Marco Cattaneo - Il Visenta che non è stato


di CHRISTIAN GIORDANO ©
IN ESCLUSIVA per Rainbow Sports Books ©

Marco Cattaneo (Rovellasca, 28 ottobre 1957), enfant prodige nelle giovanili e talento inespresso nei pro', con il coetaneo Visentini ha corso negli esordienti e negli allievi. Roche invece lo ha incrociato - ma molto da lontano - da dilettante all'olimpiade di Mosca '80.

Durissima più per l'irlandese che per l'azzurro se è vero, come è vero, che Cattaneo, migliore italiano, ha chiuso 14esimo a 8'49" dal vincitore, il sovietico Sergey Sukhoruchenkov, il fenomenale e strafavorito padrone di casa che all'evento aveva sacrificato l'intera annata. Il ventenne Roche, in giornata nerissima, finì invece 45° a 20’29” da Soukho.

Cattaneo lo incontro in redazione a Sky Sport. È venuto al seguito del suo amico, e compagno di allenamenti domenicali, Alberto Volpi, che il Giro del 1987 - in cui si piazzò 23esimo - lo corse da gregario di Moreno Argentin nella Gewiss-Bianchi.

Dopo tre stagioni da dilettante (nella Comense-Meggiorin nel '76, la Lema Mobili di Domenico Garbelli nel '79 e la Isal-Tessari Salotti di Enico Maggioni nel'80), Cattaneo ne ha vissute due nei pro' (Famcucine-Campagnolo '81 e Zonca-Club amici della pista '82) prima di lasciare l'agonismo - a soli 25 anni - e dedicarsi a tempo pieno all'azienda di famiglia, una ditta produttrice di chiavi e serrature.

Fondata dal padre Franco nel 1960 come FIAM (acronimo delle iniziali dei familiari, la moglie Ida e i figli Attilia e, appunto, Marco), negli anni è stata progresisvamente rilevata dalla ISEO della famiglia Facchinetti e Marco è rimasto in azienda come responsabile della sede di Rovellasca.

Un post-carriera "alla Visentini", al quale lo accomunavano - da corridore - una certa idisincrasia ai compromessi e la preunta scarsa "fame" di chi proveniva da una famiglia agiata.

E dire che la meteora Cattaneo, da neo-pro', aveva fatto vedere dei bei "numeri". Come quello, da gregario di Moser,  alla Roubaix '81: 12-esimo a 3'48' dal parterre de roi salito sul podio (Hinault, De Vlaeminck e lo stesso Moser), i califfi che assieme ai belgi Van Caster e Demeyer e l'olandese Hennie Kuiper (nell'ordine: quarto, quinto e sesto) erano andati a prenderlo a venti chilometri dall'arrivo.

Niente rimpianti da quel che poteva essere e non è stato, però. Cattaneo non è il tipo. Family e business man realizzato, ha tentato anche di dare al ciclismo ciò che da sempre al movimento manca. Ma anche qui, per la politica, Cattaneo non è il tipo.

Da membro della Commissione Tecnica della Lega, dopo il Giro '88 e la rovinosa caduta di Rodolfo Massi, Erik Pedersen e Pius Schwarzentruber - contro l'Arco di Adriano a un chilometro dall'arrivo di Santa Maria Capua Vetere - rilascia al compianto Titta Pasinetti de Il Giornale un'intervista in cui denuncia che «non si possono visionare i percorsi a quindici giorni dall’inizio di una corsa come il Giro». Apriti cielo, e chiusa (seconda) carriera. 

Redazione Sky Sport, domenica 28 gennaio 2018

- Marco Cattaneo, che ricordo hai di Roberto Visentini, visto che ci ha corso assieme e in tempi non sospetti, prima che diventasse “Visentini”?


«Il mio ricordo di Roberto è legato anche al tempo degli esordienti, dagli allievi. Abbiamo la stessa età e quindi ho fatto le classi giovanili con lui, dopo lui è passato al professionismo prima di me, io ho aspettato l’anno olimpico e l’ho trovato dall’altra parte che era già un campione affermato».

- Tu eri un cosiddetto PO, un Progetto Olimpico, e quindi eri bloccato nel passaggio al professionismo fino a dopo l’olimpiade?

«Sì, fino a dopo Mosca ’80».

- E quindi a quei Giochi hai incontrato Stephen Roche nella prova in linea su strada?

“È probabile, c’era anche il blocco dell’est, lì era molto importante in quel momento. Roche non so che risultato abbia fatto. Ti ricordi che risultato ottenne?

- Il ventenne Roche chiuse 45° a 20’29” dal vincitore, il fenomeno sovietico Sergey Sukhoruchenkov.

«I primi sei o sette erano tutti del blocco dell’Est, era molto importante in quel momento là». 

- Vero: il primo occidentale, settimo a 8’26”, fu l’olandese Adrie van der Poel, velocista che poi ebbe una signora carriera nei pro’. Tu fai il modesto ma a Mosca '80 hai chiuso 14esimo, primo degli italiani, a 8'49" dal fenomeno Sukho... Che ricordi hai invece del Visentini prima esordiente e poi via via nelle categorie superiori?

«Classe. La classe. Lui era messo bene in bicicletta, pedalava con quella che si dice UNA pedalata rotonda e si vedeva che era un predestinato ad arrivare in alto. Tra i due, se parliamo di quello, sarei dalla parte sua».

- E caratterialmente com’era?

«Era uno estroso [ridacchia, nda], molto difficile da tenere. Credo che Boifava o qualsiasi altro direttore sportivo avrebbe fatto fatica a tenerlo. Testa bizzarra, eh. Quello che si dice: genio e…».

- ...sregolatezza. E come caratteristiche tecniche? Completo? Fortissimo contro il tempo, bravo in salita, zero in volata…

«Zerissimo in volata. Se arrivavano in tre lui arrivava forse... quarto perché magari aveva qualcuno dietro. Però, classe innata. Da allievo, Como-Ghisallo, io correvo in casa, lui correva fuori casa, quindi conoscevo molto bene [il percorso]. Forse sarà stata una delle prime volte che lui veniva da quelle parti, e vinse lui ovviamente. Sugli ultimi tornanti del Ghisallo, che si faceva dalla parte più facile, tuu-tuuu! E va…».

- Lo frequenti ancora o vi siete persi di vista?

«Ci siamo visti qualche volta. Forse alla cronosquadre che ogni anno organizza lì a Casazza [la Pedalando coi campioni, nda], poi l’ho visto una volta lì al Brixia Tour, che partiva da Iseo, dove ha sede l’azienda dove lavoro io in questo momento qua. Bello cicciottello...» [sorride, nda]

- Secondo te perché non ha più voluto saperne dell’ambiente? Non della bici, perché di quella è ancora innamorato...

«Il carattere che ha. Il carattere che ha… È sempre stato così. Lui lo stesso carattere che ha adesso ce lo aveva anche prima. Non è cambiato. È solo che prima correva, adesso no».

«Ma il distacco con l’ambiente – interviene Alberto Volpi – non è dovuto a quei fatti, è un fatto caratteriale, cioè: viveva già in maniera staccata prima. Poi, quando è uscito, la passione della bici è rimasta, probabilmente dell’ambiente non gliene frega più niente. Ma tanti hanno fatto così, eh».

- Marco, hai qualche aneddoto da raccontare, magari di quando correvate insieme così giovani?

«No, forse uno da professionisti. Il primo anno che sono "passato", lui era già… In che anno è passato lui? [1978, alla Vibor, nda] Una cosa mi ricordo da professionista, perché io poi ne ho fatti pochi di anni… [1981 e 1982, nda] Mi ricordo che una volta mi insultarono i miei stessi compagni di squadra quando feci una cosa che magari qualcuno di loro non gradiva, lui mi venne da parte e mi disse: "…’scolta, non guardare, ne troverai anche di peggio di così…"».

- La solidarietà del Visenta

«Di sicuro – aggiunge Volpi – lui non era uno che aveva peli sulla lingua. Nelle interviste dopocorsa, a caldo, quando aveva ancora il sangue che gli pestava in testa, non le mandava a dire a nessuno».

«Come ha detto Alberto – continua Cattaneo – oggi non succederebbero non solo le “Sappada”, perché ti viene a prendere l’addetto stampa... Il corridore vive in una campana di vetro».

«Prima – conclude Volpi  potevi parlare con chiunque, con Moser, con Saronni... [Il corridore] lo beccavan all’arrivo e lo tiravan lì. Adesso, ciao: tra massaggiatore, medico, addetto stampa…».


CHRISTIAN GIORDANO

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