FINALI MONDIALI - Pasadena 1994: una sconfitta di rigore
«Il calcio è uno sport che si gioca con i piedi.
Uno sport di gente che tira calci come gli asini»
– The New York Times
di CHRISTIAN GIORDANO ©
FINALI MONDIALI - Le partite della vita
Rainbow Sports Books ©
Quando un Mondiale è vinto dal Brasile, e la cosa succede spesso (cinque volte su diciassette edizioni), si rischia di passare dalla cronaca alla leggenda. Ma per chi ha la memoria un po’ più lunga la kermesse americana, analizzata a bocce ferme e a polemiche sopite, di leggendario ha ben poco; anche se nell’ultimo atto c’è la nazionale italiana, a contendere agli auriverdes lo storico quarto titolo mondiale.
Rainbow Sports Books ©
Quando un Mondiale è vinto dal Brasile, e la cosa succede spesso (cinque volte su diciassette edizioni), si rischia di passare dalla cronaca alla leggenda. Ma per chi ha la memoria un po’ più lunga la kermesse americana, analizzata a bocce ferme e a polemiche sopite, di leggendario ha ben poco; anche se nell’ultimo atto c’è la nazionale italiana, a contendere agli auriverdes lo storico quarto titolo mondiale.
Ma anziché ben poco verrebbe da dire nulla se togliamo gli «eroismi» di Baresi, miracolosamente in campo appena 23 giorni dopo la lesione al menisco patita contro la Norvegia, le magie di Baggio (Roby, of course), l’incredibile abnegazione del tanto decantato «gruppo» azzurro e, nei quarti, Brasile-Olanda e il fantastico gol in coast-to-coast del saudita Said Owairan al Belgio. Ma sarebbe ingeneroso e forse ingiusto.
Tanta amarezza è ciò che resta di un’assurda manifestazione che, in epoca di selvaggio soccerbiz, costringe gli atleti a giocare a orari impossibili, sotto una canicola insostenibile, pur di soddisfare le esigenze televisive delle multinazionali ansiose di occupare il prime time delle superpotenze europee. e non solo per come l’avventura è finita, ma anche per come si è arrivati a concluderla. dice: Brasile-Italia è la storia del calcio. vero. Ma anche fissati i rigorosi paletti della differenza di epoche, chi se la sente, in tutta franchezza, di paragonare la finale di Messico 1970 con quella di USA 1994? Se ne avete il coraggio, l’onestà intellettuale e soprattutto la sanità mentale, prego, accomodatevi. Noi no, non ce la sentiamo. Neanche per scherzo.
A proposito di scherzi: che scrivere di quello che il destino ha propinato al leggendario – lui sì – Franco Baresi? L’inossidabile Franz si rompe subito, alla seconda partita, si fa operare a New York e recupera a tempo di record per la finale. Si piega (sulle ginocchia, in lacrime, dopo l’erroraccio dal dischetto) ma non si spezza. È lui l’unico vero vincitore morale di questo Mondiale, il Capitano di mille battaglie: non poteva tirarsi indietro e rifiutarsi di battere quel maledetto rigore. non poteva, e non lo ha fatto. e nessuno più di lui meritava di alzare quel trofeo che tanti grandissimi, da Puskás a Di Stéfano, da Cruijff a Platini, da Zico a van Basten e via di questa classe, non sono mai riusciti a sollevare al cielo. Baresi è l’icona di una nazionale che non si arrende mai nonostante il caldo, gli errori del proprio tecnico (tanti, non tantissimi come erroneamente certa critica faziosa e superficiale gli imputerà) e la tanta, tantissima – quella sì – sfortuna: infortuni a non finire (Evani, Baresi, Roby Baggio, Mussi, Albertini), crampi (tutti o quasi), espulsioni e squalifiche più (Tassotti, Pagliuca, Costacurta) o meno (Zola) limpide.
E il Brasile? Ha fatto quello che doveva: vincere. Lo ha fatto nella maniera peggiore che il suo infinito vivaio gli imponeva ma nel modo più intelligente che quelle condizioni climatiche consentivano. E con l’eterno Mário Jórge Lobo Zagallo supervisore dietro le quinte a ricomporre con il Ct Carlos Alberto Parreira un sodalizio già vittorioso nel ’70 (ma allora il primo era il selezionatore e il secondo il preparatore atletico), tutto ci si poteva aspettare tranne che un Brasile presuntuoso come nel 1950 o quello cicaleggiante del 1982-86. della Seleção campione in America si è detto che è stata la più brutta della storia, che ha vinto con gli scarti del campionato italiano (Taffarel, Branco, Mazinho, Muller, Dunga). Può darsi. Ma le altre, allora? Romário e Bebeto il Brasile almeno non solo li ha, ma li fa pure giocare (insieme). E, udite udite, non come esterni ma di punta.
Senza contare che in panchina scalpita l’ancora acerbo Ronaldo, mai impiegato nonostante le puntuali pressioni del Presidente della Repubblica di turno, Itamar Franco, di Pelé e perfino della madre (!) del Ct Parreira. Non avendo centrocampisti di classe eccelsa come quelli delle passate edizioni, che cosa doveva fare il povero Parreira? Buttarsi in avanti tanto per prenderle non piace a nessuno, neanche dall’altra parte del globo. e allora spazio a Mauro Silva frangiflutti davanti la difesa; allo stesso Dunga, che – secondo la torcida – gioca «più
Sdraiato che in piedi», ma almeno corre come un cavallo, recupera palloni su palloni e sul campo lascia lacrime, sudore e sangue e, se capita, anche qualche garretto avversario; o ancora, a gente come Mazinho o lo stesso Zinho, esterno «tattico» di centrocampo nel quale Zagallo pare specchiarsi per rivedersi da calciatore. Insomma a tutta una batteria di onesti faticatori che – salvo rare eccezioni (Leonardo, Raí) – di brasileiro hanno sì e no l’amore per il samba e per il Carnevale.
Tatticamente, nulla di nuovo sotto il solleone. È il trionfo (?) del 4-4-2: lo adottano il Brasile campione, seppure con la variante Mauro Silva libero davanti la difesa, Italia e Svezia, le prime tre classificate.
La quarta, la Bulgaria, lo adotta a sprazzi con il pendolo Kostadinov che oscilla sulla trequarti in appoggio ora al centrocampo ora all’unico attaccante di ruolo, Stoitchkov. E infine Camerun, Marocco, Svizzera e Stati Uniti. Ma gli ingenui che continuano imperterriti a ritenerlo garanzia di spettacolo devono ricredersi in tutta fretta: è come lodare un bel dipinto non per il talento del pittore bensì per la scelta dei pennelli utilizzati per portarlo a termine. I gusti sono gusti, si sa, ma un po’ di obiettività non guasterebbe.
Per il resto, se si parla di calcio giocato, si registra un’edizione con novità piccole (Grecia) e grandi (Nigeria e Arabia Saudita) e qualche illustre assente: nelle qualificazioni vengono eliminate Francia (in casa, all’ultimo minuto, per mano della Bulgaria futura rivelazione), Danimarca, Inghilterra (uscita in un girone di ferro comprendente Norvegia e Olanda, qualificate, e la sempre temibile Polonia), l’Uruguay di Francescoli, Fonseca e Ruben Sosa e il Giappone.
Fuori del campo, innovazioni e trovate à gogo: lo shuttle (barella-navetta), le divise colorate degli arbitri, il nome dei giocatori stampato sul retro delle maglie e l’esultanza «cullata» di Bebeto dopo la sua rete all’Olanda. Il gesto darà il via ai modi più curiosi e talvolta ridicoli di festeggiare il gol, fine ultimo del calcio. Per i casi Diego Armando Maradona (doping) e Andrés Escobar (assassinato, si saprà poi, non per il suo autogol contro gli Stati Uniti) ci vorrebbe un libro a parte.
La cifra-record di 105 partecipanti è un primato destinato a durare poco così come il numero di squadre ammesse alla fase finale (24): da Francia 1998 saranno 32. Il calcio è malato di gigantismo. E se ne vanta pure.
LA PARTITA
Domenica 17 luglio. Le 12,30 nel fuso della West Coast. Per motivi di sicurezza la FIFA riduce a 92 mila posti «trattabili» la capienza del Rose Bowl di Pasadena, Los Angeles, progettato nel 1922 per 57 mila e ampliato a 104.594 negli anni Cinquanta. in tribuna autorità Pelé sfoggia un’improbabile cravatta a stelle e strisce, l’ex presidente degli Stati Uniti George Bush Sr. invece una sportivissima polo blu a maniche corte.
I brasiliani entrano in campo tenendosi per mano, mentre ragazzini di tutte le etnie consegnano alle due squadre le magliette che l’Unicef metterà all’asta per beneficenza. Whitney Houston canta, nell’arroventata cornice californiana (28ºC ma con punte di umidità altissime); poi, di fronte a tanta grazia, perfino la canicola sembra rispettosamente dileguarsi. Il cielo si rannuvola come lo stato d’animo dei tifosi: giocheranno il convalescente Baresi e gli acciaccati Roby Baggio e Romário, reduce da risentimento inguinale?
Nelle ultime battute della semifinale contro la Bulgaria, il numero dieci azzurro si era procurato una contrattura al quadricipite della coscia destra ed era più che mai in dubbio, mentre per capitan Baresi si sperava in un recupero che avrebbe avuto del portentoso. Per quanto rischioso, il suo impiego da titolare accanto a Maldini, schierato da centrale in sostituzione dello squalificato Costacurta, era oro per una difesa chiamata a fare di necessità virtù.
Per il “Divin Codino” invece va fatto un discorso a parte. Il Ct azzurro Arrigo Sacchi sceglie di non scegliere, ostaggio della gratitudine per l’uomo che con le prodezze elargite a Nigeria, Spagna e Bulgaria lo aveva tirato giù dalla scaletta dell’aereo, evitandogli il più «pomodoroso» dei ritorni a casa. Il Pallone d’oro in carica dichiara che sarà lui stesso a decidere se sarà della partita. Roby Baggio si era caricato sulle spalle la squadra fino alla finale. A quel punto era giusto volare o affondare assieme a lui. O no?
Eccezion fatta per Casiraghi, sostituito da Massaro, rispetto alla semifinale con i bulgari l’«ayatollah» di Fusignano non cambia né uomini né, figuriamoci, idee.
Per lui il più classico dei 4-4-2: in difesa Mussi e Benarrivo sulle fasce e al centro la coppia formata da Maldini e Baresi; a metà campo, da destra a sinistra, Donadoni, Albertini, Dino Baggio e Berti, con i due esterni a scambiarsi spesso la posizione nel corso della partita; in attacco, ad affiancare Massaro,
Alla fine c’è proprio Roberto Baggio che supera il test pre-partita organizzato nell’immenso salone nuziale dell’albergo sede del ritiro azzurro. e Signori? Nella (si sussurra) assai pepata vigilia, aveva detto apertamente a Sacchi di sentirsi un attaccante e che a fare il tornante di sinistra proprio non ci stava. Panchina, allora. E si va al suicidio tattico.
Davanti a quasi centomila spettatori – il colpo d’occhio è impressionante –, l’arbitro ungherese Sándor Puhl, protagonista del caso Tassotti-Luis Enrique nel finale di Italia-Spagna agli ottavi e proprio per questo dato per sfavorito sul danese Peter Mikkelsen, si appresta a dirigere il suo quarto incontro a questi mondiali. Quello che a poche ore dal fischio d’inizio Parreira ha definito, alludendo ai sei titoli conquistati complessivamente dalle due nazionali, «la più importante partita di calcio mai disputata». raccontiamola.
L’Italia parte bene, gioca in modo attento e aggressivo le consuete fasi di studio che però vanno un po’ troppo per le lunghe. La prima emozione, si fa per dire, arriva al 12’. Cross di Dunga dalla destra e Romário, in posizione centrale, di testa fa il solletico a Pagliuca. Aria fritta. al quarto d’ora il sole è sparito. Le condizioni climatiche paiono accettabili. L’Italia tiene bene il campo. il Brasile è attento a non scoprirsi e cerca il contropiede. Probabilmente stiamo sognando: sul rettangolo ci sono due scuole che sembrano ribellarsi al proprio dna tattico.
Al 16’ e spiccioli, ancora il Baixinho: ruba il pallone ad Albertini e se ne va, poi scova un corridoio per il compagno di reparto Bebeto e lo serve. Maldini ci mette una pezza chiudendo in angolo. Passano sessanta secondi e c’è la prima, nitida, palla-gol: il velocissimo Massaro anticipa splendidamente Mauro Silva e il recupero di Marcio Santos ma spreca tutto scaricando centralmente su Taffarel. Peccato.
Al 21’, il primo cambio. Si fa male il terzino brasiliano Jorginho (contrattura muscolare) e al suo posto entra Cafu. La sostanza tattica non muta: sulla fascia destra, fuori un intercity, dentro un Pendolino, ancora acerbo ma persino più veloce e di maggior classe.
Brivido al 25’: botta su punizione di Branco, Pagliuca non trattiene e sulla respinta a «ciccare» è Mazinho che nell’occasione si conferma il mezzo brocco visto a Firenze. Ce la siamo vista brutta. Nove minuti dopo tocca all’Italia una sostituzione forzata da un infortunio, Mussi viene rilevato da Apolloni. Nuovo assetto difensivo degli azzurri: Benarrivo si sposta a destra, Maldini torna al suo ruolo naturale di terzino sinistro e il neoentrato fa coppia con Baresi in mezzo all’area. neanche 5’ e lo stopperone, pardon, il secondo centrale difensivo, si becca subito il «giallo» per un’entrataccia su Romário che se ne stava andando in porta dopo l’uno-due con Bebeto. Tira una brutta aria. Sul susseguente calcio franco, gli italiani, tanto per farsi riconoscere, non rispettano la distanza e Albertini paga per tutti: ammonito pure lui. E due. non succede altro, anche se la sensazione è quella di una squadra azzurra un po’ in affanno.
È di 43” il recupero concesso da Sándor Puhl prima di fischiare la fine del primo tempo. A metà gara, più che sullo 0-0, siamo prossimi allo zero assoluto.
Ma ci vuole "pazienza" (oltre che "occ, e büs de cul", gli altri ingredienti-base della ricetta calcistica del Profeta romagnolo), è il Nuovo Calcio. Le cifre parlano da sole ma ingannano anche, a guardarle si ha l’illusione di aver visto un’altra partita: nove tiri in porta dei brasiliani contro i due degli azzurri, un corner per parte, 9-7 per il Brasile il computo dei falli commessi, due volte in fuorigioco i verdeoro contro nessuna degli azzurri. Tutto precisino, perfettino e, numericamente parlando, molto americano. Scusate, ma il football dov’è?
Nell’intervallo il Pizzulone nazionale è costretto, suo malgrado, a offrire un saggio di che cosa è capace il burocratese della nostra Italietta politica. Per la serie, quando la montagna partorisce un topolino.
Assente ingiustificato, il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro ha fatto sentire la sua presenza spirituale tramite un messaggio consegnato alla presidente della Camera dei Deputati, Irene Pivetti, la quale si è poi alacremente adoperata affinché venisse girato via-etere, attraverso i microfoni di Stato di "Mamma" RAI, alla nazione intera in «trepidante» attesa davanti ai teleschermi. E così lo storico telecronista azzurro si piega alla superiore ragion di Stato leggendo, invero con insolita e sospetta velocità, le seguenti, immortali righe presidenziali.
Gentile onorevole Presidente,
ho appreso con piacere che si accinge a recarsi a Los Angeles per la partita conclusiva del campionato mondiale di calcio, che vede impegnata la nostra nazionale contro la squadra brasiliana.
È un evento, atteso da milioni di sportivi di tutto il mondo e soprattutto dagli italiani che, in patria e all’estero, seguono da sempre con trepidante emozione gli azzurri. Vorrei dunque pregarla di trasmettere il mio augurio più cordiale ed affettuoso alla nostra squadra che ha già dato prova di grandi doti di professionalità e di cuore.
Sono certo che la nazionale italiana saprà competere ad un livello degno delle sue grandi tradizioni, nello spirito di correttezza e lealtà che caratterizza i valori universali dello sport. alle autorità americane e agli organizzatori voglio far pervenire le mie felicitazioni più vive per i lusinghieri successi ottenuti dalla manifestazione.
Oscar Luigi Scalfaro
Puntuale come la cartolina di precetto in tempi di leva obbligatoria, giunge anche la «clamorosa» notizia che «in mattinata il presidente Scalfaro ha inviato un telegramma e fatto una telefonata personale di augurio agli azzurri».
Il popolo, commosso, sentitamente ringrazia la propria classe politica e teme, qualora si battesse il Brasile, un’insostenibile deficienza di spazio per i suoi rappresentanti che, come tradizione, si esibiranno in massa nel vero sport nazionale, il salto sul carro del vincitore.
Torniamo al calcio giocato. Non ci sono cambi se si eccettua quello di incerottatura (dal celeste al bianco) che appare in tutta la sua evidenza sulla parte posteriore della coscia destra di Baggio 1. Per il resto tutto come prima. Massaro tocca per Roby: via.
L’avvio di secondo tempo ricalca il finale della prima frazione: l’andamento della gara è favorevole al Brasile che attacca con giudizio, l’Italia fatica a superare la metà campo. Poi pian piano gli azzurri si riorganizzano, anche se a centrocampo vanno costantemente in inferiorità numerica con albertini e Dino Baggio presi in mezzo nella morsa Mauro Silva-Dunga-Mazinho e Berti perennemente fuori posizione oltre che fuori partita.
Il primo brivido è al 20’, triangolo Bebeto-Romário chiuso involontariamente da Maldini e quanto mai opportuna uscita di Pagliuca. Che dieci minuti dopo se la fa addosso, e noi con lui. Su un tiraccio dalla distanza di Mauro Silva, che però compie una strana traiettoria, il numero uno azzurro pare in buona posizione e difatti afferra il pallone. Solo che questo gli si impenna e gli scappa. Fortuna vuole che vada a incocciare proprio sul palo (destro) che lo stesso Pagliuca, incredulo per tanta grazia ricevuta, bacia con la mano.
Al 37’, il tuffo al cuore ha ragioni opposte. Donadoni, che quando è a destra fa le cose migliori anche se qualcuno continua a non accorgersene, facendolo rimbalzare da una fascia all’altra come la pallina di un flipper, confeziona un bel servizio in camera per Baggio 1 che però calcia alto di piatto destro. Qui l’Italia meriterebbe il gol. Un minuto dopo e per poco dall’altra parte non ci scappa il rigore. Mazinho si incunea in area, poi va giù grazie anche al mestiere di Maldini. Puhl dice che va bene così. La ripresa è tutta qui.
Il 45’ è passato da 8” quando arriva il triplice fischio arbitrale. Supplementari dovevano essere e supplementari siano allora.
Era successo solo tre volte che una finale mondiale si protraesse oltre i 90’ regolamentari: nel 1934 per Italia-Cecoslovacchia (1-1), nel 1966 per Inghilterra-Germania Ovest (2-2) e nel 1978 per Argentina-Olanda (1-1). Ma è la prima volta che ci si arriva senza reti.
Al 3’ del primo extra-time l’Italia rischia. Apertura di Dunga per l’incontenibile Cafu che crossa, dal lato opposto arriva Bebeto la cui deviazione è però più un rimpallo che una correzione a rete. Pagliuca riesce così ad anticipare l’accorrente Romário che, non riuscendo a frenare il proprio slancio, lo colpisce a un braccio.
La parata del portiere azzurro ricorda l’analogo intervento compiuto da Albertosi nella storica semifinale con la Germania Ovest del ’70.
Passano due minuti ed ecco il secondo cambio azzurro. L’eloquente «Dino c’ha i crampi!» urlato in panchina non lascia adito a dubbi. e così il buon Arrigo, già alle prese con un autentico stillicidio di acciaccati e di convalescenti, deve provvedere a un altro cambio obbligato dopo quello di Apolloni per Mussi. È Evani, al rientro dopo lo stiramento occorsogli all’esordio mondiale con l’Irlanda, a rimpiazzare “Dinone” Baggio. al 7’ Roby ha di nuovo la possibilità di risolvere la partita. Scaltro tocco di testa di Albertini, Baggio si gira e dal limita lascia partire uno strana parabola che scende all’improvviso, bravo Taffarel a deviare sopra la traversa.
Pronta la replica dei sudamericani: da Bebeto dentro per Zinho che si gira e batte forte di sinistro. Stavolta Pagliuca è bravo a coprire il «suo» palo. il primo supplementare si chiude in pratica al 12’, quando Evani spaventa Taffarel con un sinistro dalla distanza che finisce alto.
All’inizio del secondo tempo supplementare Parreira tenta il tutto per tutto togliendo l’esausto Zinho per mettere una terza punta, Viola, all’esordio assoluto nel torneo. Qualcosa succede perché il tizio è un cavallone alto e grosso che, partendo da lontano e se non altro perché fresco, un po’ di vivacità alla manovra verdeoro la porta. L’occasione della vita ce l’ha però il vecchio Romário al 109’ quando, a un passo dalla porta, «riesce» a girare a lato un pallone che sembrava già dentro. a sua parziale attenuante l’aver dovuto colpire cadendo all’indietro, in condizioni di equilibrio precario.
Ma l’errore c’è tutto ed è marchiano. Chiusura dedicata agli altri due grandi protagonisti di giornata, caso vuole proprio quelli in dubbio alla vigilia. Dopo Romário, ecco Baresi e Baggio. il primo si immola respingendo col corpo una conclusione del Baixinho, poi dà il la al contropiede che genera l’ultima occasione della partita prima di cadere urlante, vittima di crampi. da “Kaiser Franz”, autore di una prestazione memorabile, a Baggio che triangola con Massaro, il passaggio di ritorno è però un po’ largo e Roby, che tira con la gamba infortunata, non ce la fa ad imprimere al pallone la forza necessaria. Taffarel para, poi Roberto, vittima anche lui di crampi, rimane a terra a prendersi le punte dei piedi per tirare i muscoli.
La gara si chiude con i giocatori ormai fermi, che si passano il pallone quasi ad attendere l’ineluttabile, che arriva dopo mille sofferenze e un inutile minuto di recupero. È tempo di rigori. in finale, non era mai successo.
In Italia sono le 0,11 di lunedì 18 luglio, in California le 15,11 del «giorno prima». Sul dischetto vanno quelli che stanno in piedi, in senso letterale. Comincia Baresi. L’Uomo: di quelli con la maiuscola.
Il campione: uno dei più grandi di sempre. Ciò che ha fatto nei 120’ di gioco, è già entrato nella storia, quanto combina dagli undici metri va solo negli annali. e non è un bel vedere. Franco, autore di una prestazione da leggenda, addirittura soprannaturale se si pensa che rientrava da un intervento al menisco, è distrutto dalla fatica e si è appena ripreso da un dolorosissimo attacco di crampi. Va alla battuta, lui che calcia con una tecnica da numero dieci (vederlo in allenamento, ve lo assicuriamo, è un manuale vivente), con il corpo troppo all’indietro e la palla finisce alle stelle. Cominciamo male.
Per fortuna su Marcio Santos, che pure aveva giocato benissimo, Pagliuca fa la cosa più bella della sua strana giornata e rimette tutto in parità. 0-0 dopo due ore di gioco più un rigore per parte. Tocca ad Albertini: una sicurezza. Stessa cosa per Romário, che però fa il furbino (interrompe la rincorsa) ed è bravo (ad angolare la traiettoria) e fortunato (palo interno e gol), Evani e Branco.
I dubbi sotto forma di brividi arrivano quando si fa avanti Massaro. Scaltro, veloce e dotato di un mortifero istinto del gol pur essendo tutto fuorché una punta, tecnicamente non è un mostro anche se la sua apparente tranquillità fa ben sperare. Ma il prode Daniele colpisce debolmente e Taffarel, mossosi in anticipo, respinge.
È il turno di capitan Dunga. Sbeffeggiato dalla torcida e dalla stampa brasiliane per la sua genetica inadeguatezza al futebol bailado, l’ex Cucciolo - "scoperto" ai tempi del Pisa dei miracoli dal patron Romeo Anconetani - calcia forte e sicuro alla destra di Pagliuca: 3-2.
Su Baggio novello atlante il peso del mondo intero, se sbaglia è finita. Roby è il rigorista per antonomasia. i penalty da lui sbagliati si contano sulle dita della mano di un falegname eppure quello più importante della sua carriera lo tradisce. La battuta va inspiegabilmente, insopportabilmente alta. il cattolicissimo Taffarel, puntualmente spiazzato, ha il sorriso un po’ ebete del miracolato e corre a festeggiare sommerso dall’abbraccio di compagni, staff tecnico e dirigenti. adesso sì, è proprio finita. Un sogno grande come il mondo si colora di verdeoro. Giustamente ma nel modo più amaro.
Per noi e per loro. da quel momento in poi «rivedremo» le stesse immagini condite in tutte le salse e servite con qualsiasi piatto: dallo spot virtuale con tanto di lieto fine alla prima autobiografia del “divin Codino”, Una porta nel cielo.
L’inconsolabile Baresi piange lacrime amare inutilmente consolato da Sacchi, dal preparatore atletico Vincenzo Pincolini e dal capo delegazione azzurra Raffaele Ranucci. a fargli compagnia, anche lui con gli occhi umidi, il capo ufficio stampa della Federcalcio, Antonello Valentini. Dunga e compagni intanto innalzano esultanti uno striscione che ricorda un grande dello sport brasiliano, l’asso del volante Ayrton Senna, deceduto il 1° maggio 1994: «Senna… aceleramos juntos, o tetra é nosso!», acceleriamo insieme, il quarto [titolo] è nostro.
Secondo il consueto cerimoniale i primi a essere premiati sono i secondi classificati, che sfilano davanti al losco quartetto formato, da sinistra a destra, dal vicepresidente USA Al Gore (che sul classico abito blu inalbera una cravatta perlomeno rivedibile ma non è un auspicio), il presidente della FIFA João Havelange, il presidente della UEFA Lennart Johansson e il Segretario generale della FIFA Joseph Blatter, che per l’occasione sfodera un paio di mafiosissimi occhialoni scuri per proteggersi da quello stesso sole del quale non si era minimamente curato al momento di compilare il calendario del torneo.
Gli azzurri chinano mestamente il capo per ricevere la medaglia d’argento e fa tenerezza la scena di Lorenzo Minotti, mai sceso in campo, che si ferma a toccare la Coppa del Mondo. Subito dopo, il palcoscenico è tutto per Romário, avvolto nella bandiera auriverde, capitan Dunga, il primo a sollevare il trofeo, e via via gli altri della rosa.
L’imbattuto Brasile – sei successi, l’ultimo ai rigori, e un pareggio (con la Svezia) – è meritatamente tetracampeão, campione del mondo per la quarta volta, ed entra nella Storia. anche se, forse, non dalla porta principale.
Mario Zagallo, autentico uomo-amuleto del calcio brasiliano eppure inspiegabilmente mai troppo amato, è il quarto successo. Dopo i due titoli vinti da giocatore, a Svezia '58 e a Cile '62, e quello da selezionatore a Messico '70 contro l’Italia, ecco l’alloro come direttore tecnico, ancora contro gli azzurri. Quando è troppo è troppo. Anche per un gruppo, quello tricolore, dalle risorse umane davvero inesauribili. Peccato.
È vero, caro Arrigo, che la Grande Ungheria o l’«Arancia Meccanica» olandese «non hanno avuto bisogno di vincere per convincere», come lei ama spesso ripetere. Ma quelle squadre di extraterrestri, soprattutto la seconda, cambiarono l’essenza stessa del gioco. La sue innumerevoli «Italie(tte)», ci perdoni, non potevano permetterselo. Perché per gli umani, nel calcio conta soltanto una cosa, buttarla dentro. Magari anche solo da quegli undici, stramaledetti, metri.
LA TATTICA
Se questa è la nuova Frontiera del calcio, aiuto, aridatece la vecchia, quella dell’antico e tanto vituperato contropiede che, a quanto sembra, deve appartenere ad una razza assai meno nobile della moderna e così strombazzata «ripartenza». Mah.
Non fossimo stati emotivamente coinvolti per la presenza della nostra nazionale, l’ultimo atto dei Mondiali americani verrebbe semplicemente ricordato per ciò che è stato: l’apoteosi della Noia.
Un Brasile così all’europea, e non è un complimento, non lo si era visto neanche nel ’74, nel ’78 o nella disgraziata gestione dell’«eretico» Lazaroni, che a italia ’90 seppe inimicarsi un intero popolo, il suo, ricorrendo, udite udite, al libero (Mauro Galvão). Per carità, la filosofia è sempre quella, possesso palla e mentalità offensiva, ma l’esperienza maturata nei campionati del vecchio Continente ha portato in dote agli artisti del calcio danzato quella concretezza a loro troppo a lungo mancata.
I verdeoro sono fortissimi sulle fasce laterali e l'Italia si cautela. La prima (mezza) sorpresa, dopo l’autoesclusione di Signori, è la conferma di Berti esterno di sinistra nell’evidente scopo di contenere le sgroppate di Jorginho. dall’altra parte, l’estro di Donadoni, almeno nelle intenzioni, dovrebbe costringere Branco a ciò che sa far peggio e cioè difendere. Guardato alle spalle dall’inesauribile Mussi, con la sua intelligenza tattica, Donadão, assieme a Roby Baggio il più brasiliano dei nostri, dovrebbe consentire agli azzurri anche la necessaria copertura.
Sugli schermi auriverdes, un film già visto: Mauro Silva gioca all’altezza dei difensori centrali a costituire una cerniera difficilmente perforabile per vie interne. 4-4-2 quasi identici dunque e che il dio del calcio, se ne esiste uno, ce la mandi buona. Per lo spettacolo le premesse non sono però le migliori.
Dopo 5’ di gioco Sacchi inverte le posizioni di Donadoni e Berti, strano perché entrambi sembravano funzionare a dovere. È solo una prima impressione, ma a sinistra l’Italia pare sfondare con maggiore facilità. Passano altri 5’ e si torna come prima: l’interista a sinistra e il milanista a destra. Là davanti, Massaro e Roby Baggio si incrociano spesso, con il “Bip-bip” rossonero leggermente più avanzato.
Al 21’, l’infortunio di Jorginho costringe Parreira al primo cambio. Entra Cafu ma sul piano tattico non cambia nulla, anzi i brasiliani forse ci guadagnano. al 34’ identica sorte tocca agli azzurri. Mussi deve uscire e facendo entrare il centrale Apolloni, Sacchi deve giocoforza rivoluzionare la linea difensiva: Benarrivo passa a destra e Maldini torna al suo ruolo naturale di terzino sinistro. nel mezzo, il parmigiano va a far coppia con Baresi.
Intanto, vedere Baggio corricchiare su una gamba mentre Casiraghi e un certo Signori (23 gol in 24 partite nel campionato italiano appena concluso!) ammuffiscono in panchina, richiama alla mente la storiella di quello che per far dispetto alla moglie decide di privarsi dei «gioielli di famiglia»… Boh.
Nella ripresa, dopo cinque minuti, nuova inversione di fascia per Berti e Donadoni, durerà meno di un quarto d’ora. al 5’ del primo tempo supplementare Sacchi, costretto a schierare in mediana Evani al posto di Dino Baggio vittima di crampi, ci riprova: Berti a destra e Donadoni dall’altra parte, poi viceversa. talvolta si vedono anche Berti interno ed Evani esterno. Robetta. Nessuno però che riesca a contenere le affondate di Cafu sulla destra.
La gara non decolla mai perché le due squadre si elidono l'una con l'altra. Per gli amanti del genere, una goduria. Per gli innamorati del calcio, specie quelli non accecati dal tifo o dalla faziosità, sbadigli a non finire. La partita a scacchi fra due moduli quasi speculari (dell’eccezione Mauro Silva difensore aggiunto s’è detto), per di più appiattita verso il basso dall’importanza della posta in palio, dalle pessime condizioni meteo e da quelle fisiche di troppi protagonisti, finisce in parità. A perdere è, invece, il calcio.
CHRISTIAN GIORDANO ©
IL TABELLINO
Pasadena, Los Angeles (stadio Rose Bowl), 17 luglio 1994, ore 12,30
Brasile-Italia 3-2 ai rigori (0-0 d.t.s.)
Brasile: Taffarel; Jorginho (dal 21’ Cafu), Aldair, Marcio Santos, Branco; Mazinho, Mauro Silva, Dunga, Zinho (dal 106’ Viola); Romário, Bebeto. Ct: Carlos Alberto Parreira.
Italia: Pagliuca; Mussi (dal 34’ Apolloni), Maldini, Baresi II, Benarrivo; Donadoni, Albertini, D. Baggio (dal 95’ Evani), Berti; R. Baggio, Massaro. Ct: Arrigo Sacchi.
Arbitri: Sándor Puhl (Ungheria); guardalinee: Venancio Zarate (Paraguay), Mohammed Fanaei (Iran); riserva: Francisco Lamolina (Argentina).
Rigori: Baresi (I, alto), Marcio Santos (B, parato), Albertini (I, 0-1), Romário (B, 1-1), Evani (I, 1-2), Branco (B, 2-2), Massaro (I, parato), Dunga (B, 3-2), R. Baggio (I, alto).
Ammoniti: 4’ Mazinho (B), 41’ Apolloni (I), 43’ Albertini (I), 87’ Cafu (B).
Spettatori: 94.194 paganti (incasso: 3.577.415 dollari, circa 5,5 miliardi di lire).
Note: giornata non caldissima (28°C).
Commenti
Posta un commento