IN FUGA DAGLI SCERIFFI - Gli Scapigliati: Battaglin
Simone Basso
IN FUGA DAGLI SCERIFFI
Oltre Moser e Saronni: il ciclismo negli anni Ottanta
Prefazione di Herbie Sykes
Rainbow Sports Books, 176 pagine
(...)
Battaglin si rivelò sull’erta del Carpegna al Giro d’Italia 1973, quando da neoprofessionista duellò gomito a gomito con un irresistibile Eddy Merckx. Quella corsa rosa lo impose subito all’attenzione, terzo sul podio finale dopo i dioscuri Eddy e Felice.
(...)
Inesperto capitano della Jolljceramica, si ritrovò a gestire le pressioni di un ambiente che vide in lui un fuoriclasse da Tour: corse molto, male, e fu consigliato ancora peggio.
Un dottore novello-Frankenstein tentò di trasformarlo in una macchina da guerra: il risultato, icaresco, si esplicò in un’inconcepibile, assurda, due giorni al Giro del 1975.
Vinse volando a quasi quarantanove di media la cronometro di Forte dei Marmi, vestendo un rosa che parve definitivo, e poi, il giorno dopo, salendo verso Il Ciocco andò incomprensibilmente (?) in crisi.
Oltre al rovescio ci fu la beffa: dovette sostenere la causa del suo luogotenente Fausto Bertoglio, il quale, dopo un duello con l’iberico Francisco Galdós, vinse la gara nella sorpresa generale.
(...)
Il più ispirato quadro della sua vicenda lo dipinse nel 1979, che ne riassunse in toto il suo divenire agonistico, lunatico.
In primavera stravinse il Giro dei Paesi Baschi e alcune classiche tricolori (Provincia di Reggio Calabria e Trofeo Pantalica), poi a luglio corse il Tour. Sesto nella generale, a dispetto di una positività all’efedrina che scontò con dieci minuti di penalizzazione, portò a casa la maglia a pois.
Alle premondiali estive la trasfigurazione: prezioso e intoccabile come un vetro di Murano al Matteotti, come alla Placci e alla Agostoni, si produsse in assolo impossibili da replicare.
A Pescara diede otto minuti al secondo arrivato, verso Lissone seminò Baronchelli e Saronni, stremati da quell’andatura insostenibile, e si vide affiancato da un ammirato cittì Alfredo Martini, che lo “consigliò” sul da farsi: «Oh che vuoi fare, bello? Scala il rapporto, vai tranquillo... Pensa a Valkenburg».
Già, Valkenburg: la città maledetta del ciclismo italiano.
Quel mondiale, all’alba del duopolio più soffocante, vide protagonista azzurro il capitano dell’Inoxpran; che si mosse benissimo nelle pieghe di una corsa “truccata” dalle circostanze: gli olandesi sfruttarono un vantaggio-casa esagerato, banditesco, le retro-poussettes di cui godette Raas andarono oltre la vergogna.
Il finale fu la conseguenza di quell’ambiente: nel gruppetto in fuga il faro era il tedesco Didi Thurau, ma l’olandese della TI-Raleigh se la giocò con le consuete armi a disposizione, ossia la classe e la cattiveria.
Sbagliò clamorosamente i tempi dello sprint, anticipandolo per errore: si basò, come un’atleta della gara femminile del giorno prima, su uno striscione fasullo. Battaglin lesse alla perfezione la situazione ma fu chiuso da Thurau e scaraventato a terra da Raas, a circa 75 metri dal traguardo.
(...)
Un po’ del credito accumulato con la sorte (non tutto) lo riscosse nel 1981, l’anno della doppietta Vuelta-Giro: con la corsa spagnola ad aprile, fu l’unico che replicò l’impresa del Merckx 1973 (panta rei, proprio l’anno del suo magnifico esordio).
Un capolavoro di concentrazione e di resistenza fisica: la Vuelta, dominata grazie a due imprese in alta quota a Rassos de Peguera e a Sierra Nevada, partì il 21 aprile e terminò il 10 maggio; il Giro, caratterizzato da un’incertezza in classifica che si trascinò fino all’epilogo veronese, cominciò tre giorni dopo. Il veneto, noto per la fragilità psicofisica, sopportò fatiche che avrebbero ammazzato un toro. E fu ripagato da un trionfo rosa con il batticuore, nella città di Giulietta e Romeo (a un passo da casa), dopo una cronometro tiratissima.
(...)
A vederlo sulle Tre Cime di Lavaredo con un inusitato, per i tempi, 36x24, vengono in mente le parole di un grandissimo del giornalismo sportivo come Mario Fossati: «Quando l’estro lo accende, Battaglin è bellissimo: di una tale levità da indurci a credere che la sua bicicletta si alzi dai cerchi leggeri delle ruote».
Fu il riscatto di un campione che, in un altro contesto, avrebbe potuto raggiungere mete meno casalinghe: l’anno prima, al Giro, scalando il Passo Duran si levò di ruota Bernard Hinault.
(...)
L’esaurirsi della carriera fu amaro, pieno d’incidenti dolorosi, e non solo per il corpo. Una caduta al Giro dell’Etna, 1982, fu lo spartiacque del suo declino. Chiuse con l’agonismo nel 1984: una volta smessi i panni del corridore, ad attenderlo ci fu il ruolo, vincente, d’imprenditore e produttore di biciclette.
Commenti
Posta un commento