#20annisenzaPantani - Mont Ventoux & Courchevel: Caos Calvo (Tour 2000)


Giovedì 13 luglio, 12ª tappa: Carpentras – Le Mont Ventoux, 149 km
Alla partenza: 
Lance Armstrong in giallo; 2° Jan Ullrich a 4’14”; Pantani 24° a 10’34”;
1° Pantani in 4h 15’11” a 35,033 km/h; 2° Armstrong s.t.; 3° Beloki a 25”; 4° Ullrich a 29”;
All’arrivo: 
Lance Armstrong in giallo; 2° Jan Ullrich a 4’55”; 3° Beloki a 5’52”; Pantani 12° a 10’26”.

Domenica 16 luglio, 15ª tappa: Briançon – Courchevel, 173,5 km
Alla partenza: 
Lance Armstrong in giallo; 2° Jan Ullrich a 4’55”; Pantani 9° a 10’13”
1° Pantani in 5h 34’46” a 31,096 km/h; 2° Jiménez a 41”; 3° Heras a 50”; 4° Armstrong, Nardello a 1’00”;
All’arrivo: 
Lance Armstrong in giallo; 2° Jan Ullrich a 7’26”; Pantani 6° a 9’03”


Il Mont Ventoux è uno strano esemplare jurassico. Unico. Lunare. Né Alpi né Massiccio Centrale.

L’ideale – se proprio si vuole o deve – sarebbe affrontarlo a tarda estate, quando i campi a fondovalle sono già stati arsi dal sole.

Se possibile la mattina presto, quando il profumo di lavanda si spande gradevole nell’aria ancora frizzantina.

E prima che il maestrale che spira, specie a tardo pomeriggio, a 90 km/h per 240 giorni l’anno, ti disarcioni mentre scali, figuriamoci quando scendi e alla bici devi solo pregare di riuscire a restarci aggrappato. In piedi.

Meglio ancora approcciarlo da Sault (22 km al 5,1% medio) anziché da Malaucène o da Bédoin (21,6 km al 7,5% di pendenza media e 10,7% di massima), il versante in genere più affrontato al Tour.

Fidatevi, esperienza personale. Perché almeno per qualche metro, in mezzo al bosco finché c’è, qua e là quasi spiana.

Il “Gigante della Provenza”, quando lo scorgi da lontano, sulle prime nemmeno te ne accorgi. E poi quasi neanche ti fa troppa paura. Sembra solo un inerme, innocuo cocuzzolo spolverato di sale in mezzo al nulla.

Tutto cambia dal punto di non ritorno: il parcheggio dello Chalet Reynard, la spianata con l’omonimo chioschetto ai -6,6 km dall’Osservatorio astronomico che in vetta domina le vallate circostanti. In un panorama, con qualsiasi meteo, sempre mozzafiato, e non solo per la fatica fatta nell’ultimo tratto fino ai 1909 metri di altitudine della vetta.

Da là in poi si entra in un metaverso distopico alla Cormac McCarthy. Un mondo nuovo e insieme antico nel quale le sorti dipendono dall’umore del meteo, prima e più ancora che dalle condizioni psicofisiche di chi si azzardi a inerpicarvisi. Lassù non esiste più vegetazione. E anche a pesanti cassonetti e transenne capita, a volte, di librarsi in volo leggeri come colibrì. Rifidatevi: l’unica è barricarsi in auto, e anche così sballottati non è detto ci si senta più al sicuro.

Il Ventoux del Tour 2000 è una giornata di quel tipo. Nonostante il sole abbagliante, riflesso dalle pietraie bianche, abbaglia, la temperatura è di soli nove gradi centigradi per un Mistral furioso, anche se meno che nella ricognizione fatta da qualche temerario la vigilia, nel giorno di riposo.

Fra questi Manuel Beltran e Daniele Nardello. «Il vento fischiava a oltre cento km l’ora – riferirà Beltran – le raffiche erano così forti che in cima non è stato possibile fare l’ultima curva, a duecento metri dall’arrivo.

E comunque non così intense, per capirci, rispetto a quelle del Tour 2016. Quando, per sacrosanti motivi di sicurezza (in primis dei corridori), la 12ª tappa partita da Montpellier – il 14 luglio, festa nazionale per la Presa della Bastiglia – e vinta dal fugaiolo belga Thomas De Gent, fu decurtata proprio allo Chalet Reynard, quindi degli ultimi 500 metri di dislivello, in quella poi passata alla storia come la “corsetta” – a piedi – di Chris Froome. La maglia gialla rimasta senza bici dopo aver tamponato l’ex compagno Richie Porte, che a sua volta aveva centrato una moto-tv fermatasi all’improvviso.

Il 13 luglio (come nel ’67, quando vi spirò Tom Simpson) la 12ª tappa, 149 km con partenza da Carpentras e (teorico) finale ai 1909 della vetta, prevede tre colli di seconda categoria (Col de Murs, Côte de Javon e Col de Notre Dame des Abeille) e uno di quarta (Côte de Mormoiron) prima dell’ascesa finale hors catégorie.

Il Ventoux, secondo traguardo in salita dopo Hautacam sui Pirenei alla decima, mancava dalla Grande Boucle dal 1994 (primo il nostro Eros Poli) e come sede di arrivo dal 1987. Anche allora una Carpentras-Ventoux salendo da sud, ma come cronoscalata di 36,5 km, vinta dallo francese Jean-François Bernard. L’ennesimo “nuovo Hinault” mancato.

C’è anche il suo tra i cinque ritratti sul mega-striscione approntato dal locale Dipartimento della Vaucluse, e appeso in verticale sulla facciata dell’Osservatorio. Gli altri, con relativa data, sono quelli di chi là in cima ha vinto prima di lui: 1958 Charly Gaul (l’idolo del Panta), 1965 Raymond Poulidor, 1970 Eddy Merckx, 1972 Bernard Thévenet.

Tu vuo’ fa’ l’Americano

Al via, dopo il primo giorno di riposo, il vertice della classifica recita: in giallo lo statunitense Lance Armstrong (della US Postal) con 4’14” sul tedesco Jan Ullrich (Deutsche Telekom), 5’10” sul francese Christophe Moreau (Festina).

Marco Pantani (Mercatone Uno-Albacom), reduce da un anno di inattività, è 24° a 10’35”.

Salendo verso Hautacam, aveva patito una delle sue più memorabili cotte da quando era pro’. «Mi sentivo bene e invece, per la prima volta nella mia carriera, mi hanno staccato».

Per «prima volta» intendeva, ovvio, la sua crisi in un tappone di montagna, suo abituale terreno di caccia nei grandi giri.

Il suo diesse Beppe Martinelli però alla vigilia del Ventoux si era mostrato fiducioso: Marco poteva solo migliorare, e avrebbe cercato di correre nel miglior modo possibile per puntare al podio di Parigi.

Un obiettivo che a Jan Ullrich, vincitore nel 1997, «non interessa. Il mio obiettivo resta la maglia gialla. Per questo me la vedrò con chi ha almeno possibilità di vincere questo Tour: nell’ordine Armstrong che è in testa alla classifica, Alex Zülle che mi è parso molto forte e Fernando Escartín, che ha una grande squadra per la montagna». Quando in conferenza stampa, in hotel a Grignan, una settantina di chilometri a nord di Avignone, gli chiedono se non ha dimenticato qualcuno, va giù duro come i rapportoni che spinge: «Pantani? No: non può più avere un ruolo importante per la classifica generale».

Quello, ne è sicuro, lo giocherà il Mistral. «Il Ventoux l’ho visionato subito dopo la Classique des Alpes (192 km da Chambéry ad Aix-les-Bains, vinta, il 3 giugno, da Jiménez su Escartín e Armstrong), ma mi sono subito fermato per il mal di schiena. Comunque, il Ventoux è duro e il vento reciterà un ruolo importante».

Ad Armstrong, invece, quel Gigante tutt’altro che gentile non è mai piaciuto. E per una volta la sua, di vigilia, pare più ricca di apprensione che di Grandi speranze dickensiane. «Non è una salita come le altre – spiega il texano dal cuore oltre che gli occhi di ghiaccio – Più che una montagna è una luna. Lassù gli alberi finiscono, il clima è strano. Non si respira. È la salita che temo di più e per me sarà un gran test».

Alla partenza, Pantani firma autografi sfoggiando una bandana nera con loghi da Pirata ricamati con filo giallo. «Terrò questa – dice promettendo battaglia – finché non tornerò re della montagna». Quello che gli uomini (o almeno certuni) non dicono è che da due giorni gli fa male il quadricipite sinistro.

Un classico, qualche malanno fisico, nell’immediata vigilia delle sue più grandi imprese.

Gli indizi però tutto lasciano pensare tranne che la tappa rientri fra queste.

La corsa si accende ai -8 km dal Ventoux. Pantani soffre il ritmo della Banesto e altre due volte a inizio salita.

La prima sulla trenata di Kevin Levingston della US Postal (uno dei due amici che, con la madre di Lance, erano con lui in ospedale a San Antonio il lunedì in cui gli fu diagnosticato il tumore; e, nel pomeriggio, per la prima chemioterapia).

La seconda su un forcing di Heras.

Il Panta si stacca dal gruppetto di testa e accumula 24” di ritardo, che poi riduce e contiene sempre sotto la doppia cifra.

In un paio di chilometri, rientra e subito dopo attacca.

Vanno a prenderlo Santiago Botero con gli altri della Kelme, e il Pirata riparte altre quattro volte.

Sembra di nuovo quello visto sei settimane prima, il 2 giugno, sul Colle dell’Agnello, la Cima Coppi di quel Giro: era la 19ª frazione, la Saluzzo-Briançon, con l’Izoard – già “suo” nella Cuneo-Les Deux Alpes ’94 vinta dal suo compagno Volodymyr Pulnikov – prima della discesa finale verso la «Città più alta d’Europa».

La tappa regina era poi andata a Paolo Lanfranchi, ma “la” notizia era il ritorno del Pirata, secondo a 54”.

Il Pirata e il Cowboy

All’inizio dell’ultimo tratto del Ventoux, ai -6 km dalla vetta, stacca anche Botero. «Quando ho visto che il ritmo dei primi non era fortissimo e che ero riuscito ad agganciarli, mi è scattata la molla e sono partito», spiegherà il Panta.

Armstrong lascia fare, aspettando che sia magari Ullrich, secondo nella generale ma a 4’14”, eventualmente a muoversi. Ma il tedesco è in difficoltà, per non dire crisi. Armstrong se ne accorge e allora parte anche lui. Non è quello visto dominare sui Pirenei, ma neanche il Panta sta benissimo e difatti lo raggiunge.

«L’ho incoraggiato a non mollare, con quel vento era meglio andare su in due», dirà poi un mai così cavalleresco Lance. Solo che prima gli chiede di collaborare e un attimo dopo lo pianta lì. A quel punto il ciclismo in quanto tale c’entra il giusto, idem la suprema ragion di Stato della maglia gialla.

È più un duello rusticano tra uomini che mai si sono né sarebbero presi, ciascuno a proprio modo irrisolti. E, nei loro opposti, insospettabilmente fragili e insicuri. A cantarla con Mina, «fatti di briciole, briciole che l’orgoglio tiene su».

Una sfida ad alto tasso di testosterone, due pugili sui pedali che hanno per ring il Ventoux.

Pantani al sesto e ultimo scatto riesce a scappargli via, ma Armstrong allunga e gli torna sotto. Salgono insieme, ma senza gli ultimi riferimenti. Il piano-b di emergenza-Mistral prevedeva infatti un arrivo alternativo anticipato di sei chilometri, ma pure la rimozione dei consueti pannelli indicanti i metri che mancano al traguardo.

E infatti la sala stampa, non quella grande attrezzata per i compound delle tv, ma il tendone (per carta stampata e web) posto a un chilometro dall’arrivo, era stata spazzata via dal vento.

Anche questo aveva quindi “falsato” uno sprint di fatto mai esistito. Lasciato vincere o no, è Pantani a passare per primo quel traguardo di cui lì per lì forse neanche si rendono conto di aver tagliato.

Dopo 405 giorni dalla sua ultima vittoria, a Campiglio il 4 giugno ’99 al Giro, Pantani diventa così il sesto ritratto che andrà messo sullo striscione da affiggere sulla facciata dell’Osservatorio al prossimo passaggio del Tour sul Ventoux.

Il giorno dopo, alla partenza da Avignone, foto di rito e premiazione sul palco con tutti e sei: Gaul, Thévenet, il Panta in completo all-pink della Mercatone Uno (non potendo usare al Tour il giallo), Bernard, Poulidor e Merckx.

Per lui è il settimo successo di tappa alla Grande Boucle, dopo tre doppiette: Alpe d’Huez e Guzet-Neige ’95, Alpe-bis e Morzine ’97, Plateau de Beille e Les Deux Alpes ’98. Presto arriverà l’ottava, a Courchevel alla 15ª, prima del ritiro proprio nella “sua” Morzine.

Nella generale, Ullrich – quarto all’arrivo a 29” – resta secondo ma a 4’55”, Beloki è terzo a 5’52”.

Non si vede, neanche in lontananza, chi possa anche solo insidiare il bis consecutivo di Armstrong.

Jalabert ha perso 2’01”, Escartín e Zülle 3’12”, Bobby Julich 6’45”, Michael Boogerd 7’51”, Abraham Olano 9’50”.

Pantani, 12° a 10’26”, può ambire al più a vittorie di tappa, il podio sembra fuori della sua portata.

«(Per me) comincia un altro Tour – dichiara – Farò l’impossibile per arrivare a un buon piazzamento a Parigi».

Nel dopocorsa, intanto, più forte del Mistral spira il vento delle polemiche.

«Vincere sul Ventoux con addosso la maglia gialla, quante volte può capitarti in carriera?», si interroga retorico Eddy Merckx, scuotendo il crapottone. «Grande Pantani, ma io non l’avrei fatto passare». Cannibale si nasce.

Armstrong però ha altre idee: «Tappa in due fasi. Nella prima ha fatto tutto la mia squadra, bravissima. Poi ci ho pensato io. Sono contento sia finita, troppo vento, è stata dura. E sono contento sia finita così: Pantani ha attaccato tante volte, era giusto vincesse lui, anzi ne aveva il “diritto”. Per come ha corso e per ciò che rappresenta».

Parole da texano dal cuore tutt’altro che di ghiaccio, ma con un retrogusto velenoso. Evitabile.

Fino a che punto sincere, be’, quello neanche dalla sua ospitata da Oprah Winfrey del 2013 l’avremmo mai saputo.

Però molto simili a quelle che Lance aveva pronunciato dopo Hautacam, dove era andato a prendere Javier Otxoa, gregario di Escartín e Heras ormai all’ammazzacaffè, lasciando però al basco della Kelme 42” di bagnomaria e una vittoria strameritata dopo 155 km di fuga sotto il diluvio. Uno stillicidio che aveva portato a dieci ritiri.

L’indomani sui quotidiani, invece, è tutto un peana ai dioscuri impegnati in una singolar tenzone che ai media, non solo francesi ma a loro forse di più, piace da matti.

«LES GÉANTS DE PROVENCE titola – stavolta facile, ma non per questo meno efficace – a tutta prima pagina e in maiuscolo L’Équipe, con la foto dei due (quasi) appaiati sul traguardo.

I giganti in cima a quello della Provenza.

Yves Perret, dal 1988 al 2010 redattore, poi inviato e infine capo dello sport al Le Dauphiné Libéré, la bibbia locale nella Région de Rhône-Alpes, va oltre lo scontato calembour: «C’était vraiment le mont chauve» (“È stato per davvero il monte calvo”), il titolo del suo pezzo in apertura delle pagine sportive. Accompagnato dai loro primi piani, scattati in periodi diversi: l’attuale pelata per scelta (di look) del Panta e quella in passato obbligata (per chemio) di Lance.

Ritorno in vetta – recitano occhiello e sommario, giocando su più livelli di lettura – Da quando era stato estromesso dal Giro ’99, Marco Pantani non aveva più vinto una corsa. Ieri, ha conquistato una delle tappe più ambite». Chapeau bas.

Doppio sogno

Due giorni dopo, altro tappone: con l’Izoard e arrivo ai 1335 metri di Briançon, proprio come al Giro 2000.

Un anno speciale per la autoproclamatasi «Capitale mondiale du vélo»: nell’arco di un mese e mezzo, il 2-3 giugno la corsa rosa, il 10 giugno il Delfinato e il 15-16 luglio il Tour.

Pantani ci prova ad attaccare, ai -6 km dallo scollinamento, quando davanti sono in fuga in sette, tra cui Santiago Botero e Paolo Savoldelli. Il Falco però stavolta non plana giù dal Fauniera come a Borgo San Dalmazzo al Giro ’99. E deve accontentarsi della seconda piazza, a 2’30” dal colombiano della Kelme.

L’unico che risponde all’affondo di Pantani sull’Izoard è Armstrong, mentre Pascal Hervé per Richard Virenque e Beppe Guerini per Ullrich sembrano averne persino di più dei rispettivi capitani che faticano a restargli a ruota. Lance li riprende tutti tranne i primi due, Pantani compreso, poi lasciato a cuocere con Roberto Conti.

Armstrong però non guadagna mai più di 30” e così Hervé riporta sotto i pochi altri big superstiti.

Nel finale, Pantani va prendersi il terzo posto, a 2’46” da Botero, e 13” sulla maglia gialla: i 5” di distacco su Armstrong più gli 8” di abbuono.

Forse per la prima volta in quel Tour anche Armstrong era parso umano.

«È vero, sul Ventoux mi sentivo molto più forte – spiegherà l’americano in conferenza stampa – Sull’Izoard ero al limite, ho sofferto. Pantani? Non mi preoccupa, ma lo vedo sempre meglio. Sono sicuro che lo rivedrò attaccare verso Courchevel, una tappa fatta su misura per lui».

Nell’aria quindi c’è profumo d’impresa. E stavolta senza concessioni.

Ma come spesso gli è capitato in vigilie importanti, il Panta non è al top: avrà smaltito l’influenza che lo ha condizionato il giorno prima? Il dottor Emilio Magni, il medico della Mercatone Uno, aveva parlato di «leggera tracheite».

Ma il colorito del Pirata – e soprattutto la brutta cera mostrata sul Col d’Allos e sul Col de Vars, non lasciava tranquilli né i compagni né il massaggiatore Roberto Pregnolato, il massaggiatore. Idem col meteo: un grado la temperatura sul Galibier, neve fresca sui prati e ghiaccio sulla strada.

Domenica 16 luglio, alla partenza della 15ª tappa, la Briançon-Courchevel di 173,5 km, la classifica recita: Armstrong con 7’26” su Ullrich e 7’28” su Beloki. Pantani è sesto a 9’03”.

Alla partenza i segnali sono due volte incoraggianti. Il Panta non si rintana nel camper, e mostra voglia di parlare. «Ieri ci sono rimasto male – confida a Gianni Mura de la Repubblica – quando (Armstrong) mi è scattato in faccia, un gesto inutile che non ho capito. Oggi devo fare qualcosa ma prima dell’ultima salita non serve a niente».

Il percorso prevede quattro GPM di cui due hors catégorie – Lautaret (2058 metri), Galibier (Souvenir Desgrange a quota 2645, al 6,9% medio), Télégraphe (1566) e, ai -70 km, de la Madeleine (2000) – prima dell’ascesa verso Courchevel, colle di I categoria e terzo arrivo in salita, dopo Hautacam alla 10ª e Ventoux alla 12ª.

I giochi fra i big cominciano sulla Madeleine. Armstrong non ha la faccia dei giorni migliori, e già non ha più gregari. Ma a parte uno scattino di Escartín e Ullrich, nessuno lo attacca.

Nessuno eccetto il Panta, la cui irresistibile azione stavolta si attua in tre fasi.

Solo nella prima, ai -15 km, con una progressione dal fondo del gruppetto che insegue i cinque superstiti del fugone di giornata: Jiménez, Nardello, Lelli e i “soliti” Otxoa e Botero, secondo e primo nella classifica della montagna.

All’allungo di Pantani rispondono subito il redivivo Livingston, luogotenente della maglia gialla, e il francese Virenque. E poi Armstrong. Ullrich naufraga, e a differenza dell’Izoard stavolta nemmeno Guerini può traghettarlo in porto.

Al secondo affondo del Panta, saltano Virenque e Livingston. Gli resiste Armstrong, che superandolo gli bofonchia qualcosa. I due galletti si danno i cambi, mentre da dietro li riagguanta Heras e davanti viene risucchiato Otxoa.

Ai -10 km i tre battistrada (Nardello, Jiménez e Botero) hanno 1’08” sul quartetto con Pantani e Armstrong, 2’ sul gruppetto di Virenque e un sontuoso Moreau, in lotta con Beloki per il podio finale, già 2’40” su Ullrich.

Ai -9 km Jiménez tenta l’allungo solitario, che invece riesce a Pantani ai -6 km. È la sua terza fase. Quella decisiva.

Armstrong tiene per cinquecento metri, poi cede e va su del proprio passo.

Pantani invece supera di slancio Botero e Nardello – «Quando Marco mi è passato accanto sembrava un razzo (o «una moto», secondo altra vulgata)», dirà l’italiano, esterrefatto almeno quanto lo Jalabert sverniciato dall’alieno rosa di Oropa ’99 – e poi, con due scatti inframmezzati da un mini-recupero dopo averlo agganciato, Jiménez.

Ai -3 km il Panta ha davanti solo il traguardo. E… un altro della Kelme.

Non è un corridore, ma un manifestante basco travestito da Javier Llorente (poi attardato a 22’17”), che manifesta mostrando sul petto la scritta «Libertà per i prigionieri baschi».

Al traguardo, se ne palesano altri tre: uno subito prima di Armstrong, e come lui in maglia gialla, che esulta a braccia levate, un altro in maglia a pois e uno in divisa Banesto. Tutti subito fermati dalla Gendarmerie.

Il Pirata invece non lo ferma più nessuno. Non siamo ai livelli dei «49 di Oropa», ma quasi.

Ai -22 km, l’inizio del forcing dei suoi Mercatone Uno (specie Siboni, Velo e Zaina ai piedi dell’ultima salita), aveva 4’10” di ritardo dagli undici fuggitivi. Nella sua rete cadranno via via Van de Wouver, Serrano e Boogerd, Luttenberger, Arrieta, García Acosta, Botero, Otxoa, Lelli e Nardello. E infine “el Chava” Jiménez, poi lasciato a 41”.

A 50” Heras e Armstrong. A 3’21” Ullrich, che nella generale salva il secondo posto ma precipita a 7’26”.

Il Panta guadagna tre posizioni e ora è sesto a 9’03”.

All’arrivo la sua esultanza è però quasi minimalista, se non altro rispetto al valore, intrinseco più che di classifica, dell’impresa. Solo dopo aver tagliato il traguardo alza il ditino indice destro, senza staccare dal manubrio la mano sinistra.

Non è, né sarà più, quello della doppietta del ’98. Ma ha «rimesso le cose a posto. Quando stacchi tutti e arrivi da solo, la vittoria ha il sapore del trionfo. Sì, è una vittoria alla Pantani. Questa vittoria ha un sapore forte. Il successo del Ventoux era tutto per me, questo invece voglio dedicarlo alla Tonina. Perché come me ha sofferto tanto in questi mesi».

«In salita Marco è il numero uno, è il più forte di tutti», lo elogia Armstrong all’arrivo (ma 24 ore dopo compirà una U-turn clamorosa). «Ci siamo subito capiti, avevamo interessi comuni. Quando è scattato l’ultima volta, non gli ho risposto. Non m’interessava vincere la tappa, ho preferito salire del mio passo. Ho sofferto anche oggi ma meno di ieri. Lo ammiro ogni giorno di più».

L’indomani mattina, nella conferenza stampa del secondo e ultimo riposo, seduto accanto al suo altrettanto diabolico e geniale diesse belga Johan Bruyneel, sgancia il bombone mediatico. Peraltro, del tutto gratuito oltre che fuori tempo massimo, quattro giorni dopo il presunto “regalo”: «Sul Ventoux ho preso una decisione istintiva, immediata e l’ho lasciato vincere perché lungo la salita era stato molto coraggioso. E perché so cosa ha passato. Ma dopo le frasi che ho letto ho capito di aver commesso un errore. Sono molto deluso da quello che Marco ha detto dopo. Pensavo avesse più classe. Quel giorno l’hanno visto tutti che ero il più forte. Ho voluto compiere un bel gesto, ma me ne pento».

Apriti cielo. Media impazziti. E subito a caccia dei perché e percome. Mercatone Uno caduta dal pero.

Tutto era nato da certe dichiarazioni attribuite a Pantani, e da lui smentite, riportate da giornali francesi. In particolare, da l’Équipe: «Quando (Armstrong) mi ha invitato ad accelerare mi sono sentito provocato, la prossima volta li staccherò tutti. Se crede che con quel gesto sia tutto finito, si sbaglia, con me non ha finito».

Anche a parole, prima che sui pedali.

La sera, in diretta tv dalle 20,10 su France 3, la controrisposta del Panta: «Sul Ventoux ho vinto uno sprint regolare. Non c’è stato alcun regalo. Se la pensa così, peggio per lui. Siamo arrivati in cima e ho visto la linea d’arrivo all’ultimo momento. Se avesse cercato di superarmi, avrei aumentato il ritmo».

A quel punto, la Courchevel-Le-Praz - Morzine di 196,5 km, 16ª tappa e ultima alpina, è qualcosa che va oltre l’agone sportivo, è lo Showdown definitivo. O io o lui.

Il Pirata va all’arrembaggio già dal Col des Saisies, un prima categoria, ai -116,5 km. Il suo è un doppio sogno schnitzleriano: non gli basta l’eventuale tris di tappe, vuole ribaltare il Tour. Resta in fuga per 82 km, ma con Escartín e Heras che lesinano i cambi, i tre vengono ripresi poco dopo la discesa della Colombière, ai -44,5 km. Ma la rumba vera inizia sul terribile Joux Plane: 11,5 km all’8,7% medio e 100 metri al 15,5% di massima fino ai 1697 della vetta prima della picchiata su Morzine. Proprio là – e sempre con lo Joux Plane – dove aveva trionfato nel 1997.

Altri tempi. In questi il Panta ha una crisi intestinale che lo svuota non solo di energie, e chiude a 13’44” dal vincitore, Virenque, che approfitta della caduta di Heras. E al traguardo elogia Pantani: «Ha fatto esplodere la dinamite nella corsa, giornata combattutissima». Mai banale il 18 luglio al Tour per il controverso francese: nel 1995 vinse a Cauterets la tappa in cui perì Fabio Casartelli, nel ’98 fu espulso per lo scandalo-Festina e ora Morzine.

Armstrong invece ammette che «è stata la giornata più dura nella mia carriera. Sulla salita sono andato in crisi, mi sento come un pugile salvato dalla campana».

Non si salva invece Pantani. Alle 23 all’hotel Les Sapins, sul Lac de Montriond, la decisione di non ripartire.

Il Tour del Panta finisce lì. A Parigi lo rivincerà, in back-to-back, «l’americano» come lo chiamava lui. Stavolta con 6’02” su Ullrich e 10’04” su Joseba Beloki.

Non avremmo più rivisto quel Pantani, né lui al Tour. Ventoux e Courchevel resteranno le sue ultime vittorie. E quell’attacco folle, tchaikovskyiano, il suo canto del cigno. Meraviglioso e struggente.

CHRISTIAN GIORDANO ©
Sky Sport ©

Commenti

Post popolari in questo blog

PATRIZIA, OTTO ANNI, SEQUESTRATA

Allen "Skip" Wise - The greatest who never made it

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?