MAESTRI DI CALCIO - Happel, il Tiranno


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«Guardo un giocatore allenarsi per dieci minuti
e capisco subito se è un parassita o uno di cui fidarsi.
E persino se ha bevuto o fumato»
- Ernst Happel

di CHRISTIAN GIORDANO ©, Guerin Sportivo ©
Rainbow Sports Books ©

A volte un aneddoto (vero) vale più di mille parole, per descrivere personaggi e situazioni. Quello che segue lo ha raccontato Wolfgang Rolff, mastino dell’Amburgo che ad Atene ’83, finale di Coppa dei Campioni, Ernst Happel attaccò alle calcagna dello juventino Michel Platini. Premessa: al tecnico austriaco piaceva seguire gli allenamenti da bordocampo, seduto su una sedia da regista. Da lì impartiva istruzioni al vice, che le riferiva alla truppa. Una volta Happel ordinò all’assistente di far uscire anzitempo il giocatore X. Questi chiese spiegazioni al vice, che a sua volta rivolse la domanda al capo. Happel si tolse gli occhiali da sole, fece cenno a X di avvicinarsi e quando se lo trovò dinanzi gli disse: «Domani giochiamo in campionato e tu andrai in panchina». «Perché?» chiese X. «Perché voglio vincere» lo gelò. Ecco chi era Happel.

Nato a Vienna il 29 novembre 1925, Earnest (Ernst) Franz Hermann Happel era stato un difensore-centromediano di ottima tecnica, discreto senso del gol (in Coppa dei Campioni, nel 1957, segnò una tripletta al grande Real Madrid trasformando due punizioni e un rigore) e gran temperamento. Durissimo nelle entrate, era soprannominato “Achille” per la prestanza, il carattere e la leadership da condottiero. Aveva giocato per il Rapid Vienna in due periodi, dal 1943 al 1954 e dal 1959 al 1961, inframmezzati da un biennio (1954-56) al Racing Club di Parigi. Fra il ’47 e il ’58, aveva indossato 51 volte la maglia della Nazionale austriaca (due Mondiali disputati, 4 presenze e terzo posto nel ’54 e 2 gare nel ’58) e segnato 5 gol. Con la rappresentativa del suo Paese fu protagonista di memorabili duelli con l’azzurro Giampiero Boniperti, nel corso degli allora frequenti confronti fra Italia e Austria del primo dopoguerra. Il 21 ottobre 1953, furono entrambi convocati nel Resto d’Europa che pareggiò 4-4 a Wembley con l’Inghilterra in occasione del 90° anniversario della Football Association, la Federcalcio d’oltremanica. Il bianconero firmò una doppietta, mentre l’austriaco rimase fra le riserve.

Happel apparteneva alla seconda generazione d’oro del calcio austriaco, quella che nel 1950-54 schierava altri due fuoriclasse, Gerhard Hanappi e Ernst Ocwirk (passato poi alla Sampdoria), e ottimi giocatori come Wagner, Körner, Stojaspal, Dienst e Probst. Vent’anni dopo, il “Wunderteam” creato da Hugo Meisl sul fresco talento di Sindelar, Seszta, Smistik, Schall, Wagner e Urbanek e su quello già maturo di Vogl, Blum e l’interno Gschweild aveva trovato degni eredi.

Chiusa la carriera agonistica (226 presenze e 25 reti in campionato), Ernst inizia a studiare da allenatore in seconda mentre funge da direttore tecnico al Rapid Vienna. Nella nuova veste vince il titolo nel 1959-60 e la Coppa d’Austria nel 1960-61, trofei che vanno ad aggiungersi a quelli conquistati da giocatore: 6 tornei e una coppa nazionali più la Mitropa Cup (1951), competizione sostitutiva della Coppa Europa Centrale, ma non riconosciuta ufficialmente.

La sua carriera di tecnico comincia sul serio in Olanda, all’ADO di Den Haag (nome olandese de L’Aja), dove rimane dal ’62 al ’68. Con il club della capitale ottiene subito due finali consecutive di Coppa d’Olanda, ma le perde: 3-0 con il Willem II Tilburg, 4-3 ai rigori (0-0 dopo i supplementari) con il Fortuna ’54 Geleen. Nel 1964-65, con giocatori quali Harrie Heijnen, Lambert Maassen, Kees Aarts, Joop Jochems, Piet de Zoete, Theo van den Burch, Aad Mansveld e il goleador Ton Thie, la squadra si avvia a diventare la quarta forza dietro le grandi storiche Ajax, Feyenoord e PSV. Nel primo girone della Coppa Rappan (il futuro Intertoto) 1965-66, arriva ultima a pari merito con i tedeschi del Borussia Neunkirchen e dietro a Lugano e Malmö. Poi perde la terza finale di Coppa d’Olanda in quattro anni: 1-0 dallo Sparta Rotterdam. Nell’Intertoto 1966-67 vince il raggruppamento mettendo in fila Brescia, Royal Liegi e gli svizzeri del Biel. Nei quarti supera l’IFK Göteborg (1-0 in casa, 2-0 fuori) ma si arrende in semifinale all’Inter Bratislava (1-0 in Olanda, 1-3 nell’allora Cecoslovacchia). Il 1968 è l’anno buono. In finale batte 2-1 l’Ajax e così capitan de Zoete può finalmente alzare il trofeo. Per Happel (spesso in conflitto con il predecessore Rinus Loof), è tempo di nuove sfide. 

Nel luglio ’69 eredita da Ben Peeters (tornato a guidare le giovanili) la panchina del Feyenoord, fresco vincitore del “double” campionato-Coppa d’Olanda. Già nel 1966, quando ancora era all’ADO, Happel aveva dichiarato che un club simile fosse sempre al top in Europa. A Rotterdam rimasero un po’ spiazzati dall’ammiccamento, ma forse anche lusingati se è vero che al De Kuip, tre anni dopo, Happel sarebbe stato di casa.

Tempo un anno e con lui i biancorossi arrivano in cima all’Europa e sul tetto del mondo: Coppa dei Campioni 1969-70 (2-1 in finale al Celtic Glasgow nei supplementari), prima squadra olandese a centrare l’impresa, e Coppa Intercontinentale (2-2 e 1-0 con gli argentini dell’Estudiantes). Happel trionfa rinunciando a un attaccante puro per schierare un più funzionale 4-3-3, ma soprattutto completando il passaggio dal dilettantismo al professionismo. I suoi discorsi pre-partita sono brevi ma incisivi, le previsioni sulla tattica degli avversari azzeccate. Con i giocatori tiene discorsi individuali e quando qualcuno si dilunga in dettagli, lui lo stoppa in tre parole: «Kein geloel, fussballen!» (Basta con le str…ate. Giochiamo!). Una frase rimasta proverbiale, in Austria. Una volta sul campo, poi, incanta tutti per il modo di calciare.

Il suo rapporto di odio-amore con le stelle della squadra – per esempio Willem (Wim) van Hanegem al Feyenoord, ma il discorso si potrebbe allargare – era fatto di stima e di lealtà ma anche rispetto dei ruoli. Happel non perdeva tempo con giovani rincalzi come Ruud Geels e Henk van Leeuwen o vecchietti come Eddie Pieters Graafland e Cor Veldhoen: li metteva in panca e lì li lasciava, senza complimenti né (per lui inutili) giri di parole. Non era un fine psicologo, ma voleva vincere. E per riuscirci trattava i «giocatori come calciatori, non come persone», si dirà di lui.

Nella stagione 1970-71, i meriti di Happel sono persino superiori a quelli acquisiti l’anno precedente. Dopo la vittoria nell’Intercontinentale, e la clamorosa eliminazione contro i rumeni dell’UT Arad (1-1 e 0-0) nei 16esimi di Coppa dei Campioni, il tecnico si ritrova a dover ricaricare le pile a giocatori ormai appagati, ma dopo un combattutissimo campionato, avrà ragione lui: il Feyenoord si conferma campione d’Olanda. 

Che anche Happel sia fatto di carne e ossa lo dimostrano le due stagioni successive, trascorse nella missione impossibile di dare la caccia al grande Ajax di Johan Cruijff. Il bomber svedese Ove Kindvall è tornato in patria, la carriera di Coen Moulijn volge al termine: il Feyenoord sta perdendo i pezzi. La critica imputa ad Happel l’eliminazione contro l’OFK Belgrado nel secondo turno della Coppa UEFA 1972-1973, accusandolo di non aver analizzato (o di non averlo fatto a sufficienza) l’avversaria, di aver rischiato troppo in casa e troppo poco fuori. Intorno al Natale 1972 Happel viene chiamato a rapporto dal dirigente Brox, che lo spedisce in vacanza per due settimane. Per farlo riposare. In primavera, il Feyenoord perde il campionato nei match decisivi contro Ajax e Twente, subito dopo viene dato l’annuncio che a fine stagione Happel se ne andrà. 

Esaurita con un anno di anticipo sulla scadenza di contratto la mediocre esperienza di Siviglia (dopo lo 0-3 nel derby con il Real Betis viene esonerato a favore della coppia composta da Santos Bedoya López e Enrique Buque, con la squadra che chiuderà al 9° posto nella Segunda División 1973-74), Happel si trasferisce in Belgio, al Bruges FC. Sembra un passo indietro per la carriera di un santone della panchina. In realtà, sotto la sua guida, i nerazzurri conosceranno un’inattesa epoca d’oro. E il furbo austriaco dimostra ancora una volta di saper scegliere destinazioni nelle quali c’è una buona base su cui costruire. Dal ’67 al ’72 il Bruges aveva infilato cinque secondi posti: una situazione frustrante destinata a terminare con l’arrivo di Happel ma anche grazie ai gol di uno dei più prolifici cannonieri del calcio fiammingo, Raoul Lambert, e al rendimento di ottimi mestieranti come Georges Leekens e Hugo Broos (entrambi con un futuro da allenatori di alto livello). Il Bruges FC, appena spostatosi nel nuovo Olympiastadion in coabitazione con l’altro club cittadino, il Cercle, conquista tre campionati consecutivi (’76, ’77 e ’78) e una coppa nazionale (’77, 4-3 all’Anderlecht) e perde contro il Liverpool le finali di Coppa UEFA 1976 (3-2 ad Anfield, 1-1 in Belgio) e di Coppa Campioni 1978 (1-0 di Dalglish). Reds che nella seconda sfida vincono ma non convincono Ernst: «Sembravano l’ombra della formazione che affrontammo in Coppa UEFA due stagioni fa. Mi hanno deluso, hanno meritato la vittoria ma noi siamo stati penalizzati dall’assenza di due titolari (gli infortunati Lambert e Courant, ndr)». 

Happel è ormai un tecnico di fama internazionale, anche se il suo nome non pare evocare sogni di calcio d’attacco come invece era accaduto a Rinus Michels nel ’74. Così, poche settimane prima di Argentina ’78, la Federcalcio olandese gli affida la Nazionale arancione nella speranza di abbinare alla grande tradizione offensiva di quella scuola una robusta dose del pragmatismo troppe volte mancato. Happel affianca da “supervisore” il Ct Jan Zwartkruis, che aveva guidato la squadra nelle qualificazioni, ma il loro rapporto sarà ben lontano dalla simbiosi raggiunta quattro anni addietro dai predecessori Michels e Fadrhonc. Happel annuncia al mondo di volere un centrocampo a cinque, coniando il neologismo di “ala-terzino” un decennio prima che diventi di moda (ma alle parole non seguirono i fatti), e che la squadra deve liberarsi del “complesso Cruijff”, con ovvio riferimento al grande assente. L’Olanda arriva in finale ma, come nel 1974, perde contro i padroni di casa. Con una differenza: l’Argentina dei generali non poteva perdere. 

Nel 1979 si trasferisce allo Standard Liegi, dove la sua predilezione per il gioco d’attacco trova libero sfogo con le volate dei velocissimi esterni Tahamata e Edström: 12-0 al Winterslag nella prima giornata di campionato, torneo che la squadra chiude con un sorprendente secondo posto. L’anno dopo, arriva la Coppa nazionale: 4-0 in finale al Lokeren dei polacchi Lato e Lubanski e del giovane danese Elkiær-Larsen. Ma più che per i successi, quella formazione dei Rouches viene ricordata per la spettacolarità: 34 reti, miglior attacco del torneo, grazie ad artisti come lo stesso Edström, Riedl, Voordeckers e Sigurvinsson, che completano una squadra nella quale giocano un portiere di sicuro avvenire, Preud’homme, e il terzino destro Gerets. 

Nel 1981 il gm dell’Amburgo, l’ex campione Günther Netzer, vuole Happel per sostituire lo slavo Branko Zebec, ottimo allenatore che con un bicchiere in mano non ha mai saputo regolarsi, e contrastare il dominio del Bayern Monaco. L’anno prima gli anseatici avevano perso, in quattro giorni, la Bundesliga e la Coppa dei Campioni (0-1 col Nottingham Forest) e, sulla scia della doppia batosta, anche la star della squadra, Kevin Keegan, tornato in patria, al Southampton. Quando Happel arriva all’Amburgo, il solo acquisto importante del club è il 35enne Franz Beckenbauer. Il Kaiser raccoglie solo 28 presenze in due stagioni, ma con Happel vince subito un altro campionato. Nella Coppa dei Campioni ’83, gli amburghesi eliminano Dynamo Berlino (1-1, 2-0), Olympiakos Pireo (1-0, 4-0), Dynamo Kyiv (3-0 fuori, 1-2 in casa) e Real Sociedad (1-1, 2-1): è finale. Ad Atene, Magath sorprende Zoff dopo 9’; Happel mette Rolff su Platini e spegne la Juventus tutta stelle di Trapattoni, tecnico che nell’austriaco trova la sua bestia nera. 

Happel lascia Amburgo vincendo la Coppa di Germania (’87), per tornarsene a casa, al Tirol Innsbruck. Ovviamente vince ancora due campionati (’89 e ’90) e una Coppa (’89) nazionali prima di accorrere, nel 1991, al capezzale della selezione austriaca. Ma nel 1986 aveva ricevuto una lettera dal suo medico: Ernst aveva un tumore allo stomaco. Non finì neppure di leggerla. I cronisti che gli chiedono notizie sulla sua salute vengono allontanati in malo modo: «Ho il cancro, e allora?». Se ne va il 14 novembre 1992, due settimane prima del suo 67° compleanno. Per onorarlo, in Austria gli dedicheranno il mitico Prater, oggi Ernst Happel Stadion.

Happel era un uomo strano. Sigaretta perennemente attaccata alla bocca, amava il vino e le scommesse. Aveva fama di duro fra i suoi giocatori, che lo chiamavano il Tiranno, eppure la gran parte di loro lo rispettava. Ancora più duro era con i giornalisti, che detestava, eppure pendevano dalle sue labbra. Ma “Il Brontolone”, appellativo dovuto all’aria sempre imbronciata, possedeva un affascinante e brusco senso dell’umorismo, nascosto dietro battute biascicate tra un grugnito e l’altro. Il suo ex compagno di squadra Max Merkel una volta disse: «Happel parla cinque lingue. Di solito simultaneamente». Era anche un grande tattico, ma diversamente da molti colleghi amava il calcio spregiudicato. Non era facile lavorare con lui, ma era Happel. E questo bastava. 
CHRISTIAN GIORDANO, Guerin Sportivo



RESPINTI IN HAPPEL
Happel è passato alla storia anche come implacabile giustiziere del calcio italiano: su 9 confronti le nostre squadre ne hanno vinto uno. Il sortilegio comincia con la modesta Coppa Rappan, l’attuale Intertoto. Nel 1966-67 l’ADO Den Haag vince il I Gruppo, Girone 4, di cui fa parte il Brescia (secondo ma eliminato): 2-0 a L’Aja e 1-1 al Rigamonti. Altro giro altra esclusione, stavolta illustre. Coppa dei Campioni 1969-70, il Milan di Rocco difende il trofeo conquistato l’anno prima contro l’Ajax e negli ottavi va fuori con il Feyenoord futuro campione: 1-0 a San Siro (Combin), 0-2 al De Kuip (Jansen, van Hanegem). Coppa UEFA 1975-76, due le italiane superate dal Bruges lungo il cammino verso la finale con il Liverpool: la Roma negli ottavi (doppio 1-0, Cools e Lambert) e nei quarti ancora i rossoneri (ma di Trapattoni; 2-0 nelle Fiandre; 2-1 a San Siro con reti di Bigon, Chiarugi e Hinderyckx). Bruges e Reds si ritroveranno in finale due anni dopo, in Coppa dei Campioni. In semifinale: Juventus-Bruges FC 1-0 (Bettega) e 0-2 (Bastijns, Vandereycken) ai supplementari. Ad Argentina 78, Happel è il Ct del’Olanda che ci priva della finale: 2-1, Brandts pareggia la propria autorete e Haan sorprende Zoff da distanze siderali. Secondo turno di Coppa UEFA 1979-80, Standard Liegi-Napoli: 2-1 in Belgio (lampo partenopeo di Capone, poi Ridl e rigore di Sigurvinsson), 1-1 al San Paolo (Ridl e Damiani). Atene ’83, è storia nota: sei campioni del mondo più Bettega (iridato mancato per destino), Platini e Boniek non bastano al Trap, recidivo, per rimontare la strana parabola sferrata da Magath. L’unico italiano capace di catturare la volpe austriaca è il giovane Ilario Castagner, che alla guida dell’Inter elimina i tedeschi negli ottavi della Coppa UEFA 1984-85. Vittorioso 2-1 in Germania (autorete di Bergomi, raddoppio di Von Heesen e fondamentale gol di Rummenigge), l’Amburgo perde a Milano per un rigore di Brady. La maledizione è finalmente sfatata. Ma prima quanti dolori. (chgiord)


IL TRAP IN TRAPPOLA 
Forse i due maggiori capolavori di Happel non furono le due Coppe dei Campioni conquistate con squadre diverse (record condiviso con il tedesco Ottmar Hitzfeld, che centrò l’impresa con il Borussia Dortmund nel ’97 e il Bayern Monaco nel 2001). Quelle imprese però segnarono la storia del calcio europeo. La prima diede il via alla rivoluzione olandese del Calcio Totale. La seconda fu un capolavoro di sagacia tattica, che beneficiò di una serie di circostanze probabilmente irripetibili. Nel centrocampo del Feyenoord campione d’Europa 1970 emerge il talento di van Hanegem, grande organizzatore di gioco, lento di passo ma dotato di una terrificante botta da lontano; al suo fianco il settepolmoni Jansen e un fine palleggiatore, l’austriaco Hasil. Davanti al portiere Pieters-Graafland, il perno della difesa a quattro è l’uomo-ovunque Israël. In attacco, agisce da centravanti lo svedese Kindvall, attorniato dagli esterni Wery e Moulijn. Più tradizionali ma efficacissime le contromisure adottate da Happel ad Atene ’83 contro la corazzata Juventus: Hyeronimus libero, Rolff sulle piste di Platini, a tutto campo, Jacobs su Paolo Rossi, i terzini Kaltz e Wehmeyer a spingere contro Bettega e Boniek, presi in mezzo dai ripiegamenti di Milewski e Bastrup, con Hrubesch punta centrale. Il resto lo fece la prodezza balistica del regista Magath. (chgiord)


La scheda di ERNST HAPPEL
Nato: 29 novembre 1925, Vienna (Austria); deceduto il 14 novembre 1992 a Innsbruck (Austria)
Ruolo: stopper-centromediano
Club da giocatore: Rapid Vienna (1943-54), Racing Club Parigi (Francia, 1954-56), Rapid Vienna (1956-59)
Presenze (e reti) in Nazionale: 51 (5), 1947-58
Esordio in Nazionale: 14-9-1947, Austria-Ungheria 4-3 (amichevole)
Palmarès da giocatore: 6 Campionati austriaci (1946, 1948, 1951, 1952, 1954, 1957), 1 Coppa d’Austria (1946), Mitropa Cup (1951)
Club da Dt: Rapid Vienna (1959-62)
Club da allenatore: ADO Den Haag (1962-68), Feyenoord (1968-73), Siviglia (1973-75), Bruges (1975-79), Standard Liegi (1979-81), Amburgo (1981-87), Tirol Innsbruck (1987-91); 
Nazionali da Ct: Olanda (1978), Austria (1991-92)
Palmarès da allenatore: 2 Coppe d’Olanda (ADO Den Haag, 1968; Feyenoord, 1969), 1 campionato olandese (Feyenoord, 1969), 2 Coppe dei Campioni (Feyenoord, 1970; Amburgo, 1983), 1 Coppa Intercontinentale (Feyenoord, 1970), 3 Campionati belgi (FC Bruges, 1976, 1977 e 1978), 2 Coppe del Belgio (Bruges, 1977; Standard Liegi, 1981), 2 Campionati della Germania Ovest (Amburgo, 1982 e 1983), Coppa della Germania Ovest (Amburgo, 1987), 2 campionati austriaci (Tirol Innsbruck, 1989, 1990), Coppa d’Austria (Tirol Innsbruck, 1989)


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