbow Sports Books © 

sede Fondriest Commerciale 
Cles (Trento), martedì 10 aprile 2018 

- Maurizio Fondriest, 1988-2018, trent’anni dal tuo mondiale. Da dove vuoi partire? Dal Cammino, in senso metaforico e no? 

«Dal Cammino, sì. I trent’anni, e il cammino di Santiago de Compostela». 

- L’hai annunciato a marzo. Come ti è venuta l’idea? 

«Bisogna tornare indietro di undici anni. [Francesco] Pierantozzi, che lavora in Sky, e io eravamo al Giro di Svizzera. E gli ho detto: Guarda, l’anno prossimo saranno dieci anni… Che bello, perché non andiamo a Santiago de Compostela e realizziamo un video? Io e te, andiamo là e facciamo qualcosa… Sì, dai che lo facciamo. Poi ho pensato che diventava complicato, allora ho organizzato e sono andato a Roma. Abbiam fatto un film con Sky, in due puntate. È anche venuto molto bene. Però, con lo scopo di festeggiare i vent’anni del mondiale, volevo festeggiare anche gli ex campioni del mondo italiani. Un ringraziamento a queste persone che hanno fatto grande il nostro ciclismo. E quindi ho detto: faccio delle tappe per arrivare a Roma, cercando di arrivare il più possibile dagli ex campioni del mondo. Il primo giorno, con Moser, son andato a Padova. Son partito dal Santo e il giorno dopo, nella festa di sant’Antonio – avevo fatto fare una scultura in legno da uno scultore qua della val di Sole, la scultura è nel comune di Cles –, l’abbiam portata e l’abbiam fatta benedire al Santo. Siam partiti dal Santo con un gruppo di persone, e c’era anche l’AIL di Padova. Si era aggregata perché c’è stato un mio amico che aveva avuto un problema con la figlia, che è stata curata a Padova. Questo mio amico è venuto a fare il viaggio con me e siam ripartiti da Padova. Poi siamo andati a Piacenza, dove è venuto Saronni. Piacenza era una tappa di avvicinamento, perché poi sono andato a Castellania [per] Coppi. Siam ripartiti da Parma con Vittorio Adorni. Son arrivato a Bologna, la città della mia prima squadra da professionista [l’Alfa Lum, nda]. Son partito da Forlì, il giorno dopo, con Ercole Baldini. Son arrivato a Calenzano da Alfredo Martini. Moser lo avevo fatto qui. Argentin era venuto a Castelfranco Veneto, però alla cena. Saronni è venuto a Piacenza all’arrivo. E poi la tappa più bella è stata quando siam partiti da Ponte a Ema, dalla casa di Bartali. E il giorno dopo, Bartali ha raccontato… Ma se ti vai a prendere in Sky il video, lì c’è proprio lui che racconta la sua storia, di suo papà che si fermava a Terontola, dove hanno scoperto la lapide in memoria del papà di Gino. Son stati momenti veramente emozionanti. Siam arrivati ad Assisi, dalle suore di clausura dove Bartali andava a portare i documenti. Tutto questo c’è nel video. C’è tutta questa storia, che è bellissima. E racconto anche del mondiale. Siamo andati dal papa. E per i vent’anni ho detto: Bah, sarebbe bello tornare all’idea iniziale di andare a Santiago». 

- Quanto c’entra – se c’entra – la religione in tutto questo? 

«No, no. Son credente però a volte quello che la chiesa ha fatto mi fa pensare. Però, dici, alla fine hai delle persone, nella chiesa, che nella storia hanno fatto delle cose…». 

- Ho parlato a lungo con Baronchelli, che essendosi avvicinato molto a un certo tipo di religiosità, di spiritualità, è molto cambiato. E allora, quando ho letto di te e di questa cosa, ho subito pensato… 

«Invece, non è quello. Nella mia filosofia, di cercare di almeno non fare del male agli altri, se posso fare del bene lo faccio. E vedo, nella storia della chiesa, della gente che ha dato tutto per il bene degli altri. Dopo, la chiesa, se guardiamo la Storia, dici: è meglio non pensarci, perché son delle cose che fanno rabbrividire, no? Però è anche giusto dire: okay, il papa che c'è adesso riconosce magari che tante problematiche… Però alla fine vado là perché un po’ è spirituale ma perché penso sia una cosa che ti fa star bene, fare del bene a qualcuno. L’obiettivo di quest’anno è quello di sensibilizzare la gente alla sicurezza stradale, no?». 

- Che va col tema del Giro quest’anno, in memoria di Michele Scarponi. 

«Sono i trent’anni, però ho detto: ho la visibilità grazie alla Gazzetta dello Sport, perché questo dopo il viaggio era costruito perché faccio questi viaggi e ho chiesto a lor di avere un evento mio per i trent’anni, loro hanno accettato e quindi è un viaggio che è venduto ai clienti normali però molto particolare perché avremo Pamplona per Indurain, verrà Indurain il primo giorno alla cena, e verrà Marco Cavorso che è il papà di Tommaso Cavorso [1], che è quel ragazzino che è stato ucciso. Con lui da qualche anno sai è diventata un po’ anche un’amicizia, lui sta spingendo per il cambiamento della legge sull’omicidio stradale e cerchiamo allora sai, l’ho fatto all’inizio molto perché secondo me è fare del bene alle persone. Essere vicino a questo qua è fare un’opera di bene». 

- È una delle grandi ricchezze che quella maglia lì ti ha lasciato? Al di là della gloria delle ricchezze. Quando incontri la genti senti che quella maglia lì significa tanto, al di là delle corse. 

«La maglia se pensi il campionato del mondo, io ho vinto due coppe del mondo e mi ricordo alla premiazione della coppa del mondo, ho detto a Jean-Marie Leblanc, che era il patron del Tour, ho detto: questa maglia non conta niente, e a livello agonistico vale più del campionato del mondo, perché ha un valore di tutto un anno, di una continuità, però il campionato del mondo è un giorno, vesti la maglia di…, e tutti ti riconoscono campione del mondo. A vita». 

- Me l'ha detto anche Alessandro Ballan: No, no, non esiste la parola "ex" campione del mondo: "Uno che vince quella maglia lì, è campione del mondo per tutta la vita". Mi ha fatto riflettere…

«Ti dà… Dopo, aspetta, ci sono degli ex campioni del mondo che di loro non si ricorda nessuno, [Laurent] Brochard, così… quello che hai fatto, non solamente quello, perché ho vinto anche altre corse. Magari avrei vinto molto di più senza problemi alla schiena però ho vinto 69 corse con coppa del mondo… Quindi il valore del mondiale ha un significato ancora maggiore. E avendo la visibilità ho detto devo cercare di sfruttarla anche per il bene degli altri». 

- Il che non è così scontato però. E visto che parli di viaggio avanti e indietro nel tempo mi parli trent’anni fa hai vinto quel mondiale lì, ma quando sei entrato tu sei passato professionista nell’87 e sei passato con tante aspettative perché avevi fatto una signora carriera da dilettante. Però sei stato forse uno dei primi casi, magari firmando un contratto importante subito, sei stato accolto con tanta invidia, e c’era anche tanto nonnismo. Tu stesso in tante interviste il ciclismo era diverso… 

«Il ciclismo era diverso perché se pensi calendario dell’epoca io ho proprio vissuto proprio il passaggio, no? Il calendario dell’epoca, iniziavi a correre, una squadra italiana eravamo in dodici squadre professionistiche, no? Squadre che davano a fare le classiche avevi Supermercati Brianzoli con Moser, la Carrera che andava sempre – perché era quella che andava sempre al tour – poi al Tour chi andava? Sì, è andato Stanga con Bugno subito dopo, però al Tour andavi una o due squadre che andavano., tutte le altre squadre italiane facevano e le classiche, io mi ricordo son andato – ero alla Ecoflam che poi è diventata Alfa Lum. Ma noi siamo andati a fare Wevelgem, e Roubaix, primo anno, mi han portato su…». 

- Tra l’altro era una corsa che tu sognavi da bambino, no? Uno dei tuoi pallini. 

«Sì. E però eravamo noi, Carrera e Supermercati Brianzoli. Punto. Tutte le altre squadre italiane facevano calendario nazionale. Io la mia prima corsa l’ho vinta in Spagna, al Catalogna. Era l’unica squadra italiana, là. Raramente. Ruta del sol c’era Saronni, che ogni tanto alla Ruta del sol andava, come prima gara, prima del Sicilia. Altrimenti, si faceva il Sicilia – che c’erano anche squadre straniere che arrivavano, no? – Facevi il Pantalica, l’Etna, no? Tirreno-Adriatico era la prima grande corsa dove ti scontravi con altre squadre [straniere]. E Sanremo, no? Poi tornavi a fare tutte le gare in Italia. Giro d’Italia. Dopo il Giro d’Italia, io ho fatto il Giro di Svizzera – perché al Giro di Svizzera avevi un paio di squadre italiane che lo facevano. Quindi era un calendario molto nazionale – e questo vale va per la Francia, per il Belgio – e ti scontravi in meno occasioni rispetto adesso con i più forti. Quindi tutte le corse in Italia erano come il campionato italiano. Quindi mi scontravo con Saronni, con Moser, con Argentin, con Bontempi, con gavazzi. Con tutti e in tutte le corse. Quindi il nonnismo c’era. La mia prima corsa mi hanno presentato ai grandi. Quindi avevo vinto l’ultimo anno 14 corse, settimo ai mondiali [dilettanti, vinti dal tedesco orientale Uwe Ampler, nda], tutte le corse più importanti. Tutti mi volevano. Moser voleva che io… da una parte volevo andare dall’altra non volevo rimanere un po’ nell’ombra, no?  quindi…». 

- Ferretti all’Ariostea... 

«Con Ferretti all’Ariostea mi voleva però alla fine sono andato in questa squadra, piccola, però c’eran dentro Caroli, Amadori, maini tutti questi corridori anche importanti». 

- Tu del Marino Amadori corridore sei stato l’ultimo capitano. 

«E quindi ho corso, son andato là però tutti gli altri, anche la Carrera mi aveva chiesto no? però il primo anno che facevo il capitano». 

- Perché hai detto no alla Carrera di Boifava e alla Ariostea di Ferretti? 

«Anche lì perché…». 

- Ferretti non l’ha prese bene… 

«Eh no, sì. Anche lì, perché… Okay, vado in una squadra più piccola, dove io faccio la mia corsa». 

- Ma sceglievi tu con la tua testa o anche i tuoi sono stati importanti? Perché all’epoca tu ti sei beccato anche delle critiche, ingenerose, perché dicevano: eh, però la famiglia [papà Cornelio e mamma Anna Maria, ma anche il fratello maggiore Francesco, di due anni più grande] è un po’ troppo pressante, vero? 

«C’era mio papà [Cornelio, ex giudice di gara, nda] che anche lui… Tornando indietro, che scelta avrei fatto? Non lo so, sai da una parte dico, sei andato in una squadra pu grossa dove avrei fatto esperienza, cresciuto, no? però lì’ ho fatto la mia corsa, il capitano, ma questo grazie a Amadori, Caroli, che mi stava vicino. E io già al primo anno son arrivato terzo alla Parigi Tours [dietro agli olandesi Adri van der Poel e Teun van Vliet, nda], che si chiamava [dal 1985] Créteil-Chaville [tornerà a chiamarsi Parigi-Tours dall’anno dopo, il 1988, nda], ho vinto davanti a Kelly quando ho vinto la prima corsa, quindi correvo sempre … era un po’ la mia mentalità, no? di correre per me stesso». 

- A qualcuno dava un po’ fastidio… 

«Adesso sarebbe impossibile fare quella scelta, no? perché, bisogna essere realisti, il livllo è più alto. Perché logicamente con corridori da ogni parte del mondo il livello si alza, ragazzo più giovane, vai a correre solo corse importanti e quindi…». 

- Prendi uno che conosci bene, uno come Gianni Moscon, per esempio: un paragone tra la sua formazione e la tua? 

«Ma lui è passato in Sky e quindi logicamente all’inizio ha fatto un po’… tra i tanti capitani devi un po’ anche aiutare gli altri. È un po’ diverso per quello. io ho avuto comunque la vita difficile perché se penso quando ho vinto la tappa alla Tirreno-Adriatico a Monte Urano [la 4ª tappa, Paglieta-Monte Urano di 228 km] prima della Sanremo, poi sono arrivato secondo alla Sanremo». 

- L’anno di Fignon.
 
«Sì, nell’88. Io quell’anno lì, sai, avevi tutti che continuavano martellare, io avevo sempre ventun anni ventidue anni, quindi non sei maturo, non sono io adesso. E quindi ero abbastanza non timido però son sempre stato molto tranquillo, no? però mi ricordo che dopo l’arrivo, sai i giornalisti, perché Saronni soprattutto mi aveva attaccato: ah, Argentin non è ignorante come certi corridori, ma riferito a Saronni, puoi immaginarti, dopo son andati da Saronni a dirgli, sai che Fondriest ha detto sta cosa qua, e avanti un… E sono delle esternazioni che te dici, sono sbagliate». 

- Ma le avevi fatte o te le avevano messe in bocca? 

«No, no, le avevo fatte. Perché non vedevi l’ora di toglierti i sassi dalle scarpe perché… e carica e carica e carica, non vedevi l’ora [di]... E dopo dici: è sbagliato, perché, sai, hai esagerato, no? però l’ho fatto, e in questo modo però ti… hai tutti che se perdevo o andavo male, erano contenti, no? E dopo il mondiale non è che han detto, le dichiarazioni, ah bravo… no?». 

- Bugno è andato via subito no? 

«Con Bugno no, con Bugno era proprio per la rivalità che c’era». 

- Ma lì ci sei rimasto male o no? 

«No, no. pensavo solo a quello che avevo fatto, che non mi ero neanche accorto che non c’era sull’aereo [al ritorno], per dire, no?». 

- È vero che avevi paura dell’antidoping, perché c’era qualcuno un po’ alticcio… 

«Tornavamo indietro all’arrivo e c’erano tutti i poliziotti schierati con la gente dietro, che gridava Cri-Cri, no? E spingevano, no? a un certo punto ho lasciato la bici e son ritornato…». 

- Lì te l’han fregata e l’hai poi ritrovata? 

«C’è stato un tifoso che l’ha presa perché ha visto che la stavano… l’ha presa e l’ha riportata all’albergo. Me l’hanno riportata, sì». 

- E allora togliamoci il dente: l’anno con quella maglia lì come è stato? Anche extra-bici intendo, eh. 

«Allora: subito avevo fatto il giro del veneto con la maglia e tutti a tutte le corse ero sempre, Fondriest-Fondriest-Fondriest, anche l’anno dopo, Fondriest-Fondriest-Fondriest. Prendi i giornali che sono usciti là… l’anno dopo secondo me è stato più pesante, soprattutto all’inizio. Ero andato alla Del Tongo e quindi si aspettavano anche lì che vincessi delle corse che non erano neanche alla mia portata. Il mio tipo di corse erano quelle lì. Sanremo eh.. però non la Liegi o quelle corse lì. Quindi, sì, c’è stata la prima parte, dopo il mondiale che vesto la maglia normale, mi sembrava di essermi tolto un peso. Che adesso dici. La maglia resta bellissima, però all’epoca , con quelle situazioni, a quell’età io, se avessi vinta cinque anni dopo, per dire a Stoccarda, quando ha vinto Bugno, che stavo andando fortissimo, avrei vinto magari il mio secondo mondiale, lì magari sarebbe stato diverso. Perché ero più maturo…». 

- Tutti dicevano troppo presto, però, sai, se vinci il mondiale non è che ti fai problemi perché è troppo presto, invece volevo chiederti, dopo, sai, con quella maglia lì arrivano inviti di ogni tipo, per motivi si sponsor non puoi dire di no, la politica locale e nazionale. Quanto ti ha portato via nella preparazione durante l’inverno… 

«Anche lì, all’epoca non è che avevi una persona, un manager, o qualcuno che ti riusciva a filtrare, quindi lì le premiazioni… Allora, di carattere a me dispiaceva dire di no…». 

- Perché sennò sembrava che te la tiravi… 

«Però in certe situazioni bisogna dire no. No, perché se il mio lavoro è di fare l’atleta. È d fare al cento per cento questo. se ho del tempo… perché poi arrivavi novembre dicembre e sono quattro e otto domeniche e abati, calcola che c’erano anche tutte le feste, ’ste robe qua dici: io è meglio che vada a correre invece che… Perché non è recupero, invece di staccare anche mentalmente, ma andare in giro alle feste non è staccare, eh».

- E senza contare i trasferimenti… 

«I trasferimenti… Quindi lì una cosa più un’altra più un'altra, quell’anno lì, ho vinto al Giro di Toscana la prima con la magia di campione del mondo., è stata una liberazione. Aver vinto, no? Quell’anno l’ho fatto dodici secondi posti eh. L’anno dopo son andato male. Ho fatto dici secondi posti. Moti dei quali e per sfortuna. Al Giro d’Italia c’era via Giuliani, vinco la volata di gruppo. Un’altra tappa mi batte Fignon che Chioccioli mi tira la volata vai-vai-vai mi hanno anticipato, l’ho rimontata dopo l’arrivo, avrei vinto due tappe al giro. Giro dell’Emilia, un cambio non mi entra il “13”, mi batte Konychev per dieci centimetri. Le analizzo tutti 'sti secondi perché poi trovi il più forte…». 

- Ti togli il cappello… 

«La metà di quelle per una serie di motivi che non capisci il perché, non è… E quindi mi son trovato con dodici secondi posti e tre vittorie. Avrei vinto sei corse più le tre, nove corse, dici: una stagione di quelle stratosferiche, no?». 

- …che ti cambia… 

«E ti cambia la…». 

- Non so se sei superstizioso ma avrai sentito parlare di questo presunto sortilegio della maglia iridata. Ti chiedo se ci credi o… 

«…perché lo dicevano all’epoca allora magari lo pensavi ci pensavi invece son stupidate». 

- E quando invece hai cominciato ad avere problemi grossi alla schiena? 

«Novanta. Io ho sempre avuto qualche, la schiena mi ha sempre dato.. anche da militare, stare in piedi mi dava fastidio però più in là nel ’89 che ero al mare con mia moglie avevo male ai lombari però, con l’esperienza che ho adesso, era un problema muscolare che avrei risolto con esercizi specifici di rafforzamento addominali dorsali come sto facendo tutti i giorni cinque volte la settimana io mi alzo prima delle sei e faccio quaranta minuti di addominali e dorsali e allungamento per mantenere i muscoli tonici ed elastici., ma questo sai impari con l’esperienza, no?». 

- Prima delle sei? 

«All’epoca mi ricordo al giro d’Italia un male. Mi han portato a vedere ma era un problema proprio di… il muscolo quando è rigido vai su di pressione inizia proprio a far male e bisogna e dovevo solamente avrei dovuto lavorare per renderlo morbido e quindi quando vai sotto pressione si indurisce ma non fa male. Però anche lì visite e… Nel ’90 che ero andato con la schiena abbastanza bene, nel ’90 vado in Messico con la mia fidanzata che adesso è mia moglie [Ornella Springhetti e ha tre figli: la prima, Maria Vittoria, nasce a Cles il 20 marzo 1993 mentre papà “Mau” (così come lo chiamano in famiglia, nda) vince una delle più belle gare della sua vita, la Milano-Sanremo; la seconda, Carlotta, nasce sempre a Cles nel gennaio 1997, mentre nel maggio del 2005 arriva Lorenzo; nda], Marco Zen e la sua fidanzata abbiam fatto dieci giorni al mare. C’era un po’ le onde abbastanza alte, eravamo andati a Cancún, saltando delle onde uno degli ultimi giorni ho sentito "toc", tipo il colpo della strega. Quindi mi ricordo nel tornare a casa io portavo lo zainetto, mia moglie le valigie. Difatti due valigie perché non riuscivo a piegarmi,. Quindi son tornato a casa ti dico ho firmato per la Panasonic, anche lì decisone di andare in olanda. Lì, tra l’altro, con la Del Tongo io avevo firmato un anno, poi Del Tongo mi dice devi firmare per due anni, ’90 e ’91 “perché io voglio aver la certezza”. Ho detto: Sì, però la certezza… Se vado di più mi dai di più, se vado di meno mi dai meno. “No, no: devo avere la certezza”. E ho firmato per due anni. Dopo neanche… Nel ’90 salto il Giro d’Italia perché avevo un problema a un ginocchio. All’epoca non è che poi facevi il Tour o la Vuelta, se saltavi il Giro saltavi mezza stagione. Fa: non sei andato come volevo,. Ti do la metà. Ma come mi dai la metà? Se io l’anno prima ti ho detto. Avrei firmato un anno. E a fine anno non sei d’accordo, nella cifra, mi dai meno, io posso decidere di rimanere o andare via. Sei stato tu a volermi far firmare per due anni, no?». 

- Questo il patron proprio? 

«Questo il patron. E difatti questa è stata una delle cose di Del Tongo che son rimasto… sì, perché lo consideravo uno, con un Saronni che… Ha sempre fatto degli anni che non andava neanche a spingerlo eppure… Lo consideravo proprio un amante del ciclismo. E quindi poi ho vinto il giro del Lazio, ho vinto la Agostoni, terzo alla Parigi-Tours, e ho fatto un finale di stagione molto buono. E allora ho detto: Però…». 

- E sei andato a batter cassa? 

«No-no-no». 

- La parola è la parola. 

«Sì, io ho detto: Se non è contento, me ne vado. Vado da un’altra parte. Ho dovuto lasciar là dei soldi per andar via, perché mi ha detto: Guarda, però non ti lascio andar via senza niente, mi ha detto, no? Capito? Quindi. È una situazione... Non ho un bel ricordo di quando son andato via. Però sono andato e le richieste, le proposte che avevo: Panasonic, TVM, Once». 

- Tutte straniere. 

«Tutte straniere». 

- E tu sei stato uno dei primi grossi nomi italiani ad andare all’estero. Di solito era più il viceversa. 

«Sì. E poi io… c’era la Once che mi attirava però io volevo fare le classiche. Era Spagna però ho detto…». 

- Loro invece volevano puntare più sui grandi giri? 
«Ho detto la squadra più forte... Panasonic». 

- E perché la PDM no? Sai che ai tempi era anche un po’ chiacchierata no: “Pills, Drugs and Medicine”… 

«Sì. Per quello… Io la Panasonic mi piaceva di più, Walter Planckaert [uno dei diesse con Theo de Rooij e Peter Post, nda] e così, a pelle, mi ispirava di più la Panasonic, nessuno mi aveva mai parlato male della Panasonic. Peter post quindi insomma son andato lì…». 

- Ma tu prima di andare hai parlato con Phil Anderson, con questa gente qui? 

«No, mi ero incontrato con [Marino?] Lejarreta, con Manolo Saiz che poi alla fine ho deciso la Panasonic e contro il parere, sai, di tutti in Italia, no? Ma dove va…». 

- C’era ancora Erik Breukink? 

«No, no, no. Era andato con [Jan] Raas. Quindi mi blocco con la schiena, a novembre dovevo iniziare la preparazione., sono andato a far la visita e mi han detto: c’è una protrusione bisogna operare. Come fai a farmi operare, ho appena firmato con la Panasonic che quindi andavo ad allenarmi che dopo venti minuti avevo una fitta al gluteo sinistro e la mattina mi appoggiavo al lavandino e mi lavavo con una mano. E salivo in bici e mi allenavo, son andato a correre, ho vinto una tappa al Giro di Sicilia [in realtà era la Settimana Ciclistica Internazionale, 3ª tappa, la Agrigento-Modica; il Giro di Sicilia dal 1978 al 2018 non si è disputato; nda], mi ricordo, che avevo la gamba sinistra che non la sentivo neanche più quindi pedalavo sempre con una gamba e mezza, no, perché perdevo la potenza, no. Però, e lì correvo con la testa». 

- Tutto questo nel primo dei due anni? 

«Sì, il primo anno. E mi ricordo c’era… avevo s’to problema, parlavo con Peter Post, mi dava la sua macchina, avevo parlato con un dottore ad Eindhoven, che non avevamo né telefoni né navigatori. Mi ha spiegato la strada, cartina, ad Eindhoven, mi avevan portato una volta, poi mi davan la macchina di Peter Post, un Mercedes, e io andavo a Eindhoven…». 

- Da solo, senza nessuno che ti accompagnava? 

«Da solo. Mi trattava la parte, l’anca. E lì ho iniziato ad andar meglio: son arrivato secondo all’Amstel [1991, nda], me l’ha rubata [Frans] Maassen perché mi han portato da destra a sinistra e non hanno l’avevano squalificato. La Camicioli non ha fatto ricorso perché… [in] Olanda, gli olandesi era tanto tempo che non vincevano… Comunque, me l’hanno rubata. Però quell’anno ho vinto la Coppa del mondo. L’anno dopo, con la schiena, abbastanza bene. Novantatré, anche, bene. So che però anche lì avevo messo i rialzi sotto la scarpa perché uno mi diceva che c’era la gamba più corta... Però questo problema all’inizio me lo davano, però tutto sommato… Nel 94 son caduto alla Tirreno, mi è uscita l’ernia al disco. Quindi operato di ernia al disco ma il problema alla gamba sinistra è tornato. Me lo son portato fino alla fine. Ce l’ho anche un po’ adesso. Però adesso ho iniziato poi a fare esercizi – addominali, dorsali – per “mantenere” la schiena… perché altrimenti magari tendo a bloccarmi, no? quindi sto bene ma se ’ste cose qua le avessi fatte all’inizio carriera, sicuramente è un problema genetico alla mia schiena che non era forte come magari doveva essere, no?, rispetto al motore, la struttura., se però allora avessi fatto.. sai, mi sposto di vent’anni dopo, con osteopati così ti dicono: okay, facciamo lavori mirati, addominali... eeeehhh. E il problema non sarebbe magari neanche uscito». 

- Ci siamo arrivati in maniera naturale allora dimmi, visto che tu sei stato uno dei precursori, quasi ti prendevano in giro all’epoca perché eri fissato con le misure, hai anche inventato una macchina per… mi racconti tutta quella sfera lì? "...che va dal corpo alla bici…". 

«Io ancora da… questo grazie anche a mio papà, bisogna dirlo, che mi ha sempre inculcato il discorso della frequenza di pedalata, di agilità…». 

- Tuo papà, giudice di gara, è sempre stato un grande appassionato? 

«Sì». 

- Anche competente. 

«Anche competente. Correva. Sì, ma competente… all’epoca, sai, non potevi avere un background come adesso, perché eran solo di esperienze, non avevi internet…». 

- Tu e tuo fratello avete corso sin da piccoli, subito. 

«Sì, però sempre fin da piccoli, agilità, non la potenza. Quindi frequenza… Io facevo allenamenti, anche sugli strappi in agilità paurose. Froome. Io non ero un corridore da grandi salite ma le salite corte io facevo delle frequenze di pedalate da 130 in salita. Col rapporto… vuaaam. E quindi son passato professionista io mi ricordo, e questo dei vecchi, andavamo a fare i circuiti, eravamo in Sicilia. I circuiti, siccome erano noiosi, cento chilometri, eran già concordati – perché i circuiti eran “concordati” – e io mi annoiavo e allora io prendevo il circuito come allenamento, quindi c’erano questi strappettini, mettevo su il rapporto più agile, vooom! E magari cento pedalate. Mi ricordo che Baffi che veniva là si girava in pianura metteva il rapportino agile trrr-trrr… e faceva così mi guardava come dire sei un coglione, cosa fai, no? Mi sposto vent’anni dopo e tutti dicono guarda che frequenze che vanno in salita. Allora dico allora non ero così coglione, forse eran gli altri. Problematica dell’epoca era che io mi trovavo a disagio sulle salite lunghe perché non avevi i rapporti adeguati. Perché non potevi averli, perché avevi sette rapporti, noi correvamo col “12/21” a volte col “23” ma anche il “23” non lo montavo perché altrimenti la scala era troppo…». 

- La catena faceva troppa fatica? 

«No-no-no, saltavi di due o tre denti tra uno e l’altro, allora per averli più+ vicini… adesso con l’11 il problema non sussiste. Puoi arrivare al “28”. Quindi avevamo il “42” davanti, quindi nelle salite lunghe, a pedalare a poca frequenza io dopo un po’ non ero un potente, ero più “di frequenza”. Quindi correndo adesso mi sarei trovato molto meglio, anche sulle salite lunghe. Perché la potenza tua la puoi sviluppare con poche pedalate o con tante pedalate, ed esprimi la tua potenza. Come i giri del motore: stessa roba. Vai in quarta o in terza e la velocità, hai un motore potente che puoi andare in quarta, se hai il motore un po’ meno potente, hai bisogno di qualche giro in più, no? Paragone… però ero maniaco anche dell’alimentazione, io andavo a cercare tutte le integrazioni naturali per… attento a quel che mangiavo., questo priori anche sentito dire perché non è che avi qualcuno… io anche gli allenamenti mi facevo gli allenamenti l’alimentazione. Io già nel ’90 avevo trovato un medico, che è il dottor Diana di Trento, che avevo visto che faceva gli esami del capello. Con l’esame del capello ero andato, curioso., mi faceva l’esame del capello. Mi dava le integrazioni naturali in base alla carenza che vedeva nel… Sempre però eran sempre delle prove no?». 

- Tornando invece al mezzo, alla bici, la tua fissa, la macchina che hai inventato. Queste cose qua? 

«Ecco, anche sulla bicicletta, io mi dicevo: Ma, ogni anno andavi, ti consegnavano la bicicletta nuova, della misura che dicevi, e il corridore iniziava, e la prima settimana-dieci giorni servono per l’adattamento. Alzar la sella, portar avanti la sella, portarla indietro, allunga il manubrio, alza il manubrio, abbassa il manubrio. Io ho detto: se mi son trovato bene in quella posizione, devo replicare quella posizione, se voglio fare dei cambiamenti, devio sapere da dove ero partito. Perché se faccio un cambiamento devo sapere anche dove posso ritornare. Quindi allora avevo iniziato col filo a piombo mi misuravo e alla fine mi son fatto delle dime per prendere le misure, così io avevo: prendo la bicicletta, mi segnavo su un foglio tutte le misure, quindi l’anno successivo prendevo la bicicletta nuova, rimettevo quelle misure sulla bicicletta nuova. Quindi se facevo un cambiamento sapevo di quanto avevo cambiato. Ed è così che poi è nata la passione. Ho fatto un macchinario perché nel ’91 avevamo poi aperto il negozio. Il meccanico che ho tuttora, che è bravissimo nei posizionamenti, Ezio, ho iniziato con lui a spiegargli queste cose, poi lui è andato avanti per conto suo, è diventato bravissimo, però avevamo fatto delle attrezzature che all’epoca erano veramente all’avanguardia. Perché nessuna squadra aveva le dime che avevo io. Adesso, ce l’hanno tutti. Adesso è una cosa normale fare questo. Normalissima. All’epoca, no?». 

- È lì che ti è venuta poi l’idea che sarebbe diventata il tuo mestiere, finita la carriera di corridore, o no? 

«No, perché con le bici ha iniziato mio fratello. Anche il negozio, aveva iniziato mio fratello. Quindi col marchio è stata una cosa che ha fatto mio fratello, poi l’ho presa in mano [io], ho fatto questa cosa con il gruppo [Cicli] Esperia dieci anni fa [in realtà nel 2006, nda] perché sarebbe impossibile, da solo… poi non volevo fare, come lavoro, il costruttore, quindi avere un’azienda così. Mi piaceva più fare altro, no? Adesso sto facendo anche questo, però, di riflesso. Perché io nell’azienda mi aiuto della promozione dell’immagine, o della parte tecnica. Perché lo sviluppo del telaio mi occupo io con gli ingegneri, ed è quello che mi diverte di più». 

- Quello che senti più tuo.
 
«Sì. Infatti anche quando sono in negozio che non c’è nessuno. Dammi una bici… a me piace montarla, fammi… mi metto qua da solo, montar la bici, smontarla, perché è una cosa che mi rilassa tantissimo. Se sono a casa, per me la pulizia della bicicletta, com’ero da piccolo era un rito il sabato pulir la bici, perché è un modo per rilassarmi. Ed è tuttora. La passione del mezzo meccanico, non solamente della…». 

- Torniamo, rimbalziamo al ciclismo di trent’anni fa, invece. Che ciclismo era e che ciclismo vedi oggi? Analogie, differenze. Che cosa ti piace e cosa no… 

«Ma guarda son passato dal ’91 che era la squadra più forte al mondo perché, sai, ogni periodi dici: Sì, era il top che c’era. Ma il pullman, c’era la Pdm che aveva un pullman». 

- È stata la PDM la prima ad averlo… 

«Sì, la prima – prima della PDM – c’era la ADR di LeMond, quell’anno là era andato là, che era questa squadra che avevan trenta corridori, e avevano questo pullman “Sauna Diana”; che era [il nome di] un locale dove c’eran le saune. Era il primo. Poi la PDM ha fatto il pullman "PDM"». 

- Perché poi in Italia i primi a prenderlo… 

«Stanga». 

- Stanga, che l’ha comprato usato dalla PDM… Sì. Lo prendevano in giro. 

«Sììì, mi ricordo: “Invece che comprare il pullman è meglio che paghi i corridori”. O ’ste robe qua…». 

- Argentin poi si è pentito di avergli detto quelle cose. "Eh sì, Stanga prende il pullman, noi prendiamo i corridori". Perché lui era con Ferretti… 

«Sì sì. Noi alla Panasonic avevamo due furgoni grossi, che al Tour andavano con tutti e due, per le bici altrimenti andavamo con uno. E poi avevamo le Mercedes, eran le ammiraglie. Quindi avevi il lato positivo che… E ho sentito questo per collegare Wiggins, che ha detto: Mi piacerebbe di più il ciclismo come Hinault. Dove ti sedevi sul baule della macchina, vicino alla gente... Ma anche questo... Io ho una grande stima per Wiggins, però Wiggins ha fatto cinque anni con la Sky dove ha vinto quello che ha vinto, e se il passaggio di Sky, da dove è arrivato, c’era lui...». 

- E forse non li avrebbe vinti tutti quei titoli, in un ciclismo "con la gente attaccata al baule dell’ammiraglia"… Mi manca un tassello, però: volevo chiederti, da ex corridore, quanto sono importanti per un atleta queste cose, tipo il motorhome, il pullman, l'alimentarsi subito lì nell'immediato dopocorsa, il poter fare subito la doccia lì… E anche il fatto che stacchi con la testa, senza avere la gente addosso. 

«Allora, è cambiato il ciclismo. Perché allora facevi questo perché se pensi questo, le gare a tappe partivano molto prima ma alle tre e mezza arrivavi. Gli alberghi eran tutti vicini all’arrivo. Perché? E perché siccome le squadre avevano pochi mezzi, molto… la struttura della squadra era piccola, tu trovavi posto in alberghi, no. Quindi andavamo in bici, no? Quindi tu alle quattro, quattro e mezza tu andavi in camera, avevi fatto la doccia e stavi là a rilassarti e aspettavi il massaggio. Dopo il massaggio facevi ancora qualcosa e andavi a cena, tutti assieme, alle sette e mezza. Adesso non è più possibile perché arrivi alle nove la sera o alle sette la sera quindi il pullman adesso diventa indispensabile. Perché è cambiato anche tutto. Adesso con squadre così grosse, hai bisogno di alberghi grandi. Quindi non è sempre possibile trovarli, per tutti, nelle vicinanze, quindi vai magari a settanta chilometri. In Francia, in centro alla Francia magari, settanta-ottanta chilometri per andare alla partenza o all’arrivo, quindi hai anche bisogno di un mezzo che ti permetta anche di recuperare mentre… però, ti dico, è più stressante adesso eh, bisogna essere realisti, eh. I corridori di adesso hanno una vita più stressante rispetto a quella che avevamo noi. Questo… viaggi più in aereo, andare tante volte in macchina, le corse, tornavi a casa tua…». 

- Pensa anche solo l’ADAMS: come vivresti con l’ADAMS, oggi? 

«Devi avere sempre il telefono, uno che non è abituato alla tecnologia magari o che… è più stressante. Tutte queste cose son più stressanti». 

- Ho parlato con Ferretti, che comunque è uno della vecchia guardia. Lui diceva: aveva questo piccolo van e andava bene lo stesso. e invece no, per quello che dicevi tu adesso. Nel ciclismo di oggi non puoi andare con la mentalità dl van, del furgoncino, perché… 

«Tutto questo cambiamento, meglio una volta, io gli dico: meglio una volta…. Dipende dai punti di vista. Allora, se mettiamo sotto un certo punto di vista, è meglio adesso perché... Primo, ti scontri con un ciclismo “più mondiale”, no? e quindi non ha colpa nessuno se in Italia certe corse non esistono più. Perché è diventato “più mondiale”, quindi altri Paesi… Tutti i Paesi dell’est, prima del muro di Berlino, erano dilettanti. Olaf Ludwig, Soukhoroutchenkov, questi corridori qua se fossero stati… 

- Dilettanti per modo di dire… 

«Io correvo con loro ma se mi scontravo, se questi fossero stati professionisti le vittorie delle classiche o dei grandi giri forse bisognerebbe anche un po’ riscriverle…». 

- Eh sì. 

«Soukhoroutchenkov era un fuoriclasse. Ludwig è passato a ventotto anni ma all’inizio sverniciava tutti neh. Se fosse passato a ventitré forse nelle classiche, le classifiche sarebbero state diverse. Però il ciclismo era quello, no?, quindi avevi meno esigenze.. però più è diventato mondiale, e le esigenze anche delle squadre e dei corridori sono cambiate. Quindi dire che una volta era più bello… Sì, per l’italiano, perché aveva lo scontro sempre tra i grandi, fra Bugno e tutti… c’era più gente. Guarda io ho una foto ti faccio vedere su che ho vinto il primo "Melinda" a Cles, c’è l’arrivo e c’erano centinaia e centinaia di persone. Vai adesso e non ce ne son più. Ma perché, perché c’è internet, ci sono altre cose, no? E però dirti che era meglio allora, no». 

- Ma invece il livello, com’era? tu mi hai buttato lì dei nomi, ma ti rendi conto di che razza di corridori c’erano… 

«Il livello, penso che ogni generazione non puoi mai dire quando [Tom] Boonen, no? Ho capito che c’eran dei grossi corridori, però è un discorso, questo, anche che non accetto perché ogni epoca ha i propri campioni, fare dei raffronti è difficile, no…». 

- Però tu tra i campioni gli ultimi che hai visto e lasciato nel tuo percorso che cosa ti senti di dire, quelli che finivano e quelli che iniziavano. 

«Se corressi adesso vincerei è una cosa che non puoi dire, no? Mi troverei solamente meglio di adesso rispetto ad allora per tutte le cose tecniche che ho spiegato, però ti faccio un esempio che l’ha detto [Óscar] Freire quest’anno eravamo alle Canarie. Mi ha detto: mi han chiesto ma era meglio rima il livello, e ho detto: mah, ha detto secondo me il livello era più alto quando correvo io che quello di adesso. Perché: se Valverde, che ha 38 anni, vince più di prima, di quando correvo io, che vada più forte rispetto a prima, mi sembra strano., quindi vinceva uguale fortissimo, e vince di più vuol dire che…». 

- …che il cambio generazionale non è stato… 

«Sagan, ha detto, sì, lui è un fuoriclasse ma anche i suoi avversari son un po’ meno». 

- Tu sei d’accordo su questo, o solo fino a un certo punto? 

«Magari, sì. perché dici si va bene guardi gli avversari quello che hanno fatto quando erano più giovani non erano dei super fuoriclasse, perché prendi [Greg] Van Avermaet, [Philippe] Gilbert, i primi anni non erano…». 

- Si è scontrato anche con Cancellara… 

«Cancellara, trovi in certe generazioni… Gimondi si è scontrato con Merckx! Se non ci fosse stato Merckx l’avremmo definito il più… anche lì la fortuna di nascere in un’epoca che hai più o meno corridori forti». 

- Il discorso che si può fare è che Sagan non viene al Giro [vi debutterà nel 2020, nda], va al California perché le sue squadre puntano al tour. E non vedere al Giro uno come Sagan, rispetto all’epoca tua... 

«Per tutti questi motivi fare i raffronti a me non piace». 

- Non volevo portarti lì col discorso. Era solo perché tu eri in gruppo che sensazioni avevi vedevi con quei corridori lì. Tutto qua. Invece oggi ti chiedo, guardandolo da fuori, intanto se ti diverti per come vengono interpretate le corse… 

«Ecco da quel punto di vista la corse come la Roubaix, Strade Bianche queste corse qu che non sono cambiare nel tempo perché praticamente per i percorsi che stare a ruota conta meno, quindi la tattica conta meno, e penso un’altra corsa che va via a cinquanta chilometri dal traguardo. Non arrivi. Invece alla Roubaix quando tutti sono al limite… ma succede in poche corse. Nelle altre corse dove stare a ruota conta, quindi con le biciclette più veloci, perché le biciclette son più veloci rispetto a prima, quindi il tempo di percorrenza è minore, in pianura o anche su una salita con poca pendenza, star a ruota conta, no? Quindi hai bisogno di salite più ripide per far la selezione, quindi diventa più tattico, le radioline e meno entusiasmante». 

- Qual è il tuo punto di vista sulle radioline, per esempio? 

«Ah no. se guardo dalla parte dello spettatore toglierei tutte. Se mi metto dalla parte del corridore o del direttore sportivo, io direttore sportivo che ci faccio io in macchina se non posso dire niente». 

- Poi dipende dal direttore sportivo. 

«Certo». 

- Tu ne hai avuto qualcuno bello pesantino, penso a Peter Post... 

«Sì, certamente. No, però con la radio è più immediato». 

- Ma visto che sei molto sensibile all’argomento sicurezza, secondo te quanto conta visto che c’è una rotatoria due per tre, nel ciclismo di oggi ci son troppo rotonde o è una mezza scusa. 

«Io non penso che dicono attenti perché adesso c’è la rotonda… ’ste cose qua. Però da una parte come abbiam detto dei pullman e queste cose qua, probabilmente anche andare senza la radio adesso il discorso forature diventa complicato, diventa difficile, però ne perde in spettacolo. Perché prima certe fughe certi corridori delle squadre che tiravano e non dovevano tirare, adesso ci sono immagini a 360°, ricordi che succedevano allora, adesso non succedono più». 

- Ci siamo arrivati in carrozza. Tu eri primo anno professionista, come faccio a non chiederti Sappada ’87 cosa successe e se potrebbe succedere oggi. 

«Allora io ero in corsa e mi ricordo però esattamente io son venuto a sapere dopo il tutto e ne ho parlato con Roche. Oche mi ha raccontato la sua versione, no?». 

- Perché ne hai parlato con Roche? 

«Perché sono amico. Siamo stati in Sudafrica in camera assieme per dieci giorni quindi parlando anche di queste cose. Ho letto il suo libro. E sicuramente verosimile che la sua versione sia corretta, che poi dopo l’abbia anche un po’ portata dalla sua parte, quello che è successo. Io gli ho detto ne farei da film. Una cosa del genere sarebbe una stia fantastica. Perché nella storia, all’epoca ne son successe.. adesso è impossibile». 

- Tu sei del partito che è impossibile? 

«Cose così gravi, così plateali, io ero là mi ricordo, quando io ero arrivato settimo alla Rimini-San Marino, settimo nella cronometro di quasi cinquanta chilometri [in realtà 46, nda]». 

- Visentini diede tre minuti a tutti. 

«Esatto. Roche mi raccontava, io ero molto metodico prima della cronometro, le cose io ero molto concentrato, non dovevo avere nessuno in giro. Quel giorno là pioveva, vado a far la ricognizione, Visentini sull’ammiraglia [ne imita la vocina, nda]: eh, Stephen, che rapporto hai? Il vento, com’è? E così. Son arrivato dopo che ero nervoso, quindi non h fatto tutte le mie cose che ero abituato a fare. E ha fatto una delle cronometro peggiori». 

- Tra l’altro aveva picchiato l’anca nella maxi-caduta all'arrivo a Termoli. 

«Al Terminillo mi ha raccontato, non so se lo racconta nella biografia, che praticamente c’è in fuga Bagot con Eddy Schepers e praticamente l’ha lasciato vincere e magari se avremo bisogno… la tappa quando lui dice dopo la cronometro ma desso gli chiedono adesso sei te il capitano aiuterai roche al Tour, be’, che lui aiuti me è scontato perché io son maglia rosa, ma i al tour sto ci piedi nella sabbia, una cosa così. Lui mi ha raccontato dell’anno prima roche che quando perché roche era un corridore, però Visentini al baracchi cercava sol di metterlo in cattiva luce, di staccarlo, non era il mio compagno di squadra, capito? Avevan fatto di tutto per… quindi tutte ’ste cose, no? e lui il giro lo voleva vincere è perché andava moto forte, aveva vinto il Romandia, secondo alla Parigi-Nizza…». 

- Ha buttato via la Liegi, facendosi rimontare ò- lui e Criquielion – da Argentin nel finale. 

«Esatto. Questo. E quindi l’aveva studiata». 

- Secondo te l’aveva studiata a tavolino o no? 

«L’aveva studiata, sììì… Con Schepers. Studiata che poi non sa mai se si può realizzare, però intanto io vai in fuga entra e vediamo. La discesa, ha detto, provo ad attaccare, perché lì l’avevan… Provo ad attaccare. E infatti poi mi ricordo che io quella discesa ero caduto nella… avevo scollinato e avevo preso un po’ di bronchite, il giorno prima». 

- Giù dalla Forcella di Monte Rest? 

«Forcella di Monte Rest, e scendendo io avevo scollinato con venti secondi dal primo gruppetto quindi si andava anche forte. Ho fatto la curva a tutta solo che ho trovato del ghiaino, son caduto, mi son rialzato, e c’eran dei corridori coi tubolari girati , corridori da tutte le parti…». 

- Me l’ha detto anche Salvador. 

«Io poi non sapevo della situazione. Io so che prima di Sappada vedo un casino, tutt mto, ma che succede. Era Visentini. Quindi l’h passato e cn le mtd ella rai e poi son venuto dopo a sapere tutto il casino, no? Allora, Roche una roba così in ogni caso anche se lui ti ha fatto questo questo e questo no? te sei il più forte ma lui ha la maglia, guarda Froome con Wiggins al Tour [2012, nda], tiro dritto, prendo la maglia, dopo...». 

- Ecco, apposta ti dicevo prima con le radioline Brailsford lo avrebbe preso per un orecchio metaforicamente… 

«No ma a parte la radiolina non conta perché in macchina sono andati da roche, davanti gli han detto te devi fermarti, digli che non tirino tanto tirano gli altri dietro. Ma lui aveva Millar alla Panasonic che era in squadra con lui alla Peugeot e quindi eran tutti… Erano dalla sua parte, Bagot che gli tirava… Quindi lui l’aveva preparata. Da una parte dici. Porco cane, proprio non è una bella azione, no? E dall’altra dici: sì, però lui mi ha fatto passare tutto questo e adesso mi riprendo, son più forte e mi riprendo il Giro, no?». 

- Ti è mai capitata una cosa del genere, da una parte e dall’altra? E se non con un tuo gregario ma un tuo compagno di squadra ti avesse fatto un numero del genere? 

«Non lo so…». 

- Bisogna trovarcisi... 
«Ti [ci] devi trovare perché…». 

- Tu sei amico con Roche. Con Roberto com’eri? Anche per le critiche che mi hai detto prima… 

«Non abbiamo avuto un grande rapporto». 

- Era più una cosa caratteriale che di corsa? 

«Penso caratteriale. Sì, perché loro mi continuavano a dare addosso». 

- Non ti è mai venuto da dirgli o ma perché ce l’hai con me? 

«No. Andavo avanti per la mia strada». 

- E dopo non vi siete mai frequentati invece con Roche sì. 

«No, no, no. Perché Visentini non ha più…». 

- Ma secondo te è Sappada che l’ha fatto allontanare dall’ambiente o...?

«Anche prima, penso. Anche prima. Il Giro d’Italia di Moser quando hanno tolto lo Stelvio avevano attaccato e Visentini aveva detto che aveva visto Moser attaccato alla macchina e quindi arrivavano a Ortisei, o Selva di Val Gardena, che Visentini che era saltato di testa. Perché penso che è li no. Anche tutte quelle cose lì adesso sarebbe impossibile». 

- Tu hai fatto in tempo a vederle quelle cose lì, corridori che si attaccavano alle antenne-radio delle ammiraglie, o che sfruttava la scia della moto RAI. 

«Che magari anche in Belgio cercassero di avvantaggiare i belgi magari, in Francia ’ste robe qua, ma anche adesso un po’, il discorso di Cavendish al Tour. Perché la tappa che è rientrato si partiva due anni fa da Andorra [10° tappa al Tour 2016, da Escaldes-Engordany (Andorra) a Revel di 197 km, vinse Michael Matthews, nda] e sulla prima salita era già fuori in mezzo alle macchine è rientrato Dimension Data quel tratto lì non esiste perché altrimenti vedi che la velocità non esiste. Mi han detto che c’erano dei poliziotti avevano mandato via dei poliziotti, lui è rientrato. Era andato fuori tempo massimo, non avrebbe vinto altre due tappe, capito, allora certe cose esistono magari anche adesso, no?». 

- Certo che se la squadra è anche quella che raccoglie i dati… 

«Però adesso, allora era molto di più perché non avevi tutti quei…». 

- Tu sei andato alla Panasonic, mi racconti se hai avuto il problema della lingua, se e come sei stato accettato? 

«Io mi ero intestardito a imparare il francese perché ho detto la lingua del ciclismo è il francese, imparo il francese. Però in Belgio i belgi parlavano il francese male, e gli altri parlavano o inglese o olandese, però un po’ in francese, io però intestardito a voler imparare il francese che all’inizio lo parli anche male, no. Per òlo sapevo anche già un po’, però avevamo russi – Ekimov – tedeschi, però è stata un’esperienza positiva. Bellissima. La più bella della mia carriera». 

- Ah sì? 

«Sì. Con Planckaert ci sentiamo spesso, quando vado in Belgio vado a casa sua. Sua moglie è come se fossi suo figlio. Esperienza bellissima. Ho un ricordo bellissimo con tutti». 

- E invece delle squadre italiane che cosa ti ricordi, nel bene e nel male?
 
«Ma guarda che con… allora io son andato via dalla Alfa Lum penso che per le pressioni, siccome per il primo anno non ero andato nelle squadre grosse, i giornalisti e però tu devi andare in una squadra forte in una squadra grossa». 

- Chi avevi come diesse, Franchini?
 
«Primo Franchini. Avevamo una squadra con Caroli, che poi me li son portati alla Del Tongo ma che... E sono andato alla Del Tongo per quel motivo là. E qua, devi andare in una squadra grossa, è uscita l’opportunità avevo firmato prima del mondiale ancora. Ma tornando indietro io penso che se fossi rimasto là avrebbero creato la squadra ancora un po’ più forte e sarei stato anche meglio. Forse non avrei rotto con Del Tongo. Perché avevo persone che avevano fiducia in me. Quindi secondo me è stato un errore. Cambiare». 

- Col senno del poi... 

«Eh sì. Però sai,. Hai quell’età che hai tutte le pressioni addosso. E vedevi la squadra. E alla fine cosa vuol dire la squadra grossa? Tanto la squadra grossa alla fine, organizzazione super, e l’ambiente in cui ti trovi… anche adesso: squadre super, se non vai… squadra grossa non servono a niente. Ma all’epoca io sono andato alla Panasonic non è che poi la squadra grossa ma facevamo delle cose così diverse, no. Non facevamo nessuna preparazione, nessun ritiro con la squadra Panasonic, eh». 

- Ah sì? 

«E andava bene per me perché io mi sapevo gestire. Io andavo alle corse pronto, preparato, perché mi allenavo. Non è che mi davano le tabelle di allenamento. Mi arrangiavo da solo. Quindi squadra grossa. Ma a livello atletico rispetto a quella più piccola, non c’era niente». 

- Oggi è tutto diverso. Improponibile il confronto. 

«Adesso è tutto diverso. Improponibile». 

- Invece quando torni in Italia, Lampre eccetera? 

«Dopo, ecco son andato alla Lampre che era la squadrettina all’epoca, eh. Che però abbiam preso… è stato il primo anno che dopo la Lampre è cresciuta. La Lampre è cresciuta e coi Galbusera è sempre stato un ottimo rapporto, io anche lì sono andato via solamente perché con Argentin alla Roslotto perché avevo le mie biciclette. Però anche li dici da una parte mi chiedo sì ho fatto più per le bici che se avessi guardato a livello la carriera o così dovevo rimaner là perché stavo da dio, non avevo problemi con nessuno né con Algeri né con Saronni né con Galbusera, nessun problema. Nessun problema. Ho cambiato per questo motivo. Poi però questo mi ha portato poi ad andare alla Cofidis in Francia. Squadra francese e a livello di bagaglio di esperienza è stato positivo, no? E quindi gli errori che ho fatto, dopo però mi dici ho fatto due anni in Francia, con mentalità diversa dove ho imparato meglio il francese». 

- Ecco, lì il francese ti è tornato utile. 

«Dove ho visto il modo di lavorare dei francesi. Una serie di cose, di errori che ho fatto perché nella viti non è che dici fai tutte cose giuste, fai anche degli errori. Io… a me piace anche ammetterli gli errori». 

- Fammi qualche esempio. Per esempio le differenze nel loro modo di lavorare? O degli errori che hai fatto. 

«Allora, loro non gli piaceva moto che ci fosse uno straniero che gli dicesse, io ai massaggiatori gli dicevo, no, dobbiam portare a colazione, perché se negli alberghi non troviamo, il latte di soia e uno vuole il latte di soia dobbiamo averlo noi, i cereali. Perché magari ci sono alberghi che hanno tutto, però avevo fatto introdurre queste cose qua». 

- E quindi già ti guardavano con un occhio di traverso… 

«E che vengono a insegnarci gli dava un po’ fastidio. Questa è un po’…». 

- Mi hanno raccontato tanti corridori ed ex diesse che rispetto a come mangiavate voi italiani gli altri mangiavano male, ai primi tempi. 

«Avevano pane e burro sempre sulla tavola, questa abitudine che avevan loro e dirgli non farlo, gli stava qua, gli dava fastidio, no?». 

- E invece qualche errore che hai fatto, quali sono? 

«No, questi. Cambiare e andare alla Del Tongo, sarebbe stato meglio lì e creare il mio gruppo, continuare col mio gruppo e ingrandirlo. Anche se alla Del Tongo ho portato Caroli, Zen, Amadori. Amadori mi ricordo quando io sono andato via, sono andato alla Panasonic, potevo portarmi un corridore, ho portato marco Zen. Ma me l’hanno preso per fare un favore a me, perché non era un corridore per le classiche, no? Però Amadori a Del Tongo gli aveva offerto un contratto minimo, e lui ha smesso. Non so se è stato per ripicca nei miei confronti perché era legato a me. Questo non lo so. Però sia Caroli, sia Amadori hanno smesso di correre». 

- Magari è stata l’ultima goccia. Magari erano sul punto di smettere e allora avran detto: Ah, mi dai così, allora smetto. 

«Amadori e Caroli erano corridori che all’epoca erano ancora validi, eh». 

- Sì, han smesso abbastanza presto. 

«E quindi che con loro per dire anche adesso abbiamo un rapporto veramente buono». 

- Invece con Roche mi hai detto che sei ancora amico. Roche però è bravissimo nelle pubbliche relazioni, con la stampa, a crearsi alleanze in gruppo, tu che ricordi hai da corridore e persona? 

«Da corridore non tantissimo perché quando lui ha fatto questo all’apice, io ero al primo anno». 

- Però tu hai visto anche il “secondo” Roche, quello tornato alla Carrera? Anche lui ha avuto un sacco di problemi fisici, schiena, ginocchio… 

«Roche ha una classe enorme. Lo vedi anche adesso la frequenza di pedalata. Facile. È un corridore veramente che avrebbe vinto il doppio. Senza problemi. Senza problemi avrebbe vinto il doppio. Era un corridore veramente di quelli…». 

- Molto intelligente... 

«Molto intelligente». 

- ...nel leggere la corsa, uomini, situazioni... 

«Era di quei corridori che dici… Sì, poi ha vinto Giro, Tour e mondiale, ma avrebbe vinto ancora di più». 

- Lui ha anche fatto tanta gavetta in Francia quasi con la valigia di cartone… 

«Io ho letto il libro ma lui me le ha raccontate queste cose qua». 

- E non hai avuto anche l’impressione di un Roche furbo, per esempio è uno che se tu gli sei utile ti fa sentire la persona più importante al mondo... 

«Certo. Ma sicuramente. Però ti dico, io, per dire, Kelly lui non ha vinto un mondiale che avrebbe meritato, Kelly è stato secondo me è stato uno dei più io avevo un ammirazione… e Roche invece più classe, no? Meno forte ma più classe, intelligente anche questo. Ti dico: mi ha fatto una sorpresa. Ero a Castrocaro terme che avevamo una gran fondo anni fa. E c’era l’anniversario il mio anniversario e me l’avevano organizzato. E lui ha chiamato. E praticamente io lo conoscevo già eravamo andati a Parigi assieme, in Sudafrica assieme per delle manifestazioni. E ha chiamato, si son sentiti con mia moglie e mi avevano organizzato la sorpresa. Lui è venuto apposta alla gran fondo, son lì al bar e tutti mi dicono… e mi ha fatto una sorpresa. E l’ha fatto senza nessun interesse». 

- Sei il primo che mi dice cose positive del Roche uomo. 

«Io ho fatto due anni fa il Tour per la Tissot. Grazie a Roche. L’agenzia per cui lavorava,. Che lui era ambasciatore di Skoda, organizzava anche la stessa cosa per la Tissot, e allora gli han chiesto: hai qualcuno che conosci… Guarda, fa, Maurizio Fondriest: lui parla francese, inglese – che anni fa non lo parlavo… insomma l’ho studiato per conto mio. Cinque anni fa ho detto: mentre guido in macchina, avevo basi scolastiche zero, non avevo fatto un’ora di lezione, quindi… era… ma io ci parlo assieme e secondo me è sufficiente. L’agenzia mi ha chiamato, son andato là alla Tissot, ho fatto un colloquio. Per noi va bene. Per noi è sufficiente. Ed è stato lui a portarmi là. Adesso quest’anno rifarò il Tour. L’anno scorso la Tissot ha fatto un anno di break. Quest’anno ha ripreso farà dieci giorni allora mi han richiamato per…». 

- E quindi al Tour ci sarai? 

«Farò il Tour i primi dieci giorni, con la Tissot». 

- Anche con Roche o vi date il cambio? 

«No, Roche è lì presente con la Skoda, ma lui l’ha fatto senza nessun interesse». 

- C’è modo di raggiungerlo? 

«Sai che ultimamente... Io ho sentito sua figlia. Ultimamente io non riesco più a raggiungerlo, perché, ha detto, ha avuto qualche problema. Ha voluto isolarsi un po’». 

- Ormai è due tre mesi che è così. 

«Guarda, io son stato da lui a Palma de Mallorca, e anche li son andato là ma per amicizia coi suoi clienti e con Christel mi ha detto che ha voluto un attimo di, il motivo non lo so perché non ha più risposto». 

- Sta a Parigi o ad Antibes? 

«Sta ad Antibes. L’unica cosa con lui infatti non ti ha detto niente perché sono delle cose magari private sue e allora ho detto anche a sua figlia: allora me lo saluti. Sai che gli sono vicino. Se ha bisogno di qualcosa, mi chiami: perché, mi ricordo sempre. Io ho detto: lui ha fatto delle cose per me senza nessun tornaconto. Quindi se posso fare qualcosa per lui, lo faccio volentieri». 

- Un altro che mi ha detto di no è Boifava, tu hai detto che potevi firmare per lui e volevo chiederti cos’era successo. 

«Ma no ma no. Con lui…». 

- Perché non hai scelto la Carrera? 

«Per il motivo di andare in una squadra piu piccola per fare la mia corsa. Perché là c’era Bontempi, c’era Leali, c’era Ghirotto, c’era Visentini e avevo paura della cricca, così, no?». 

- A proposito di nonnismo, ai tempi ce n’era… 

«Infatti io con Bontempi non ho mai avuto un buon rapporto. Perché, perché c’era questo atteggiamento di… la scelta che ho fatto era per la paura… adesso è più facile, hai internet, hai questo. Non puoi che uno ti dica… all’epoca invece era così… e io avevo paura. Allora ho detto: vado in una squadra più piccola dove sarà piu piccola ma tanto se vado forte vado forte… quelli che ho sono fidati, e vado in una squadra piccola. Il motivo…»• 

- Laurence Roche si è pentito di essere andato alla Carrera, perché lui non era il fratello, non aveva il suo motore. E ha detto: era troppo grossa per me… 

«Allora, capisco che la decisione che ho fatto all’epoca è stata sbaglia, ma magai non è così stata tutta così sbagliata. Da una parte sì dici, ma chi è che ha la controprova? Invece lì forse è stata la scelta giusta. Ho sbagliato andare via dalla situazione. Io ho avuto Dino Falconi che era il mio meccanico quando ho vinto il mondiale, che dopo è venuto quando ho fatto la presentazione a Milano che, son persone che son rimaste nel mio cuore. Da allora. Quindi vuol die che l’ambiente che avevo era ottimale. Maini. Si disfavano per me, capito?». 

- Ci son rimasto male per lui, anche come hanno manato via maini dalla UAE. 

«Certo. Ma infatti: io sono andato via, se ci penso ci rimango male, perché ho fatto star male delle persone che credevano in me. Anche lui era lì, ma me ne rendo conto. Però, sai, tornare indietro, riavvolgere il nastro non si può fare». 

- Anche il recente addio con Saronni: lo mandi via perché la UAE vuole un diesse “internazionale” [infatti a novembre 2018 sarebbero arrivati gli australiani Allan Peiper, ex BMC, e Neil Stephens, ex GreenEdge, nda] che parli le lingue, va bene. Ma il modo: il modo è importante. Poi le cose economiche riguardano loro. 

«Mi hanno chiamato: "Sei sempre qua, nei nostri cuori..."». 

- Parliamo del tuo mondiale di Renaix ’88. Lo so che magari avresti vinto lo stesso però vorrei che fossi tu a dirmelo. Te l’avranno sempre chiesto tutti, ma non posso non chiedertelo. Anche perché l’attacco decisivo lo avevi sferrato tu ed eri tu quello con lo spunto più veloce… 

«Allora: quando mi chiedono, parto sempre dalla fine e dico: Prima, di quel mondiale, dopo il mondiale, non ho mai perso uno sprint. Né con Criquielion né con Bauer. Mi ricordo che Criquielion l’anno successivo, proprio la tappa che ti raccontavo prima, che Giuliani che era in fuga, fuga da lontano, io vinsi la volata. C’era un arrivo – mi sembra, a Potenza – arrivo un po’ in salita, no? Mi ricordo che Criquielion aveva messo la squadra a tirare [cambia tono di voce come per dire, che cric andava a tutta, nda, che ci teneva, nda] per dimostrare che mi avrebbe battuto, che il mondiale avrebbe vinto lui, no?,. senza la caduta, no? E mi ricordo che vinsi la volata con due-tre “macchine” dagli altri. Ho vinto con due tre metri rispetto agli altri, no? Eran tutte quelle cose che magari cercavano per farmi vedere che avrebbero… la controprova non c’è, però io dico sempre: prima e dopo, non ho mai perso. Poi arrivi in leggera salita così…». 

- …alla Fondriest. 

«…erano i miei arrivi, no? Alla Panasonic avevo vinto due-tre tappe al Giro di Catalogna, sempre con gli arrivi così. Avevo battuto, nell’88, Urs Freuler. Capito? Urs Freuler al Giro di Svizzera, vai a vedere la tappa di Bulle. Su Freuler un altro straniero. [la 4ª tappa, il 17 giugno: la Kandersteg-Bulle di 210 km: primo Fondriest (Alfa Lum) davanti a Steven Rooks (PDM) e Freuler (Panasonic)] 
Anche lì: arrivo… tappa abbastanza impegnativa però siamo arrivati, il gruppo principale, di una sessantina e all’arrivo, da piano, poi, l’ultimo pezzo, in su. E ho battuto Freuler. Quindi quegli arrivi là… ero forse il corridore più forte. E quindi penso che avrei vinto. Però… non c’è la controprova». 

- Però, un po’ ti dà fastidio, o no? 

«Io nelle cose guardo le due facce. Da una parte dico, eh, tutte le volte mi chiedono: Ma avresti vinto? Che fortuna che hai, no? Dall’altra, però, tutti si ricordano quel mondiale. Tutti. Non ce n’è uno che non sa che mondiale c’è stata la caduta. E quindi da una parte mi ha dato più visibilità la caduta che…». 

- Non so se sei d’accordo, ma forse il percorso non era così facile come invece era stato dipinto. 

«Sai, lì non era un percorso duro. Come al Fiandre [2018] è scattato [Niki] Terpstra, con Nibali – dove si è staccato Nibali – è proprio dove sono andato via io, l’ultimo pezzettino della salita. Non era un percorso… era un percorso adatto alle mie caratteristiche, non era un percorso per scalatori». 

- Dipende anche da come lo avete interpretato quel giorno… 

«Poi è diventata anche corsa lunga, perché siamo arrivati in otto-nove, poi dietro c’era il gruppo…». 

- Invece l’anno prima, e tu c’eri già in nazionale, giovanissimo, mi racconti Villach ’87? 

«Villach, io mi ricordo, avevo fatto tutte le premondiali, moto forte perché ero sempre nei primi cinque…». 

- Eri ragazzino e subito in nazionale, al primo anno da pro’… 

«Ero andato molto forte, difatti dopo il mondiale ho vinto la mia prima corsa battendo Kelly sempre sugli arrivi un po’ in salita, no? C’era [Alfonso] Gutiérrez – due spagnoli – e Kelly. Il giorno prima aveva vinto Kelly su Fernández, io terzo, su un arrivo in salita». 

- Fernández che poi fece terzo a quel mondiale… 

«Esatto. Curiosità, curiosità di quel mondiale a Villach, mi trovai a tre giri dalla fine in fuga con [Gilbert] Duclos-Lassalle e [Claude] Criquielion…». 

- Due bei marpioni… 

«Che poi, l’anno dopo, mi trovo con Criquielion nel… E mi ricordo che a Villach avevo, nell’ultimo giro, quando Argentin è rientrato sulla fuga, son stato io a tirare la salita, poi Argentin è partito…». 

- Come l’avevate preparata, lì? 

«Non preparata. L’ultimo giro, abbiam detto: guarda, tira a tutta sulla salita. Io ero al primo anno… anche se non era mia abitudine, perché io non correvo mai per gli altri. Però al mondiale avevo…». 

- Però nel piano del Ct Alfredo Martini avevi la possibilità di fare la tua corsa, no? 

«Sì sì. Difatti a tre giri ero andato via e poi quando mi han ripreso, l’ultimo giro, ero l’unico che poteva fare una tirata sull’ultima salita…». 

- Stephen Roche dice sempre che al quel mondiale è arrivato lì senza preparazione per quel mondiale… 

«Sì-sì-sì…». 

- Così anche… però la mattina in albergo si alza, tira la tenda e vede che piove e dice. Ah, però… E invece gli altri mondiali, che cosa hai provato, cosa ricordi? 

«Il mondiale di Stoccarda, quando vinse Bugno, lì penso che a volte ecco quello che dicevo. A volte bisogna avere anche un po’ di fortuna di trovare nella fuga giusta… L’esempio Sagan che vince la Roubaix con [Silvan] Dillier che tira fino alla fine… 

- Però si sapeva che sarebbe finita così… 

«Trovi un Dillier che dice: Se io tiro, do una mano… lui [Sagan] gli avrà detto: Io non ti stacco… 

- Era un secondo posto in banca, giusto? 

«Esatto. Se non tiro, sì, lui l’avrebbe attaccato, questo lo avrebbero ripreso dietro e finiva decimo, no? Quindi... però Sagan non ha “comprato” la corsa. Ha usato l’intelligenza, che è diverso». 

- Anche l’altro è stato… 

«E l’altro… ma io mi son trovato nella mia carriera a trovare un anno alla Parigi-Tours, quando vinco la coppa del mondo, sugli ultimi strappi vado via, [Johan] Museeuw a ruota, io se arrivo secondo vinco la coppa del mondo. Ho tirato. Lui primo, io secondo, vinco la coppa del mondo. l’anno successivo, Museeuw in maglia di Coppa del mondo, scatto nello stesso posto, rimaniamo in due, lui non tira. Come non tiri, zio po’…?! L’anno scorso… ci hanno preso trecento metri dal traguardo, quattrocento. Lui ha perso la coppa del mondo. e ancora mi chiedo: perché*? Io avrei tirato, io vincevo la Parigi-Tours, lui vinceva la coppa del mondo. lui poi non si è neanche piazzato neanche lui, capisci? Questa è la fortuna o sfortuna di trovarti… io nel mondiale di Stoccarda, l’unica volta che scatto, a un giro e mezzo dalla fine, sulla salita, mi giro, c’è ancora… mi esce il piede dal pedale. Pensa che… il piede dal pedale… La motivazione c’è. Avevo montato quegli anni lì i pedali look che avevano quelle tacchette rosse che si muovevano, c’erano già da un po’ di anni però avevano fatto per i corridori una tacchetta con un angolo più stretto che rimaneva fissa però il pedale non si agganciava completamente. Era lì però. Io, in rotazione, mi è uscito… L’unica volta in carriera che mi è uscito con la scarpa dal pedale. Lo rimetto dentro, riparto però perdo… Sai, trenta metri, in velocità. Mi raggiunge [Marc?] Madiot, che se rimanevo col piede dentro, andavo da solo. Quando sei da solo, fai una cronometro. Se ti prendono (bam-bam, batte le mani, nda) è finita. Ma fai una cronometro. Con Madiot, tiravo, dici: oh. Gli dicevo: Dai, tira. Sì-sì, sì-sì, però vedi che non tirava convinto. Anche lì, ti chiedi: Ma perché? Difatti tutte le volte, contro Madiot anche al Fiandre, sul pullman, mi presenta i suoi corridori… Non è mai andato sul podio del mondiale. Arrivando in due-tre, non lo sai mai quello che può succedere, no? Anche se io ero il più veloce, avrei vinto, però non lo sai, no? E mi son trovato con lui. Difatti quando ci hanno ripreso, mi hanno ripreso, sulla salita… io pensa che quel mondiale l’ho rivisto alla festa di [Alfredo] Martini, sette-otto anni fa. Non l’avevo più rivisto. E nelle immagini di quella festa c’era quel mondiale lì, quindi ho rivisto tutto l’ultimo giro che io ero in fuga, che mi riprendono e sulla salita, nello stesso punto, son ri-scattato io, dal nervoso che avevo, son riscattato io, però, un giro “fuori”, mi prendono e in contropiede va via Indurain, Bugno, [Álvaro] Mejía e Roche. Io non mi sono agganciato per venti metri, perché ormai ero… e mi hanno ripreso dietro e poi è andata così, no? Che se io non riscatto, forse, in quattro non vanno neanche via, o prendono meno, e vengono raggiunti da dietro, capito? Però quel mondiale là è quello che son andato più forte, e penso avrei vinto…». 

- E invece degli altri tuoi mondiali? Non so, mi vengono in mente Utsunomiya in Giappone, Chambéry… 

«Ecco, il Giappone… Be’, Chambéry no. Chambéry, era un percorso duro non avevo fatto una grande corsa, ma Giappone, il Giappone per dire la rivalità che c’era con Bugno, no? A parte va via la fuga davanti dicono c’erano [Franco] Ballerini e [Stefano] Colagè e gli dicono di non tirare, loro tiravano e noi tiravamo dietro. Tiravamo perché siccome, non avendo televisioni, queste cose, tiravano e noi tiravamo dietro e quindi è stato tatticamente un disastro. Comunque in finale, a parte i tre che rimanevano davanti, il gruppo di testa, ci siamo io e Bugno, eravamo venti corridori, l’ultimo giro. Tutti dicono: Eh, ma Bugno è arrivato terzo perché ha vinto la volata, no? E avrei dovuto tirare ma io… Io son arrivato nono. Son rimasto chiuso nella volata. Io, perché dovevo tirare io? Perché non tirava Bugno ed io facevo la volata? Sì, guardando il risultato, io dovevo tirare perché Bugno ha dimostrato di vincere la volata, no?». 

- Sì, ma lo sai dopo. 

«Però… È vero che io non gli ho dato una mano». 

- Neanche caratterialmente andavate d’accordo, proprio non c’era feeling? 

«Eh, ma no. Perché, logicamente, quando ho vinto io il mondiale Bugno era così… C’è sempre stata rivalità, che è normale che ci sia. Il troppo buonismo che c’è adesso, questo è stato il più bravo,. è stato il più forte, mi hai battuto… però dopo stanca. Che se perché la competizione è competizione…». 

- Per quello ti dicevo ci son troppi soldatini nel ciclismo di oggi. 

«Non ho tirato perché… Perché non mi sentivo di tirare, io volevo fare la mia volata, anche se era per il terzo posto. Ma non mi sarei sacrificato. Io questo l’ho detto a Valverde, al Giro di Svizzera quando ero con [Francesco] Pierantozzi. Gli ho detto, quegli anni là che aveva aiutato a vincere, gli ho detto: Ricordati che ti diranno, a fine carriera, che non hai mai vinto un mondiale. Devi correre per te. Mi ricordo ’ste parole gli ho detto a lui». 
[Valverde il mondiale poi lo vincerà, 38-enne, a Innsbruck 2018, nda] 

- Ti ricordi a Firenze 2013 che alla fine l’han buttato via lui e Joaquim “Purito” Rodríguez e l’ha vinto il portoghese Rui Costa, al di là della caduta di Nibali, il mondiale lo avevano in mano loro, i due spagnoli… E invece a Oslo ’93? Anche là tanta pioggia… 

«Pioggia… Una delle cose che ricordo bene è la Parigi-Tours del primo anno, in fuga che son arrivato terzo [dietro gli olandesi Adrie van der Poel e Teun van Vliet, nda] nel finale staccando tutti sugli strappi con Mottet, con van Vliet che è arrivato secondo, con van der Poel che ha vinto, io terzo, che anche lì un arrivo in leggera salita e anche lì mi han mangiato, primo anno, avrei vinto la volata. Primo anno da professionista». 

- Che cos’era quell’aneddoto della pelle di bosco, degli stregoni, mi racconti di quelle cose lì? 

Lì c’era… erano maniaco dei queste cose. Avevo conosciuto ’sto stregone, e avevo ’sto problema alla schiena e utilizzavo ste cose, cose naturali eccetera? Lì il pedale, avevano le tacchette… Un aneddoto che avevo raccontato del mondiale che praticamente ho dato un anello a mia moglie, siccome mia moglie faceva gli anni il giorno 29 di agosto. Aveva sedici anni compiva i 17, c’era lì al mondiale con la mamma.- eravamo già insieme. Io avevo comprato un anello ancora delle settimane prima, dico: rientro a casa e il giorno del suo compleanno le porto un anello. E mi ricordo che mi cambiavo in un alberghetto che avevan preso per far le docce e c’era Stefano Isaia, il massaggiatore storico anche all’epoca... Io avevo un massaggiatore cileno nella squadra che è ancora mio amico, Volney Vásquez, però al mondiale non poteva venire perché è cileno quindi avevo il mio massaggiatore era ’sto famoso Isaia. Stavo facendo la docce e mi chiama : guarda c’è una ragazza che vuole vederti… però all’epoca le ragazze begli alberghi non… Insomma, viene. Ah, falla entrare che è la mia fidanzata. In cima alla scala di legno, di questo alberghetto, ho detto: ’spetta ’n attimo. Son andato in valigia, e le ho dato l’anello». 

- Bella ’sta cosa, bella bella. Prima mi parlavi della rivalità. Come ti hanno accolto i vecchi? Per Saronni eri fumo negli occhi, il tuo contrattone eccetera. Mi racconti se è stato lui uno dei più… Non so…
 
«Bisogna chiederlo agli altri. Perché…». 

- Tu sei trentino, il nuovo Moser, tu queste cose qua come le hai vissute tu? Dalla tua parte. 

«Mi ricordo il presidente dei Moser club: Francesco perché dopo tutti i tifosi suoi diventano tuoi… Questa cosa qua mi dava un po’ paura perché dico: sono i miei perché sono io e non… giusto o sbagliato…». 

- I tifosi di Moser famosi per esagerazioni, ombrellate queste cose in corsa le vedevi? 
«No, perché era già passato, no? Non da molto. Baronchelli, ’ste robe qua». 

- E quindi sei arrivato che il ciclismo era già cambiato? 

«Stava cambiando. Perché dopo quando sono andato alla Panasonic, stava diventando ‘più internazionale’, no? È caduto il Muro di Berlino quindi le prime squadre, i primi corridori dell’est a diventare professionistico». 

- Quando hai visto Sergueï Soukhoroutchenkov, avevi presente che fosse il Merckx dall’altra parte? 

«No, però io mi ricordo che quando guardavo alla televisione il Giro delle Regioni d’Italia, che era arrivato alla tappa di San Marino con dieci minuti di vantaggio. Un mostro. Però con Ludwig ho corso insieme alla Panasonic, vedevi che corridore era!». 

- Hai avuto proprio quella percezione lì, che fossero di un’altra categoria? 

«Quella percezione, sì. Erano dei fuoriclasse, sì». 

- Le tue giornate – oggi – come sono strutturate? Riesci ad allenarti? Come e quando? 

«Sai, in giro sono un po’ in giro però per quello che cerco… Visto che ho la possibilità, di andar via con mia moglie, i miei figli, le cose che faccio con la Gazzetta…». 

- Che tipo d’impegno ti richiede? 

«Io son testimonial di Alpecin, no? Sono ambasciatore di Alpecin per eventi, il discorso visibilità. Il discorso della Gazzetta è visibilità». 

- Hai un’agenzia? 

«No, no». 

- Fai tutto da solo? 

«Sì, sì. Mia moglie tiene la contabilità sia del negozio, d elle attività che abbiamo, i miei contratti, 'ste cose qua. Quindi sono in giro, però ho la possibilità di portare… Per lavoro, che dici: "lavoro"... Quando vai in giro in bicicletta, è anche piacevole, però se c’è la famiglia. Altrimenti, se dovessi stare sempre da solo... allora diventa un po’… Ho fatto la scelta di non fare il direttore sportivo per questo motivo». 

- E difatti volevo chiederti se era stata una scelta, quella di non voler restare nell’ambiente come direttore sportivo… 

«Alla T-mobile avevo detto di no perché sarei stato ancora troppo tempo via da casa…». 

- Una cosa non t’ho chiesto ma qua dimmi se rimane tra me e te: sei stato un po’ fortunato perché hai fatto in tempo a far la carriera prima che il ciclismo cambiasse… 

«Da una parte dici: sì. Bisogna capire quando è il periodo che proprio... Allora, è brutto. Adesso dici: che periodo è? È molto meglio, perché con questi controlli è sicuramente molto meglio. E da una parte dici: sì, son passato [professionista] quando queste brutto ciclismo iniziava». 

- Però tu con Conconi avevi un buon rapporto… 

«Avevo anche un buon rapporto, perché, alla fine, lui non è che ha chiesto... Per dire, c’era [Michele] Ferrari che ti chiedeva la percentuale sui contratti, io pagavo l’Università di Ferrara…». 

- Poi lui era medico CONI, approvato dal CONI… 

«Sì, ma lì ci sarebbe da fare un discorso anche sulle Federazioni. Se qualcuno ha cercato Conconi, son le Federazioni. Allora le responsabilità…». 

- Però nessuno lo dice... 

«Le responsabilità di tanto male nello sport nel ciclismo, ce l’han le federazioni. Perché all’epoca, per scontrarsi con i Paesi dell’Est dove c’eran doping di Stato stava alle le federazioni andare a cercare metodologie. Emotrasfusione, era una cosa normalissima. I quartetti li avevano fatta. Moser l’ha fatta. Ma chi è andato a cercare queste persone? Le Federazioni. Poi han scaricato tutto sui corridori. I corridori, secondo me, erano l’ultimo anello. Hanno la responsabilità più grande perché [il corridore] è quello che decide. Però sono l’anello più debole. Con i medici. Perché uno non va a dire: voglio prendere questo… No: è il medico che poi propone. Se un medico dice: no. No. Io ho un’etica: no. Ci si allena, si fa questo e questo. Punto. E quindi… è un discorso…». 

- I famosi “culoni” (copyright Lucho Herrera): passistoni che in salita, da un giorno all’altro, volavano…

«Bravo. Bisogna veramente prendere in mano, di ogni corridori, i risultati da giovane, e lo fai e vedi e fai proprio un grafico. E dici: Beh, certe cose non sono possibili. E poi puoi tracciare un risultato, iniziare a cercare le metodologie…». 

CHRISTIAN GIORDANO

NOTE:
[1] Tommaso Cavorso, giovanissimo ciclista vicchiese travolto da un’auto nel 2010 durante un allenamento in bici. Il “Cammino del rispetto”: pedalata di 1030 km da Pamplona a Santiago de Compostela per portare al santuario 14 maglie, di altrettanti ragazzi che hanno perso la vita sulla strada. 

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