#20annisenzaPantani - Il "cristo rosa" di Montecampione (Giro 1998)


4 giugno, 19ª tappa: Cavalese – Plan di Montecampione, 243 km
Alla partenza: Pantani in rosa; Tonkov 2° a 27”; 3° Guerini a 1’47”, 4° Zülle a 2’08”
All’arrivo: Pantani in rosa; Tonkov 2° a 1’28”; 3° Guerini a 5’11”


di CHRISTIAN GIORDANO ©
Sky Sport ©

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Un cristo alato di sei metri. Un sesto del Corcovado, e più redento che Redentor.

Campeggia dal 26 giugno 2021 a Plan di Montecampione, col Col du Galibier forse l’altro apogeo nell’epica – magica e tragica – di Marco Pantani.

Il suo arrivo in rosa a occhi semichiusi, la testa reclinata all’indietro, tra il tormento e l’estasi michelangioleschi, braccia larghe come a voler accogliere e perdonarsi il mondo di sofferenze patite: è l’immagine più iconica del fragile, effimero eppure eterno volo terreno del Pirata.

Qualcosa di vagamente simile – nello sport recente, e pur senza quell’afflato di pietās – s’è rivisto forse solo nella trasfigurazione di Wayne Rooney subito dopo la sua immortale rovesciata del 2-1 nel derby mancuniano del 12 febbraio 2011. E ovvio Goal of the Year di quella Premier League.

Quanto al Giro ’98, non è là che il Panta lo vince. Ma è là che Marcopantani – così, tutto attaccato, come il Paolorossi mundial e un tutt’uno, inscindibile, con la sua bicicletta – diventa altro. Entra nel mito. Si fa monumento.

A Montecampione come sul Mortirolo o sul Fauniera, in piazza a Cesenatico e a Serramazzoni, il Cippo a Carpegna o il Biglione sull’autostrada a Imola. Per Panta, per sempre.

E dire che quell’anno, come troppo spesso al Giro, il percorso non si addice agli italiani più forti al momento.

Hai il più grande scalatore dei tempi moderni che incolla alla tv 4,5 milioni di persone (il 51% di share) dopopranzo in un giorno feriale? E pure discesista folle che può duellare in punta di sella – o a uovo – col vincitore uscente che, sì, mai sarà un fuoriclasse ma s’arrampica come uno stambecco?

E cosa fai, invece di salite à gogo, piazzi due cronometro da 40 e 34 chilometri come per il signore e padrone Miguelón Indurain; o, prima ancora, i francesi coi Tour su misura per Jeff Bernard (che poi, da mero specialista, per di più inviso al gruppo, mai li avrebbe vinti)?

Ovvio allora che, più che il paperino Pantani o l’anti-personaggio Ivan Gotti, alla vigilia risultino (più) favoriti il russo Pavel Tonkov, un bel tenebroso regolarista forte dappertutto che il Giro l’ha vinto nel 1996; e l’astro nascente Alex Zülle, un orologio svizzero (pure di passaporto) contro il tempo, e fresco di vittoria alla Vuelta a España il settembre precedente.

E infatti, pronti-via e il capitano della Festina (già chiacchierata, ma il bubbone non scoppierà che due mesi dopo, in Francia) sin dal cronoprologo di Nizza si prende la rosa, e a 53,053 km/h in 7 km rifila 23” a Gianni Bugno e Tonkov, 39” a Pantani e 49” a Gotti. Neanche partiti e già distacchi quasi da tapponi alpini.

La corsa – per dirla con l’immenso “Gabo”, che raccontando il ciclismo aveva iniziato – sembra Cronaca di una morte annunciata, invece per Zülle e Gotti sarà La mala ora; per Tonkov, ex colonnello dell’Armata Rossa, Il generale nel labirinto; e per Pantani Ci vediamo ad agosto, il mese in cui sarà il primo italiano, 46 anni dopo Fausto Coppi, a vincere Giro-Tour nella stessa stagione. E, sin qui, l’ultimo tout court a riuscirci.

La gara “vera”, al solito, s’accende nella terza settimana. Sin lì non che si sia sia scherzato, ma quasi.

Michele Bartoli, talento cristallino da campagna del Nord (Fiandre, Amstel, due Liegi e altrettante Coppe del mondo in carriera) la corsa sin lì l’ha colorata; persino di rosa, seppure per un giorno, a Frascati alla quinta. Ma è Zülle che l’ha controllata, facendo con la maglia come in Per Elisa di Alice: ti lascia e ti riprende come e quando vuole… lui.

Un giochino rischioso che in tempi recenti non ha portato fortuna a Remco Evenepoel e che a Primož Roglič stava per costare, contro Geraint Thomas, il Giro 2023.

Zülle l’aveva persa a Imperia, nella seconda frazione in linea, se l’era rimessa vincendo a Lago Laceno e a Carpi l’aveva lasciata al carneade francese Laurent Roux, vincitore di giornata.

Anche lui per un giorno, perché l’indomani a Schio – tappa #13 al Bartoli furioso – la vestirà Andrea Noè, compagno dello stesso Bartoli nella Asics. E lo stesso “Brontolo”, reduce dal successo di San Marino all’11ª, la sua prima vittoria da pro’, l’avrebbe poi subito “restituita” a Zülle.

Il 30 maggio nell’inedita Piancavallo, montagna vera (14,5 km al 7,8% di pendenza media e 14% di massima), e vigilia della crono di Trieste, ecco il primo abbordaggio del Pirata.

Il giorno prima, sotto la pioggia, era caduto due volte (nella picchiata dal Passo Zovo, nel fosso con Zülle e Tonkov, avanti, aveva rischiato grosso). Così, giusto per rinnovare l’abbonamento annuale con la jella.

Saldato il conto con sole escoriazioni («Cose che succedono. Fanno parte del mestiere. Basta non farsi male»), il Panta mette i suoi a tirare. E sul tratto più duro, ai -7 km dai 1290 metri della vetta, piazza l’attacco che più annunciato non si può. Epperò irresistibile. Gli risponde solo Tonkov, che al traguardo – secondo a 13” con Zülle – non gli risparmierà critiche: «Se mi avesse aspettato, su Zülle ne avremmo guadagnati quarantacinque».

«Sono andato oltre le mie possibilità, qui è cominciata la mia corsa vera e Zülle deve avere paura», risponde indiretto Marco, che sembra però urlare – da buon romagnolo, non nel bosco ma nella pineta – come a scacciare i fantasmi di dover pagare, già l’indomani, cotanto sforzo. Per di più contro il mai amato orologio.

Lo svizzero invece, poi incollatosi alla ruota di Tonkov, s’era ripreso il primato: ora con 22” su Pantani e 40” sul russo.

Intanto era però saltato Gotti, scortato da Paolo Savoldelli, allora suo gregario nella Saeco, a 5’01”.

In difficoltà già verso Schio il vincitore uscente, che ammetterà di non aver mai sofferto così in salita, è fuori dei giochi. Due giorni dopo, e altri 6’ persi ad Asiago, finirà fuori tempo massimo anche per via di un virus gastrointestinale.

I danni che Zülle ha limitato in montagna li rifila a tutti, e con gli interessi, a crono: a Trieste vola ancora oltre i 53 km orari, ma per 40 km e a una media persino superiore a quella tenuta nei 7 km di prologo a Nizza: 53,771 contro i 53,053.

Un marziano rosa.

Con una macchiolina di giallo: in un primo momento i cronometristi avevano indicato vincitore l’ucraino Serhiy Hončar per 7”. Solo che Zülle, al via per ultimo in quanto leader, come gli altri big era partito tre e non due minuti dopo il corridore che lo precedeva nella starting list.

Ristabilita la verità di Padre Tempo, Alex – mulinando un allora futuristico, quasi gannesco 55x11 – vince con 53” su Hončar e 1’22” su Tonkov. Nella generale lo svizzero adesso comanda con 2’02” sul russo e 3’48” su Pantani, che aveva chiuso 24° a 3’26" e ingoiato – su strada – l’onta del sorpasso.

Per quanto prevista, è quella la vera istantanea della crono e, tutto fa pensare, del Giro: il gigante rosa che alla velocità della luce divora il pollicino verde (leader del GPM).

Impietosa la tabella dei distacchi virtuali in metri: 1224,78 in 82” su Tonkov, 3076,90 in 206” su Pantani.

All’arrivo trova a festeggiarlo mamma Will e papà Walter, e lui ancora incredulo («Pensavo di fare i 52») ammette di non essere mai andato così forte.

Il 2 giugno la Asiago-Selva di Val Gardena di 215 km apre il trittico alpino e prevede Passo Duran, Forcella Staulanza, Fedaia/Marmolada e Selva (dal versante di Val di Fassa/Canazei), con i suoi 2218 metri la Cima Coppi di quella edizione.

Al via Zülle guida con 2’02” su Tonkov, 3’29” sulla sorpresa Bettini, 3’48” su Pantani e 4’21” su Guerini.

La 17ª, tappa s’infiamma sul Fedaia. Tonkov scatta, Pantani e poi Guerini rispondono sul tratto più duro.

Per il Panta è la prima volta sulla Marmolada. Gli mancano i riferimenti e allora chiede in dialetto lumi al sodale prima che gregario e conterraneo Roberto Conti, una pasta di corridore che ha un sorriso per tutti. E per gli amici di più.

Il capitano s’è raccomandato di avvertirlo quando sarà il momento giusto per scattare.

«Dopo le gallerie, ma te lo dico io», gli risponde il faentino. Mica l’ultimo del plotone: maglia bianca ’87, due top ten al Tour e una al Giro, primo sull’Alpe d’Huez ’94 e propheta in patria nel Romagna ’99.

Sono però tempi ancora un po’ così. Conti, e come lui in ammiraglia, non sa che il percorso è stato cambiato proprio per evitarle, le gallerie. E così il Panta, magari tra un «burdèl» e l’altro, nel vedere che Zülle annaspa, domanda a Roberto: «Alùra, ma quando arriva ’sta Marmolada?».

E quello, di rimando: «Ci siamo già sulla Marmolada…».

È il segnale. Difficile stabilire se parte prima il Panta o il pur amichevole vaffa.

Zülle sulla Marmolada («la più dura in vita mia») salta, perde in un amen 42” cui sul GPM s’aggiunge un minuto e all’arrivo precipiterà a 4’37”. Tonkov invece resiste e chiuderà a 2’04”.

Mancano ancora 35 km e Pantani tra i due ultimi GPM trova un alleato leale in Guerini. E insieme vanno a prendere il colombiano José Jaime “Chepe” González.

I distacchi di 55” su Tonkov e di 1’48” su Zülle della Marmolada, sul Sella schizzano a 2’05” e 4’36”.

Lo spartito è già scritto, a “Turbo” (una sua passione giovanile, le turbine) la tappa, al Pirata la prima rosa in carriera.

«Pantani e io abbiamo interessi comuni – calcola Beppe, ora terzo a 31” – e chissà che non saremo noi a giocarci il Giro nella crono». Intanto con quel ritmo forsennato ne hanno mandati a casa 39, tra i fuori tempo massimo (a oltre 38’) Bartoli, Martinello e Cipollini, Guidi e Fontanelli, altro gregario romagnolo di Pantani e vincitore il giorno prima ad Asiago.

Il Panta ha fatto un numero, che però non ha avuto il clamore che meritava. Un po’ per la non-vittoria, e molto perché Tonkov è comunque lì, piazzato a 30”; e alla penultima sia il russo sia lo svizzero sono favoriti nella crono di Lugano.

Prima però ci sono i 115 km da Selva all’Alpe di Pampeago. E, soprattutto, i 243 da Cavalese a Plan di Montecampione con un ottovolante fatto di Fai della Paganella, Goletto di Cadino da Bagolino/Crocedomini (a 1938 e 1890 i due scollinamenti) prima dei 19,2 km al 7,9% medio (e un centinaio di metri al 13,2% di massima) che portano ai 1732 metri di quota del traguardo.

Salendo a Pampeago, Zülle ci prova ma è solo 4° a 58” al traguardo e a 2’08” in classifica.

Pantani paga l’exploit di Selva e non stacca Tonkov, che anzi si piglia la tappa con un secondo sull’italiano e 58” sullo svizzero. Guerini, quinto a 1’07” e terzo nella generale a 1’47”, se la prende col chilometraggio ridotto («troppo corto per le mie caratteristiche»). Ma il vero pericolo è il russo, che ora alita sul colletto rosa del Panta a 27”.

Plan di Montecampione sarà il redde rationem.

Sul Crocedomini, nomen omen, Zülle protetto dai suoi Festina, non regge l’andatura imposta dalla Mercatone Uno per Pantani e dalla Mapei per Tonkov. Lo svizzero stavolta salta sul serio: chiuderà a 30’04”. Roba da «musica da ballo» di Nicolò Carosio per Coppi uomo solo al comando alla Sanremo ’46.

Ai meno 2800 metri, il Panta attacca nel delirio della folla.

Tonkov – che da dieci chilometri non beve, e quando un tifoso gli passa dell’acqua Pavel se la versa in testa – cede di schianto. Più che il duello rusticano di Pampeago, qui è un assolo. Un crescendo rossiniano: ai -1500 metri Marco ha 26” di vantaggio, 42” ai -1000, 50” ai -500 e 57” al traguardo. Dopo 7h 42’ 52” di corsa.

Come il mese dopo sul Galibier al Tour, ma qui col sole e in rosa, non esulta. Si trasfigura. Un attimo, una vita.

«Mi sono detto: ultima occasione, o salta lui o salto io. Ho raccolto tutte le mie forze e sono andato via».

Abbuoni compresi (12” al primo, 8” al piazzato), Tonkov ora è secondo a 1’28”. Tra l’interlocutoria Boario Terme-Mendrisio e la passerella finale di Milano, mancano ancora i 34 km a crono di Lugano.

Marco dentro di sé sa d’averlo finalmente vinto, quel Giro inseguito da una vita. E si sa che quella maglia addosso fa miracoli: il Panta è addirittura terzo a 30”, Tonkov quinto a 35”. La crono la vince Hončar, e senza giallo.

Beppe Martinelli, commosso, che il suo pupillo quel Giro non lo potesse perdere l’aveva capito già «dopo la prima curva, era troppo bello in bicicletta».

Sul podio finale con Pantani in rosa salgono Tonkov a 1’33” e Guerini a 6’51”.

Ma se è a Lugano contro il tempo, stupendo persino se stesso, che di fatto ha vinto il Giro, è a Montecampione che il Panta ha compiuto il suo autentico capolavoro. E rapito il cuore della gente.

Ecco perché è lì, nel Bresciano, che lo scultore Matteo Trotta, vicentino d’adozione trapiantato nel borgo di Brenno, in Val Camonica, ha posto la sua opera. Base e bici e sagoma del Panta in lamiere di acciaio CorTen ancorate a travi anch’esse in acciaio su un plinto in cemento interrato. A imperitura memoria.

È il Corcovado di chi ha nel cuore il Pirata e le fragilità sue e di tutti noi. Il nostro umanissimo Redentor.
CHRISTIAN GIORDANO ©
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