IL MIO PUGNO PER SEMPRE



Ha cambiato lo sport: «E adesso diamo più potere alle donne»

A Messico 68 vinse l’oro dei 200. Sul podio lui e Carlos fecero il gesto più politico della storia. Non c’era nulla di preparato, parato, fu tutto improvvisato al momento della premiazione one

28 Jul 2024 - La Gazzetta dello Sport
di Sebastiano Vernazza INVIATO A PARIGI

- Mi è piaciuta la cerimonia d’apertura, i francesi ci sanno fare in queste cose. È stata molto meglio che in Messico, quando ci hanno fatto camminare
- L’atletica cambia, oggi ci sono più occasioni per emergere
- Il ruolo delle donne è importante, lo deve capire anche il Cio
- Nel corso del tempo ho imparato a gestire l’ansia, lo faccio col respiro
- Jacobs? Io vedo meglio Lyles, ha lui i tempi migliori. E questa è la situazione 
- Mi piace la Harris, con lei i giovani possono fare la scelta giusta

Ottant’anni compiuti da poco, il 6 giugno, e Tommie Smith non li dimostra troppo, per lui l’orologio si è fermato al 1968, quando vinse i 200 metri all’Olimpiade di Città del Messico e sul podio alzò il pugno destro guantato di nero e lo stesso fece John Carlos, arrivato terzo, con il sinistro, tutti e due immobili a capo chino. Pugni di protesta nel cielo messicano, forse il gesto più politico nella storia dei Giochi e dello sport. Smith e Carlos manifestavano per i diritti umani e civili, contro il razzismo. Black Power, potere nero. Quasi sessant’anni dopo, 56 per la precisione, il mondo non è cambiato granché, forse è ritornato al punto di partenza o più indietro ancora. Continuiamo a dimenarci tra guerre, razzismo, odi tribali, e questi Giochi parigini sono i più sorvegliati, protetti e vigilati di sempre. Tommie Smith riceve la stampa in un hotel periferico di Parigi, vicino allo Stade de France, lo stadio olimpico teatro dell’atletica. È una sessione di interviste con altri ex atleti: Linford Christie, l’inglese giamaicano oro nei 100 a Barcellona 1992; Colin Jackson, ostacolista britannico, argento a Seul 1988; Robert Pires, francese, ex calciatore dell’Arsenal. Sono quattro testimonial della Puma, che ha organizzato l’incontro. Tommie Smith, all’epoca dei fatti ribattezzato Jet, si prende la scena con naturalezza.

Per Kamala 

Tommie Smith ha qualche problema a un piede, racconta di come si sia accorto di un taglio sei anni fa e di come sia andato dal medico con forte ritardo. «Questa cosa è stata una lezione importante», dice. Diabete, si presume. A una certa età bisogna convivere con i propri limiti. Lo sport gli ha insegnato tanto: «Si deve imparare a gestire il dolore. Io controllo l’ansia con il respiro, per sentirmi bene». Si parla della cerimonia d’apertura, che ha fatto discutere il mondo: «Non l’ho vista tutta, perché ero in aereo, ne ho seguito un pezzo appena atterrato e mi è piaciuta molto. È stata meglio di quella del 1968 (a Città del Messico, quando ci hanno fatto camminare. La Francia ha dimostrato di essere capace di organizzare eventi di questa portata». È inevitabile che si finisca a parlare di politica. Il Dream Team si è schierato con Kamala Harris, vicepresidente degli USA e nuova candidata alle presidenziali di novembre dopo il ritiro di Joe Biden dalla corsa. Stephen Curry spera che Kamala batta Donald Trump. Tommie Smith approva la scelta di campo dei giocatori di basket, sarebbe clamoroso il contrario: «Conosco Kamala, so che ha un carattere forte e un sorriso contagioso. Crede in se stessa, è tenace, tiene insieme molte cose, ha fatto un ottimo lavoro. Per come è andata, non aveva altra scelta. Continuerà con il programma che ha iniziato. I giovani hanno la possibilità di votare la prima donna presidente degli Stati Uniti, possono cambiare il Paese». E poi, in risposta a una domanda sul fatto che anche il Comitato Olimpico Internazionale prima o poi dovrà esprimere una donna: «Mettere le donne al secondo posto è un errore, il CIO riconosca questo». Il pugno di Smith è sempre alzato, a protestare, a invocare cambiamenti. Senza dimenticare però che «gli atleti partecipano alle Olimpiadi per competere». E per vincere: «Si deve essere amici con tutti o provarci, ma nella gara no, lì si va per distruggere l’avversario», dice davanti alla platea.

Per Lyles 

Oltre alla politica e ai mali del mondo da curare, c’è l’atletica, di cui Tommie Smith resta un mito nel senso sportivo del termine perché, al di là dell’oro olimpico, quel giorno a Città del Messico si prese il record mondiale sui 200, il 19’83” che resistette fino al 1979, quando, sulla stessa pista messicana, Pietro Mennea gli tolse il primato mondiale con lo storico 19’72”, destinato a durare fino al 1996. Oggi il record dei 200 piani appartiene a Usain Bolt con il 19’19” del 2009, ma interroghiamo Smith sui 100 metri, gara in cui l’azzurro Marcell Jacobs dovrà difendere l’oro di Tokyo 2021. Smith non dice Jacobs: «I migliori tempi li hanno gli americani e Lyles è l’americano che oggi va più forte. Questa è la situazione, però altri Paesi esprimono ottimi sprinter e può succedere di tutto». Una riflessione: «Il mondo dell’atletica attraversa un cambiamento, oggi ci sono maggiori opportunità di emergere». Tommie Smith è fiero dei suoi studi, ricorda la laurea in scienze sociali all’università di San José, in California, e gli anni dedicati all’insegnamento di sociologia. È un uomo consapevole, sa che quei pugni alzati a Mexico City rimarranno e che faranno vivere per sempre lui e Carlos.

Per Norman Smith era già stato a Parigi in giugno, per partecipare a una conferenza, e aveva ribadito che i pugni non erano per le Pantere Nere, l’organizzazione politica degli afroamericani, ma per il Progetto Olimpico dei diritti umani: «Non c’era nulla di preparato. Volevo fare una dichiarazione, non sapevo quale. Mi portai i guanti, perché i guanti erano miei, e con John Carlos decidemmo così». Smith e Carlos vennero sospesi dalla squadra USA ed espulsi dal villaggio olimpico. Subirono minacce e ritorsioni, Smith passò al football americano. L’australiano Peter Norman, medaglia d’argento, subì qualcosa di analogo per aver indossato, su quel podio, il simbolo del Progetto olimpico dei diritti umani. Norman, scomparso nel 2006. è stato ostracizzato fino all’ultimo, non lo vollero neppure come ospite a Sydney 2000. «Peter Norman è è stata una delle persone più straordinarie che abbia incontrato. Non si limitò a sostenerci, lui era parte della lotta», ama ripetere Tommie Smith.

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Tommie Smith

Nato il 6 giugno 1944 a Clarksville (Tennessee), ai Giochi di Città del Messico con 19”83 fu il primo uomo al mondo a scendere sotto il muro dei 20” sui 200. Chiusa la carriera in atletica proprio a causa del gesto sul podio olimpico, si dedicò al football come wide receiver dei Cincinnati Bengals.

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11 - Gli anni di durata del record di Smith

A cancellare dall’albo del primato del mondo dei 200 metri il 19”83 di Tommie Smith, stabilito a Città del Messico il 16 ottobre 1968, fu Pietro Mennea, che sempre sulla pista dello stadio Olimpico, in occasione delle Universiadi, lo ritoccò di 11 centesimi, portandolo a 19”72: era il 12 settembre 1979. Il primato di Mennea (che è sempre record europeo) durò invece fino al 23 giugno quando Michael Johnson, ad Atlanta, corse in 19”66.

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Il Sessantotto: sogni, violenze e rivoluzioni (anche ai Giochi)

Il 1968, l’anno della contestazione. L’Occidente in rivolta, tutti nelle piazze a manifestare. Le Università come epicentri delle ribellioni che si estesero ovunque e che imposero la riscrittura di moltissime regole. Anche lo sport visse il suo ’68 e non poteva essere altrimenti. Nel calcio fu l’anno del Pallone d’oro a George Best, campione d’Europa con il Manchester United e il primo vero giocatore anticonvenzionale, fuori da qualunque schema. Il ’68 sportivo si sublimò però all’Olimpiade di Città del Messico, in autunno.GETTYBeamon e quel salto nel futuro Il volo a 8.90 di Bob Beamon ai Giochi ‘68: lo statunitense migliorò il primato del salto in lungo di 55 centimetri. Si dovettero attendere quasi 23 anni per il sorpasso: 8.95 di Mike Powell a Tokyo il 30 agosto ‘91

Prima Dieci giorni prima dell’inizio, il 2 ottobre, spari ad altezza d’uomo contro un corteo di protesta per i costi dei Giochi, denaro che la gente avrebbe voluto fosse speso per case, servizi, sanità. Non c’è mai stata una stima dei morti e dei feriti e la strage di Piazza delle Tre Culture sarebbe stato occultata se sul posto non ci fossero già stati diversi giornalisti stranieri inviati, tra loro Oriana Fallaci, ferita da una raffica di mitra e portata all’obitorio perché creduta morta. Era viva - se ne accorse un sacerdote - e scrisse che riteneva quel massacro peggiore degli orrori visti e raccontati nella guerra in Vietnam.

Durante Di Tommie Smith, primo uomo a scendere sotto i 20 secondi sui 200 metri, e del suo pugno si è detto. Nel lungo, l’americano Bob Beamon “sfondò” la taratura del misuratore: i giudici, per certificare il suo eccezionale salto da 8 metri e 90, record del mondo imbattuto per 23 anni, si servirono di una prosaica corda. Nell’alto, comparve uno strano americano, Dick Fosbury, che pretendeva di saltare l’asticella di schiena, infischiandosene del fatto che fin lì la tecnica della specialità prevedesse il ventrale. Fosbury, scomparso nel 2023, ci lavorava da anni. Come tanti era partito dal ventrale e dalle sforbiciate, finché non elaborò questo nuovo modo di andare di là. «Ricordo - disse in varie interviste - che a Città del Messico si chiedevano se fosse fosse regolamentare quel che avevo fatto e chiedevano di invalidare i miei salti, ma era tutto ok». Nel giro di poco, passarono tutti al “Fosbury flop”, all’inarcamento di spalle. E poi l’italiano Giuseppe Gentile nel triplo, primatista del mondo nelle qualificazioni con 17 metri e 10, capace di migliorarsi fino a 17,22, ma soltanto medaglia di bronzo perché lo superarono in due, il brasiliano Prudencio (17,27 metri) e il sovietico Sanaev (17,39). La gara con il festival dei primati mondiali. Eddy Ottoz, nei 110 ostacoli, si prese un bronzo come Gentile.

Dopo Giuseppe Gentile venne scritturato da Pierpaolo Pasolini per la parte di Giasone in “Medea”, film uscito nel 1969 in cui la protagonista era Maria Callas, la cantante lirica più famosa al mondo. Aneddoto vuole che Pasolini una sera chiese a Gentile e a un altro attore di portare la Callas a mangiare una pizza. Un episodio che dà la misura di quanto fossero cambiati i tempi. (Sebastiano Vernazza)

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