Gli asciugamani viola, l’erba, le voci dei padri: Wimbledon come rito


“Il Vaticano del tennis” Così lo racconta lo “scriba” Gianni Clerici I raccattapalle che non sorridono mai, i sedili low cost, la “coda”. Ma la sua vera dimensione è il sogno

15 Jul 2024 - Il Fatto Quotidiano
Tommaso Rodano - WIMBLEDON

La chiesa al centro del villaggio ha le pareti d’edera. Il Centre court è una cattedrale perfetta, assoluta, immutabile. Per 102 anni è rimasto identico al disegno originale, l’unica eccezione è il tetto retrattile da 5200 metri quadri inaugurato nel 2009. Secondo Gianni Clerici, Wimbledon era “il Vaticano del tennis”, David Foster Wallace ha definito la contemplazione di Roger Federer “un’esperienza religiosa”, l’indirizzo del torneo è in Church Road: ci sono tutti gli elementi di un rapimento mistico collettivo. Quella tra i prati dell’All-England Lawn Tennis and Croquet Club è un’indagine a ritroso: già sappiamo che è il torneo di tennis più importante al mondo, uno dei riti più solenni nella storia dello sport. Proviamo a capire perché.

IL PRIMO atto è salire i gradini del settore 205 e affacciarsi sul prato del Centrale: un tuffo al cuore, come la prima volta che si è messo piede in uno stadio. Ma quelli erano gli occhi di un bambino di cinque anni e da allora di primavere ne sono passate quasi 35: ci si può ancora emozionare così per un campo da gioco? Pare proprio di sì. Fuori piove, il tetto è chiuso, i ragazzi in divisa blu montano la rete e le tribune si riempiono senza fretta: c’è un silenzio surreale, perfetto. “Qui si crea un incantesimo che non si può replicare a New York, a Parigi o in Australia”, sostiene Matteo Codignola, scrittore, traduttore e cultore del gioco (ha curato, tra le altre, la pubblicazione di Tennis di John McPhee, magnifica testimonianza d’amore per Wimbledon). “Bisogna sedersi e ascoltare – dice Codignola –. I suoni dei colpi, dei passi e dei rimbalzi sui campi in erba sono un’esperienza differente. Ma non è solo quello: il Centrale è un luogo talmente suggestivo e pieno di storia che se presti attenzione, senti le voci. Davvero, sembra una favola ma esistono diversi racconti di chi è venuto nello stadio vuoto e giura di aver sentito le voci del passato risuonare tra gli spalti”.

L’esperienza estetica del Centre Court è irraggiungibile, ma la magia di Wimbledon si compie anche nei luoghi meno celebrati, i campi secondari. Passeggiamo lungo la pianta ortogonale dei corridoi che separano gli impianti, due tribune basse, di tre o quattro file ciascuna. C'è un’atmosfera da circolo di paese. I seggiolini verdi sono stretti come su una compagnia aerea low cost, ma siamo letteralmente a due passi dagli atleti, possiamo quasi toccare l’erba. Si coglie ogni sfumatura, ogni espressione di chi la calpesta; la precisione millimetrica di ogni dettaglio. L’arbitro che sorride ai collaboratori prima di entrare: “Ready? Enjoy”. L’apertura dei tubi gialli delle Slazenger, le palline ufficiali di Wimbledon: si stappano come una bibita gassata e fanno lo stesso rumore, psssssssiup. Gli asciugamani viola che useranno i giocatori vengono piegati e adagiati sullo schienale della loro sedia con la cura di un albergo pluristellato.

IL PASSO marziale con cui i raccattapalle, impassibili, raggiungono le loro postazioni ha un fascino magnetico: sono quasi bambini, ma hanno un ruolo di responsabilità in questo rituale senza tempo: sono sul palcoscenico, ma devono restare invisibili. La loro responsabile si chiama Sarah Goldson, ha vissuto in Kenya fino a 16 anni: quando aveva l’età dei suoi ball boys sognava quel torneo lontanissimo dallo schermo della tv. Sedici è il suo numero magico: sono le volte che è riuscita ad assistere al torneo da tifosa – molto prima di cominciare a lavorarci – grazie a The Queue, la coda eterna che inizia nel parco di Wimbledon la notte prima degli incontri per distribuire gli ultimi biglietti giornalieri. “Sixteen times – conferma –, sedici file e ogni volta ce l’ho fatta, sono riuscita a entrare”. La sua carriera è la dimostrazione che i sogni di un bambino possono essere incredibilmente ostinati.

I raccattapalle sono divisi in 45 squadre da 6. Hanno superato una selezione lunga e molto dura: si sono presentati in 1.500, ne sono rimasti 277. Da febbraio si allenano ogni settimana: “Li formiamo con disciplina militare – dice Goldson –. È una delle tradizioni di questo torneo che non sono mai cambiate. Per fare il raccattapalle di fronte a 15mila persone e non subire la pressione di un compito del genere, devi averlo interiorizzato perfettamente. Non li vedi sorridere, ma stanno vivendo un’esperienza che ricorderanno per sempre”.

NEL 1995 Foster Wallace ha descritto con piglio da cronista – e talento sconfinato – la deriva dell’Open degli Stati Uniti, un’esperienza “basata principalmente sul commercio”, in cui il traffico di denaro fuori dal campo ha inghiottito la dimensione sportiva. Anche Wimbledon è una macchina da soldi: il giro d’affari cresce ogni anno e si sta avvicinando al mezzo miliardo di sterline, il montepremi nel 2024 ha toccato quota 50 milioni. Nel tempio sono entrati i mercanti, è ovvio, persino inevitabile. La cittadella del tennis è stipata di negozi – costosissimi – e stand dei marchi internazionali. Possibile che le tradizioni ultracentenarie di cui tutti si dichiarano così orgogliosi – i completi bianchi, le fragole e panna, la collina del “popolo” e il palchetto dei reali – siano diventate uno stereotipo turistico, un brand per nascondere sotto al tappeto verde la solita, scontatissima vittoria del capitale?

SARÀ un’illusione ottica o la proiezione di un desiderio d’infanzia, ma questa breve indagine racconta il contrario: a Wimbledon l’amore per il gioco viene ancora prima di tutto il resto. Fidiamoci degli occhi immobili dei raccattapalle, magnifici attori non protagonisti. O di quelli dei giocatori: riascoltate i discorsi di Jasmine Paolini e Lorenzo Musetti dopo le partite vinte nel loro splendido percorso incompiuto; due parole si ripetono sempre, “dream" e "kid”. O ancora, gli occhi degli spettatori: il vicino di posto che si commuove per un colpo di Djoković nel tie-break del terzo turno (“Sono di Monaco di Baviera, vengo ogni anno. È la cosa che preferisco al mondo”) o la signora inglese che ha iniziato la coda alle 5 di mattina, è riuscita a entrare e si becca un venerdì in cui piove tutto il giorno, ma non la smette di sorridere come una ragazzina.


Infine gli occhi di chi scrive. Ho visto mio padre per l’ultima volta nel luglio di tre anni fa, nella sala d’attesa dell’ospedale prima di una sessione di chemioterapia: stava guardando una partita di Berrettini a Wimbledon. Il giorno dopo non c’era più. Questo torneo per tanti bambini coincide col ricordo dei pomeriggi d’estate insieme ai genitori, un sogno infantile, un tratto familiare. Un ponte tra passato e futuro.

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ALCARAZ BIS SU DJOKOVIC E 4° SLAM

IL CAMPIONE spagnolo (per il secondo anno consecutivo) ieri ha battuto il serbo ( dominio per 6-2 6-2 7-6 in meno di due ore e mezza di gioco) centrando il suo 4° Slam dopo gli US Open 2022, Wimbledon 2023 appunto e il Roland Garros di quest’anno. A consegnare il trofeo, Kate Middleton, la principessa del Galles che si sta curando un cancro e appena alla seconda uscita pubblica dall'annuncio della malattia. Sinner resta n.1 del mondo. Ora tutti con la testa verso l’olimpiade di Parigi

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