Sono ricco e so sciare da campione ma faccio il corridore. Vi dispiace?
Per la prim volta, dopo cinque stagioni tra i professionisti, Roberto Visentini fa sinceramente il punto della situazione
Ha cambiato cinque squadre, ha sempre lottato smentendo chi lo definiva un pesce fuor d’acqua in questo sport. «Sono capitato nelle squadre sbagliate, dove ognuno pensava solo agli affari suoi. Accanto a Battaglin spero di trovare, finalmente, l’apertura giusta. Correrò fino a quando avrò trent’anni»
di Ermanno Mioli
Bicisport, marzo 1983
«È come se ricominciassi da capo – dice Roberto Visentini – nell’Inoxpran ho gareggiato da dilettante, ho vinto anche il titolo italiano a cronometro».
Sesta stagione, quinta squadra. Roberto è volubile, capriccioso, viziato, come lo sono sovente i ricchi? Visentini ha un’espressione di disappunto. Elegante, zazzeetta curata, abbronzato come chi torni da un lungo soggiorno ai Caraibi, un tantino annoiato: il suo aspetto è in effetti quello del figlio di papà. Ma ha un senso sovrapporre l’immagine del corridore moderno agli archetipi del ciclismo eroico? Roberto ha sempre rifiutato il cliché del “giovin signore” di Gardone (con villa vicino al Vittoriale) per il qual lo sport delle due ruote è uno svago che non deve costargli fatica.
«Mi secca ripetere per l’ennesima volta che ho scelto il ciclismo perché mi piace e mi appassiona, come lo sci. Sono abbronzato perché ho sciato a Marilleva. Ero sempre assieme ai maestri di sci: non ho ancora fatto l’ultimo corso e conseguito il brevetto, soltanto perché manca la continuità invernale. Ai primi di febbraio noi ciclisti dobbiamo risalire in sella invece di continuare a sciare. Ma un inverno o l’altro diventerò maestro di sci: e non lo farò soltanto per hobby. Non è obbligatorio vivere di rendita o continuare le attività paterne…».
- Però, quanti cambi di maglia: Che cosa significano? Che hai un carattere difficile? O che sei mutevole?
«Cominciamo col dire che le prime tre squadre le ho lasciate perché hanno cessato l’attività: Vibor, Fast-Gaggia, San Giacomo. Nella Sammontana sono rimasto due anni e penso di avere tutte le ragioni per cambiare».
- Ossia?
«Ho capito subito fin dall’inizio della stagione che non era più l’ambiente per me. Ho avuto dei problemi, certe voci alle quali facevano seguito certi atteggiamenti, non mi andavano. L’ho detto in primavera al direttore sportivo [Valdemaro Bartolozzi, nda] che a fine stagione me ne sarei andato. Ne ho risentito psicologicamente; a parte il fatto che cadute e bronchiti mi hanno frenato. Non poteva essere una stagione felice e in effetti non lo è stata, nonostante il finale».
- Potevi vincere il Giro di Lombardia. Sei arrivato arrabbiatissimo, accusando Moser di avertelo fatto perdere. Ma non è stato soprttutto Kuiper a riportare su di te il gruppetto? Ti eri già illuso?
«Tiravamo tutti: si sa come vanno certe cose, in certe situazioni. Avevo guadagnato cento metri sull’ultimo tratto del San Fermo. Sarebbe bastato un compagn di squadra, fra gli inseguitori, per rompere qualche cambio. E forse sarebbe anche bastato aver montato il “12”. In discesa ne ho sentito la mancanza: mi hanno acciuffato dopo lo strscione dell’ultimo chilometro».
- Si è sempre scritto, fin dal momento del suo passaggio al professionismo, che Visentini-coridore sarebbe durato poco se non gli fosse spuntata l’aureola del campione. Mestiere troppo duro il ciclismo di routine per uno come lui. E Roberto sembrava avvalorare le previsioni: o sfondo o lascio, diceva infatti. Sono passati cinque anni, Visentini non è diventato un campione, almeno a livello di popolarità (può essere definito un campione incompiuto?) Eppure continua. Perché?
«L’ho detto: perché il ciclismo mi piace. Sì, il bilancio della mia carriera non è quel che speravo: ma ho avuto occasione di gareggiare ai vertici. Ho indossato, in due Gii, la maglia rosa; nell’81 per un giorno soltnto, ma perché nella tappa di Cles forai e non ricevetti gli aiuti necessari. Posso dire, anche, che sono sempre capitto in squadre dove ciascuno ha ftto i cavoli propri. Ho dovuto arrangiarmi. Insomma, non mi sono mi trovato. Un po’ mglio, comunque, nella Vibor, dove correva ancora Boifava, e altra gente esperta. L’ambiente conta».
- Non sei un po’ ingeneroso? Non imputi niente a te stesso? Hai proprio fatto vita da corridore, hai sofferto fino all’ultimo, in diverse occasioni non ti sei arreso troppo presto? Tu non eri allenato alla sofferenza.
«Ho avuto qualche guaio fisico, o qualche crisetta nel momento meno opportuno. Occorre fortuna nelle gare a tappe e occorre la squadra che ti tolga dalle difficoltà. Io non mi rimprovero niente sul piano professionale! Se fai il corridore non puoi evitare i sacrifici. In bicicletta nessuno ti regala niente».
- Ma la durezza del mestiere, abituato bene com’eri, non hai forse potuto provarla fino in fondo.
«Balle. Penso che possa stancarsi prima chi non conosce l’agiatezza. A me non mancava niente. E nel ciclismo non cercavo il benessere, ma le soddisfazioni. Direi che ho percorso un tragitto inverso a quello tradizionale, dal benessere alla… scomodità (ma anche alla bellezza) del ciclismo. È più facile che sgarri chi non avendone prima avuto le possibilità, può togliersi ogni sfizio. No, la storia del benessere proprio non regge: quanti corridori oggi non hanno il benessere? E forse che gli ottimi (o anche soltanto i buoni) corridori non possono avere ciò che vogliono? Eppure continuano. Gli stimoli sono altri».
- Per essere considerato meno frivolo Roberto ha comunque venduto la Ferrari acquistando una più modesta Saab turbo, ha venduto la Kawasaki. E lo si vede sempre meno, in estate, far volate in motoscafo e sigli sci d’acqua. E d’inverno, lo giura, non frequenta discoteche. Le ragazze?
«Non sono un santo, soltanto un ventiseienne “normale”: ma non mi “lego” perché sarebbe ingiusto, finché si corre, coinvolgere in sacrifici un’altra persona».
- Com’è la giornata invernale di Visentini?
«Un’ora di jogging pressoché tutti i giorni e la palestra nel pomeriggio, piscna la sera. Ci sono anche lo sci e la bicicletta: prima di andare in riviera avevo già pedalato per più di duemila chilometri».
- Fino a quando intendi continuare?
«Fino a trent’anni, l’età giusta per ritirarsi dopo uan decina di stagioni. Continuerò anche se non eguaglierò i campioni. Mi piacerebbe, ma mi basta restare a un buon livello; mi accontentodi qualche soddisfazione. Soprattutto al Giro, o in altre gare a tappe, mi trovo senza troppa difficoltà a lottare per la classifica; così come nella crono (potrei pensare al Gran Premio delle Nazioni). Le classiche? Anche quelle, se sono impegnative, come all’estero Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi disputate l’anno scorso ma con poca preparazione. Vorrei indossare ancora la maglia rosa, magari stavolta definitiva».
- Se pensi al Giro, perché sei finito al fianco del più tipico corridore da Giro? Non sarà una convivenza difficile, addirittura impossibile?
«Credo che con Battaglin non vi siano problemi. In ogni caso la cosa più importante è andare forte: l’accordo si trova sempre».
- Altenrhein, il percorso mondiale, sarà impegnativo, adatto a un tipo di corridore come te. Ci tieni alla maglia azzurra?
«Eccome, l’ho avuta quasi sempre. L’anno scorso avevo dimostrato, soprattutto a Imola, di meritarla più di qualcun altro. Ma ho l’impressione che ci fosse sotto qualcosa. È inutile far polemiche, adesso».
Poi aggiunge, a bassa voce, come parlando a se stesso: «Sapevano che cambiavo squadra, hanno cercato di eliminarmi».
Visentini non cambia, anche a venticinque anni suonati. Dire, e fare, ciò che vuole è più forte di lui. Ecco perché i suoi rapporti non sono mai facili: con i big e anche con gli altri. Ma se il “giovin signore” di Gardone intende insistere fino ai trent’anni in un mestiere così disagevole, la sua passione ciclistica dev’essere proprio forte.
Ermanno Mioli
È stato anche maglia rosa
Roberto Visentini è nato a Gardone Riviera il 2 giugno 1957. È alto m. 1,70 e pesa 61 chili. È celibe. Dopo una promettente carriera tra i dilettanti, nella quale conquistò anche il titolo italiano a cronometro, è passato professionista nel 1978 con la Vibor. Ha sempre avuto predilezione per le gare contro il tempo ove ha ottenuto quasi tutte le sue vittorie. Nel 1978 si è aggiudicato la seconda frazione della cronostaffetta, nel 1979, passato alla Fast Gaggia, si è imposto nel circuito di Imola, nel 1980 ancora due successi a cronometro: prologo e tappa di León al Giro di Spagna. Nel 1981 con la maglia della Sammontana ha ottenuto una vittoria nel cronoprologo del Giro del Trentino. Nel 1982 si è aggiudicato il Trofeo Baracchi in coppia con Gisiger e la cronoscalata di Monte Pora. In due occasioni ha conquistato la maglia rosa al Giro d’Italia.
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