#20annisenzaPantani - I 49 di Oropa (Giro 1999)
Domenica 30 maggio, 15ª tappa: Racconigi-Oropa, 143 km
Alla partenza:
Pantani in rosa; Paolo Savoldelli 2° a 53”; Ivan Gotti 3° a 1’21”; Laurent Jalabert 5° a 1’45”;
All’arrivo:
Pantani in rosa; Savoldelli 2° a 1’54”; Jalabert 3° a 2’10”; Gotti 4° a 2’11”
di CHRISTIAN GIORDANO ©
Sky Sport ©
«Io pensavo di andar forte, ma è sbucato Marco
e se non mi fossi spostato mi sarebbe passato sopra»
– Laurent Jalabert
L’aveva vinto l’anno prima, e ormai rivinto l’anno dopo. What If.
Nel 1999 Marco Pantani, reduce dalla doppietta Giro-Tour, è il corridore più popolare e forse più forte al mondo.
Di sicuro quando la strada va all’insù.
La rosa l’aveva già presa all’ottava, vincendo nelle intemperie (pioggia al via, poi caldo, neve e nebbia all’arrivo) la marcialonga (253 km) sul Gran Sasso dopo aver spezzato i sogni di Pietro Caucchioli e Mariano Piccoli (fugaioli per 208 km). E scavando un solco in appena due chilometri: secondo José María Jiménez a 23”, terzo Alex Zülle a 216”, quarto Ivan Gotti a 33”.
L’aveva strappata a Laurent Jalabert, il francese cacciatore di classiche reinventatosi tappista da grandi giri. E così completo e versatile da trasformarsi, da “over”, una volta smesso con la bici, in maratoneta amatoriale.
Jiménez, il Panta spagnolo specie nella cattiva sorte, aveva già capito tutto già alla quinta, alla vigilia delle prime salite: «Ho visto un corridore che pedala più facile di tutti e che mi ha impressionato: è Pantani. Da lui possiamo aspettarci di tutto. Se decide di prendere la maglia rosa, non ce ne sarà per nessuno». Fácil profeta.
Jaja però se l’era ripresa subito – e per appena due centesimi di secondo – vincendo a 47,9 km/h di media la crono di 32 km di Ancona, con il Panta-rosa ottimo terzo (a 55”) dietro lo specialista ucraino Serhiy Honchar (a 25”).
Stavolta il sogno spezzato è quello di Marco: arrivare in rosa, il giorno dopo, nella sua Cesenatico.
Si consolerà con la “visita parenti”: un saluto al chiosco delle piadine a mamma Tonina e alla sorella Manola. Un salto alla nuova casa per controllare come stessero i due cani donatigli da Jovanotti e l’amato cavallo. Poi il rientro a dormire in hotel, per rispetto dei compagni.
Jalabert poi gliela restituisce già alla 14ª nel tappone di Borgo San Dalmazzo. Vinto in picchiata da Paolo Savoldelli, giù dai 2511 metri del Fauniera più kamikaze che Falco, con Pantani piazzato a 1’47” e Jalabert saltato a 3’28” all’arrivo, e ora quinto a 1’45” nella generale.
L’indomani, domenica 30 maggio, altra frazione di montagna: la Racconigi-Oropa di 147 km, gli ultimi undici di salita per 733 ,metri di dislivello verso l’arrivo ai 1142 del Santuario Mariano, sulle Alpi biellesi. Pendenza media del 7,9%, e 13% massima. E teatro, al Giro ’93, di una delle più memorabili cotte subite da Miguel Indurain in carriera, sotto i fendenti di un Piotr Ugrumov spaziale e poi secondo sul podio finale.
Alla partenza, il Pirata veleggia con 53” su Savoldelli, 1’21” su Gotti, con cui non corre buon sangue dopo lo scarto dell’uno e la mancata collaborazione dell’altro nel finale verso Borgo San Dalmazzo: «Mi ha deluso come uomo», l’affondo del bergamasco; «È stato involontario», la difesa del romagnolo. I due si chiariranno l’indomani, in privato in coda al gruppo subito dopo il via, e in pubblico con reciproche dichiarazioni assai concilianti al traguardo.
Fino ai -33 km dall’arrivo, la Mercatone Uno del leader – uno squadrone – controlla la corsa.
Ai piedi della salita, Paolo Bettini e il colombiano José Jaime “Chepe” González scattano per prenderla davanti, ma in classifica sono lontani e ai big non interessano. Col Panta c’è anche Jalabert. In testa, a scandire il ritmo, ci pensano Roberto Petito e il Portoghese orlando Sergio Rodrigues.
Ma ai -8,7 km dal traguardo, nella spianata tra Cossila San Grato e Cossila San Giovanni, ecco il coup de théâtre. Quello sì, involontario: Pantani si accosta sul ciglio destro della strada, accanto a un cassonetto verde dei rifiuti, e scende di bici.
Sulle prime tutti pensano a una foratura. Poi a un problema meccanico. In realtà né l’una né l’altro: un banale, ma quanto mai intempestivo, salto di catena. Verosimilmente uscitagli nel passare dal 39” al 53” sul padellone, anche se le difficoltà maggiori Marco sembra poi averle nel risistemarla dietro, sul pignone.
Le riprese zoomate dall’elicottero mostrano il meccanico a bordo della macchina di cambio-ruote Shimano, con in mano una ruota posteriore dietro a Pantani che tenta di rimettere su la catena.
Il Panta fa in pratica tutto da solo, ma l’episodio regala al compianto Giancarlo Rinaldi, che almeno riesce a dargli una spintina per farlo ripartire più veloce, un quarto d’ora di warholiana notorietà tanto non voluta quanto meritata.
Anima del team Orobica, e tra i più rispettati e benvoluti in carovana, Rinaldi è stato nel servizio scorta – per Shimano, poi alla Scott e infine come responsabile del Neutral Service del gruppo editoriale InBici – per oltre quarant’anni nel mondo delle corse, e per almeno settanta gare in stagione, sommando quelle di pro’, dilettanti, gran fondo amatoriali.
Pantani perde circa quaranta secondi.
Déjà-vu, come trentasei anni prima. Nel 1963, la prima volta di Oropa sede di arrivo del Giro, capitò un incidente meccanico anche a Carlo Brugnami. Era l’undicesima frazione, la Asti-Oropa di 130 km. A lui però la catena era saltata a 400 metri dall’arrivo, quando era subito dietro Vito Taccone, che vinse la tappa, e i piazzati Vittorio Adorni e Franco Balmamion, poi vincitore di quel Giro. Il povero Brugnami il traguardo lo tagliò da nono, spingendo la bici.
A memento dell’episodio, ma ai -5 km dalla vetta, c’è una palina commemorativa dei grandi momenti vissuti lì dal Giro.
Il Comitato di tappa dell’edizione 2017 (la Castellania-Oropa) ne ha poste undici in metallo, una a ciascuno degli undici km da Biella al Santuario. Ai -3 km per lo scatto di Ugrumov su Indurain (la tappa la vinse poi Massimo Ghirotto), ai -7 km il successo di Marzio Bruseghin nel 2007 e ai -6 km quello di Enrico Battaglin nel 2014.
Peccato che uno o più soliti idioti e incivili – stessa malata genìa di chi ha asportato la targa con la quota in cima al Ventoux – abbiano subito rubato quella posta ai -8,7 km e dedicata alla Catena di Pantani.
La storia dunque che si ripete, anche se – vista coi nostri occhi di oggi – come tragedia anziché farsa.
Pantani ha un ritardo di 15” dalla coda del gruppo. E riparte come una furia, agganciando i compagni che lo hanno aspettato per riportarlo dentro: Marco Velo (#8) e Simone Borgheresi (#5) si fermano subito, poi anche Stefano Garzelli (dorsale #3), Enrico Zaina (#2) e Massimo Podenzana (#9), che con Ermanno Brignoli (#6) sarà il primo a sfilarsi dopo aver speso tutto nel forcing.
In testa, con quei 40 secondi di vantaggio, il gruppo di testa è tirato da Nicola Miceli con Savoldelli, Jalabert e lo svizzero Oscar Camenzind, che ha lui pure ambizioni di podio finale. E al traguardo se la prende con Gotti: «Non lo capisco. Quando ha visto Pantani staccarsi, doveva andare via, non tenere il proprio passo regolare. La corsa è corsa, il fair play un’altra cosa. Sembra che vincere questo Giro non interessi a nessuno, soltanto a Pantani. Se fossi ancora in classifica, avrei tentato un’alleanza con la Vitalicio e la Polti». Le squadre di Clavero e Gotti.
In pochi ricordano infatti il duplice gesto di sportività di Savoldelli, che prima aveva spinto Marco mentre questi armeggiava in sella con il cambio e la catena. E poi, con la maglia rosa ferma a bordo strada, a gran voce ne aveva avvertiti i compagni della Mercatone Uno: «Ragazzi, ma non vi siete accorti che Marco è rimasto indietro?». Chapeau bas.
Più dietro, intanto, c’è anche Jiménez con “Chepe” González.
La progressione del treno gialloblù con l’ultimo vagone rosa, zigzagando tra le ammiraglie, è però impressionante.
Ora il grosso del lavoro se lo smazza Garzelli, con Borgheresi a dargli il cambio, poi Zaina e Velo alla cui ruota c’è, coperto, il capitano. Perso anche il Garzo, a Pantani restano tre uomini.
Le ultime trenate di Zaina e Velo sono insostenibili persino per scalatori purissimi come “El Chava” (il Selvaggio) Jiménez e l’escarabajo colombiano Hernán Buenahora, cognome marqueziano se ce n’è uno.
Ai -7 km, e 10” già recuperati, persino il Panta – anche lui en danseuse – sembra faticare a tenere quel ritmo, ma ha comunque la lucidità di mettersi a posto la scarpa destra.
Ripreso il russo Andrei Zintchenko della Vitalicio-Seguros, ai -6 km, sul tratto più duro, tenta uno scattino Roberto Heras, spagnolo della Kelme, che ora è in testa da solo.
Prova a forzare Jalabert, con attaccato al mozzo Gotti e poi il rientrante Miceli.
Tre-quattrocento dietro, il Panta in coda ai suoi ultimi due scudieri dopo aver passato Gabriele Missaglia della Lampre, raggiunge lo svedese Niklas Axelsson e Giuliano Figueras della Mapei. La squadra rivalissima del Panta anche per via del suo «niet» al patron Giorgio Squinzi e le divergenze ideologiche del 1998 sulla campagna congiunta CONI-FSN (federazioni Sportive Nazionali) di prevenzione “Io non rischio la salute”.
Con loro c’è il redivivo González.
Entrando nel comune di Fàvaro, adesso è Gotti che si mette in testa a tirare. Perso anche Zaina, a Pantani è rimasto il solo – generosissimo – Velo, per mestiere e vocazione un cronoman (oggi è il Ct azzurro di specialità) ma che sta andando su come e più di un grimpeur. Si staccano sia Jiménez sia Andrea Noé.
Jalabert e Miceli davanti danno cambi a Gotti, in coda Pantani scorge i fuggitivi. E sembra avere un altro passo. Il suo.
Jaja se la prende con la moto della tv, che non gli sta abbastanza lontano.
Ai -5 km, esaurita la spianata, si torna a salire. Il Panta è a 22” dal battistrada Heras, che ha 15” sul terzetto Jalabert-Gotti-Miceli e in piedi sale a tutta tra due ali di folla che al suo passaggio si aprono e richiudono come a Mosé il mar Rosso.
Pantani ha raggiunto il terzetto guidato da Gilberto Simoni con Daniele De Paoli e Savoldelli, secondo nella generale a 53” e alla cui ruota il Pirata in rosa s’incolla.
Ai -3,5 km Jalabert pianta là Gotti e Miceli, che gli rendono subito dieci metri, sorpassa a sinistra a velocità doppia Heras e si volta a destra per vedere l’effetto che fa. A non più di venti metri Pantani vede l’altro terzetto, quello di Gotti, terzo in classifica a 1’21”. Tutti i big sono là davanti. Qui non si vincerà certo il Giro, ma per qualcuno di sicuro lo si perde.
Pantani parte in piedi sui pedali e a mani basse sul manubrio. Poi si risiede ma continua a spingere, anche se non sembra con la levità dei giorni migliori. Ri-scatta ancora, mentre gli si accoda Savoldelli.
La maglia rosa attacca nei punti più duri. Jalabert si volta ancora, quasi sentisse che è il suo l’odore del sangue già annusato dallo sparuto branco che lo bracca.
Pantani aggancia Miceli, che è a ruota di Gotti. Respira giusto un istante, poi «si rialza sui pedali e ricomincia la fatica» per dirla con il toccante, immortale testo dedicatogli dagli Stadio.
Pantani adesso mulina che è un piacere vederlo, alternando tratto en danseuse e seduto. Solo lo stoico Miceli prova a resistergli attaccato. Heras si è piantato.
Ai -3 non raggiunge, né sorpassa Jalabert: gli vola via largo a sinistra in progressione, disarmante, senza nemmeno guardarlo. Jaja è come se avesse avvistato un alieno e nessuno, lui in primis, possa credergli.
Cerca di restargli agganciato, ma è molto più alto sulla sella. Panta è schiacciato sul manubrio.
Dietro, a 14”, cerca di tenere duro Gotti, che respira a bocca aperta, con lui ci sono Simoni, Savoldelli e lo spagnolo Daniel Clavero, compagno di Buenahora nella Vitalicio Seguros.
Il Panta fiuta il momento. Si guarda basso a sinistra e a destra. Si rialza sui pedali e riparte. Stavolta a un ritmo irresistibile per Jaja, figurarsi per gli altri. Ai -2,5 il francese è a 6”, Miceli a 16”. Il distacco di Savoldelli, Gotti, Simoni e Clavero è raddoppiato: 28”. Sul quartetto rientra Heras e si riavvicina De Paoli. Ma i giochi sono fatti, e loro ne sono fuori.
Savoldelli perde le ruota di Simoni e Gotti, che dà tutto quel che gli resta e forse pure di più.
I secondi del numero uno – di dorsale e di fatto – salgono a otto su Jalabert e trenta sulla coppia Gotti-Simoni.
Pantani addirittura rimette su il 53”, e lo mulina ora sui pedali ora in sella.
La progressione, quella dei distacchi, all’ultimo km si fa quasi geometrica: Jaja scivola a 16”, Ivan e “Gibo” a 36”.
Sul rettilineo finale – con il sottofondo di un tifo da stadio – Pantani continua a scattare. E al traguardo non esulta, né alza le mani dal manubrio. «Temevo ci fosse ancora qualcuno davanti e volevo evitare figuracce», spiegherà nel dopotappa.
No, Marco: li hai ripresi tutti. Uno per uno come i 49 racconti di Hemingway, ma con un finale thrilling di romanzo rosa.
Claudio “Greg” Gregori, l’Ultimo aedo della Gazzetta, è andato poi a sentirli tutti, quei 49 «dannati».
Dopo l’inconveniente meccanico, in cinque chilometri e mezzo di salita, lo «sputnik rosa» (cfr. il kazako Andrei Teteriouk della Liquigas) ha chiuso con 21” su Jalabert, 35” su Simoni, 38” su Gotti. E in classifica ora guida con 1’54” su Savoldelli, 2’10” su Jalabert e 2’11” su Gotti.
Dopo due successi di tappa, e quella dimostrazione di forza e determinazione, il suo bis consecutivo sembra scritto.
«Riesce sempre ad andare oltre le nostre aspettative – dirà il suo diesse Beppe Martinelli – Sono sicuro che senza quell’incidente avrebbe guadagnato molto di più per stare tranquillo in vista della cronometro».
Il riferimento è ai 45 km di due giorni dopo a Treviso, dominata dal “solito” Honchar (che in zona ha abitato per un anno) con 17” su Savoldelli e 41” su Jalabert, che Lumezzane, l’indomani di Oropa, aveva bruciato allo sprint Pantani e Simoni.
Difesosi nella crono con un ottimo settimo posto a 1’38” dall’ucraino, il Pirata aveva poi fatto saltare il banco imponendosi in un demoralizzante – per gli altri – back-to-back all’Alpe di Pampeago (scavando abisso negli ultimi quattro km) e a Madonna di Campiglio.
Con 5’38” su Savoldelli e 6’12” su Gotti, e il solo tappone di Aprica (col “suo” Mortirolo) prima della passerella di Milano, restava solo da capire non se ma di quanto Pantani avrebbe rivinto il Giro.
Ma a Campiglio succederà altro. La Mercatone Uno per protesta non riparte. Al via Gotti, come Gimondi con Merckx dopo Savona ’69, per rispetto non ne indossa la rosa, che poi conquisterà.
E nulla, né Pantani né il ciclismo, sarebbe stato più come prima.
CHRISTIAN GIORDANO ©
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