Claudio Corti - What a Wonderful Barloworld


di CHRISTIAN GIORDANO ©
in esclusiva per Rainbow Sports Books ©

Adro (Brescia), mercoledì 24 gennaio 2018

- Claudio Corti, per i più giovani, tu che corridore eri?

«Sono stato un corridore abbastanza normale, come potenziale, solo che ho fatto parecchi risultati. Ho avuto una grande, smisurata... Una grande passione, probabilmente un tarlo… Adesso non ho più quella passione lì, però, quando ero ragazzino, qualcosa è successo. Per me, fare un risultato in bicicletta era la cosa più importante che c’era. Se c’erano otto corridori in fuga, io facevo la volata per arrivare nono. Se ce n’eran dodici, volevo arrivar tredicesimo. Cioè: avevo l’ambizione, proprio, di essere un ciclista, no? E questo può darsi che… Io avevo due fratelli che correvano in bicicletta, molto più vecchi di me. Io son del ’55 e ho cominciato nel ’62 ad andar a veder le gare…».

- Con i tuoi fratelli quanto avete di distanza?

«Mio fratello Mario è quello che ha fatto un po’ più risultati. L’altro, Fausto, ha corso meno. Però andavo a vedere mio fratello Mario [dilettante dal ’68 al 73, nda], che è del ’46. E quindi io mi ricordo, ancora adesso, tutti i nomi dei corridori dilettanti di quegli anni lì, nel ’67, ’68: [Aldo] Balasso, [Pietro] Di Caterina, [Luciano] Mischi, [Guerrino] Tosello, [Mario] Bettazzoli. Me li ricordo come se fosse adesso. E c’era un mio amico che faceva… Lavorava di notte, alla Legler [a Ponte San Pietro, nda] dove facevano i tessuti. A quell’epoca c’erano molte gare infrasettimanali e questo veniva a casa dal lavoro e martedì, mercoledì, il giovedì andavamo. Mi portava sulla Vespa in giro per tutta la Brianza a vedere le gare dei dilettanti. Ecco, per cui probabilmente, dentro di me, questo ciclismo è diventato una cosa importante, come un’illusione, come… E mi è nata questa grande passione. Per questo dico: va bè, son stato un corridore normale, perché io ho fatto... Be’, ai miei tempi non è che si facessero tanti test, tante prove, tante… Però, delle poche misurazioni, le poche visite di idoneità che si facevano anche quando ero giovane, sì, un buon corridore, un fondista. Ma mai nessun medico mi ha detto: te c’hai un fisico fuori dal normale».  [sorride, nda]

- Avresti mai pensato, un giorno, che poi avresti vinto il Giro Baby, che saresti stato campione del mondo dei dilettanti o due volte in fila il campionato italiano? Non eri un predestinato?

«Mah, forse all’inizio... Sì, un po’ t’immagini queste cose, anche se… Perché uno che comincia a correre… Io non vedevo l’ora di arrivare ai 14 anni, perché [allora] si poteva cominciare a 14 anni, con i Giochi della Gioventù, per poter correre in bicicletta, no? Quindi l’illusione di poter essere un grande corridore ce l’hai. Io, per esempio, mi ricordo che c’è stato un periodo che facevo una strada, andavo giù dal bordo della strada, andavo sulla terra,, pensando: un giorno farò la Parigi-Roubaix. Ecco, ma per dire. Non so se riesco a spiegarmi, il tarlo mentale che avevo io, no? La voglia, il piacere…».

- Poi la Roubaix non l’hai mai fatta…

«No, non l’ho mai fatta. Non ho mai corso alla Roubaix».

- Però hai fatto 32° alla Liegi. Perché mai alla Roubaix?

«Ma forse per lo stesso motivo che ho detto prima. Alla Corsa della Pace - non ero un gran passista - non m’hanno mai messo in squadra. Non ho mai avuto neanch’io la voglia di… Boh, non l’ho mai fatta perché non era una corsa adatta a me, cioè sul passo non sono mai stato… Come non sono mai stato forte a cronometro, non sono mai stato forte sul passo...».

- Per il famoso rapporto peso/potenza di cui oggi tanto si parla?

«Sì, ero un corridore abbastanza leggero per cui… Poi, anche per questo motivo: io col freddo non andavo tanto bene. Andavo bene più nelle gare quando cominciava il caldo, sulla resistenza, d’estate. Tutto lega, no? Mancanza di un grosso fisico, mancanza di una grossa potenza. Grande volontà, resistenza ce l’avevo. E con questo, d’estate, quando tutti si… Anche il mio mondiale di Barcellona [nel 1984, nda], una giornata caldissima in cui tutti i grandi nomi sono un po’ andati alla deriva e io, ancora, ce l’ho fatta ad arrivare… Diciamo che è stata una carriera di volontà più che di… Con tutte le fatiche che ho fatto io... Quell’anno lì, mondiale e Giro Baby '77, 22 gare tra i dilettanti - che non le ha fatte mai nessuno. E il ’78, passo professionista, vinco una gara a luglio, dopo il Giro d’Italia, con tutti i contraccolpi psicologici che può avere uno che viene presentato… Io mi ricordo uno Sport Illustrato, una cosa così, o una rivista che c’era, che mi avevan presentato come «Il nuovo Gimondi», no? Cioè… E quindi…».

- Tu però sapevi che si trattava di un’esagerazione?

«Ma nooo. Ma sai, quando fai tutti quei risultati lì, come fai a pensare che è un’esagerazione? Te dici: ci sono, sono un corridore e ho vinto tanto. Io son passato professionista, ho trovato un ciclismo totalmente diverso e non adatto a me. Era un ciclismo, a quei tempi là, in cui c’erano ancora le spinte. Forse è stato l’ultimo anno che c’erano le spinte, nel ’78. Cioè, cosa significa? Che i gregari proprio spingevano…».

- Tu eri alla Zonca, due anni…

«Alla Zonca-Santini. Quindi io, nel ’78, ho vinto una corsa a luglio. Dopo il Giro d’Italia, dove ero arrivato 30-esimo».

- Fammi capire, la giuria in corsa si girava dall’altra parte, era tollerato?

«Ma era così… Era così».

- Visentini di queste cose si lamentava molto, specie per le spinte a Moser per buona parte della carriera.

«Eh, però non c’erano giù più. Lì, casomai, era un vecchio vizio che i vecchi si tiravan dietro dagli anni fino al '78. Però già dal '79-80 veniva sanzionata, la spinta. È vero che magari ti attaccavi un po’, così. Però io, che non avevo potenza, mi trovavo al Giro d’Italia, si andava piano tutto il giorno. Io partivo il mattino e pesavo 62 chili, arrivavo la sera a 63, ma porca miseria…».

- Al mondiale di Bergen 2017, quando hai visto la furbata del Ct Davide Cassani che dall’ammiraglia ha trainato Gianni Moscon, che cosa hai pensato, di tornare ai vecchi tempi?

«No, va bè, quello… Quello è il traino della macchina, è un’altra cosa. È un’altra cosa, lo fanno in parecchi…».

- Lì però è stato un po’ spudorato...

«È stato un po’ spudorato. Nei dilettanti lo fanno sistematicamente, è lì che la giuria dovrebbe punire. Perché poi i ragazzi crescono abituati a attaccarsi, no? Io il primo anno ho vinto una corsa a luglio ma proprio perché venivo dal Giro d’Italia, quando poi tutti andavano… Non si andava al Tour, riposavano, facevan tutti… Era finita. E io ho fatto un mese, giugno, allenandomi bene. E nel '78 ho vinto al Trofeo Branzi [il 20 luglio, 241 km, con 1’23” sul gruppetto di Fiorenzo Favero, Palmiro Masciarelli, Alessandro Bettoni, Giuseppe Martinelli, Franco Conti e Stefano D’Arcangelo, nda]. Il ’79 sono andato malissimo, un disastro. E ho rischiato di smettere di correre».

- Perché, che cos’è successo nel ’79?

«Perché non mi adattavo al sistema di corse. Cioè io, fare una corsa di cinquanta-sessanta chilometri... Perché si partiva solo nel finale di andar forte, prima andavam piano. Se te guardi le medie... Poi mi ero demoralizzato. Quindi quella volontà lì che dicevo prima, ti va anche giù, eh. Io poi ero aumentato di peso. Veramente ho preso una legnata nel '79, che è stata la mia stagione più brutta. E ho trovato il povero Carlino Menicagli, che è riuscito a tirare insieme una squadra, nell’80, la San Giacomo-Benotto, che ha preso Visentini, ha preso me. Io al minimo di stipendio. Quell’epoca lì – ’78 e ’79 –, io mi ricordo, si prendevano 400 mila lire al mese».

- Nette? O ci dovevi pure pagar le tasse?

«Guarda, era il minimo per cui… Era il minimo contrattuale dell’Associazione, 400 mila lire. Poi nell'80... Nel '78, e io te lo dico, avevo firmato un contratto alla Zonca-Santini di 20 milioni l’anno. Ecco dalle 400 mila al mese... Venti milioni diviso dodici, metti un milione e otto... Quindi è come tre volte il '78, è come tre-quattro volte il minimo di stipendio, no? Per un neoprofessionista, va bè, ero campione del mondo, però… Nell’80 avevan portato il minimo a 800 mila, è scattato proprio quell’anno lì. E io ho trovato il contratto a 800mila lire al mese. Per dieci mesi. Alt: era 400mila per dieci mesi. Quindi il minimo era 4 milioni nel ’78 e ’79. Nell’80 era 800mila al mese per dieci mesi. Perché non c’era ancora la Legge 91 che ti obbligava…».

- Quella "famosa" dello svincolo?

«La Legge 91 è che in Italia il professionismo deve essere con contratto di lavoro subordinato. In Italia i professionisti hanno un contratto di lavoro subordinato, calcio ciclismo… Però quella legge lì è partita nell’83. Al di là del minimo [salariale], che quello è un discorso di Associazione Corridori con i Gruppi Sportivi, o di UCI - adesso è stabilito dall’UCI il minimo. Però in certi Paesi non c’è l’obbligo dell’essere subordinato, che prendi 35 mila euro, come è adesso. In Italia è 35, ma è 35 lordo, perché devono farti un contratto di lavoro subordinato, pagarti l’INAIL, pagarti l’ENPALS, pagarti tutto – chi ha la squadra in Italia. Però quegli anni lì eran dieci mesi, quindi io ho preso 800mila lire… Otto milioni, va bè… E da lì son ripartito». [sorride, nda] 

- Aspetta, mi manca un pezzettino: la passione, a te e ai tuoi fratelli Mario e Fausto,, arrivava da tuo papà o è una cosa che avevate solo voi?

«Ma nooo, ma no. Mio fratello Mario ha cominciato a correre. C’era un mio zio che aveva corso, gli aveva dato una bicicletta...».

- Tu sei quello di mezzo o il più piccolo?

«Io il più piccolo, Mario quello che ha corso; [la passione] era un po’ di mio zio. Ma io quando mi davano la bicicletta nuova me la portavo in camera».

- Te la ricordi la tua prima bici?

«Io ce le ho tutte. Ce le ho ancora, c’ho i miei album. C’ho le foto di tutte le mie bici, almeno fino ai 25 anni quando mi davan la bici, tac: la foto; [la bici] me la portavo in camera».

- Guarda che è una cosa che i corridori fanno anche adesso, eh.

«E poi ho rischiato di smettere di correre».

- E com’è che avevi preso peso, perché?

«Ma sì, perché dopo perdi morale, ti alleni un po’ di meno, ti sfoghi nel mangiare, cioè…».

- O magari mangi male…

«E dopo, nell’80, son ricalato di peso. Col Carlino Menicagli c’era il Freddy Maertens in squadra con noi, perché il Carlino Menicagli è riuscito… Pensa che squadra in San Giacomo-Benotto…».

- Dimmi qualche nome.

«Ha preso il Freddy Maertens, che ha fatto il Giro delle Fiandre con noi…».

- Era così fenomeno? Io di quel corridore m’ero innamorato...

«Io gli ho visto far delle cose… Mi ricordo, eravamo giù a Follonica in ritiro, e un giorno è passato un camion, così, lui è partito. Aveva un piedino da fata, aveva un 40, un 41. Un piedino da fata, poi con le scarpette di una volta, quelle fatte artigianalmente…».

- Quelle fatte da quel toscano…

«Sì, c’era il Colombini [1], poi c’era il Battilossi a Torino e un altro qua, a Brescia, che adesso non mi viene il nome...». [2]

- Non so per Riccardo Battilossi. Ma è vero che per Luigi Colombini tu dovevi essere un certo tipo di corridore, e che gli dovevi andare a genio, sennò le scarpe su misura lui non te le faceva? È vero è una leggenda?

«Sììì, mi sembra di sì. Io son riuscito a farmele fare dopo due o tre anni da professionista. Però non mi son trovato bene con le sue scarpe. Io avevo uno qua di Brescia con cui mi trovavo meglio, va bè... Comunque: Freddy Maertens ha fatto una accelerazione, una volata, vooom. E ha "preso" ’sto camion, una cosa, mamma mia… Una cosa impressionante. Una accelerazione da trenta a sessanta, no? Cioè: questo qui era veramente un corridore. Però beveva. Però beveva…». 

- E poi aveva tanti debiti col Fisco.

«Mi ricordo, a in Giro del Trentino, arriva la tappa e io, va bè, nell’80 già andavo meglio e lui arriva dopo un quarto d’ora, venti minuti. Eravamo in camera insieme, ero in doccia, uscivo dalla doccia e volevo prendere dei sali minerali, un Polase, cerco un bicchiere, cerco un bicchiere... Ostia, non c’è un bicchiere. Poi vedo che c’è un bicchiere là sul tavolino o sul suo comodino, non mi ricordo. Prendo il bicchiere, sentiva di vino: eh la madonna, come mai c’è un bicchiere sporco di vino? Apro il comodino - c’erano i comodini, erano alberghi vecchi -, sotto il bicchiere, in parte del letto, c’era un a bottiglia di vino bianco finita. Vuota. Vuota-vuota. Si vede che lui è arrivato, è passato alla reception, ha preso una bottiglia di vino, è venuto su in camera. Capito? Va bè, son cose un po’…».

- Sai che adesso fa il custode al Museo del ciclismo a Oudenaarde?

«Sì, ogni tanto lo vedo. Ogni tanto l’ho visto. Gli ho mandato delle maglie o mi ha chiesto una bici, gli ho mandato qualcosa. Non mi ricordo. Però mi ricordo il Giro delle Fiandre invece, credo che lui sia arrivato sesto al Giro delle Fiandre dell’80, che m’ha detto, m’ha insegnato, no? Si faceva il Koppenberg, scendevi. Io son sceso, sul Koppenberg, e lui mi ha detto: mettiti un nastro. Il nastro – perché adesso ci sono i nastri di plastica, i nastri del manubrio, una volta c’era un nastro come di stoffa – te lo metti, e dopo io l’ho fissato con un altro nastro. Perché quando scendevi dalla bicicletta, con quello riuscivi a correre. Questo me lo ha insegnato Freddy Maertens. Chi ci avrebbe pensato? Te scendi con le… Oggi con quelle scarpe lì se uno scende… Ma ho visto che nessuno scende ormai, non scende più nessuno perché abbiamo i rapporti più agili. Una volta non c’erano. C’era il "25"». [sorride, nda] 

- Anche sul Muro di Sormano scendevano.

«Sì, non c’erano i rapporti. E te più del "23" o "25"… Adesso è un’esagerazione perché i corridori fanno la Milano Sanremo col "25", no? Una volta un mio corridore - adesso, senza fare i nomi - ha voluto il "25" per la Milano-Saneremo…».

- Che cosa gli hai detto? Te lo sei mangiato?

«Ma noi correvamo con la scaletta, diciamo, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19. Punto. La Milano-Sanremo… Però adesso lo usano perché tengono la moltiplica grande dietro, magari fanno il "53x23". Sono delle anomalie anche quelle lì. Però… E 'sto Freddy Maertens ha corso, è andato forte fino al Giro delle Fiandre. Poi, dopo il Giro delle Fiandre, bum. Ricaduta completa. Perché, anche lui, probabilmente aveva tutti 'sti problemi, tutto 'sto… Poi [alla San Giacomo] c’era Visentini, che nell’80 ha preso la maglia rosa. E la tappa di Orvieto, ancora me la ricordo, c’era Hinault, facciamo il Monte Amiata. E un’acqua…».

- Visentini la soffriva l’acqua?

«No, no. No-no… Io la soffrivo. Ma son riuscito a passare il Monte Amiata, poi non so andar giù in discesa, insomma alla fine ci troviamo via in 15-16 corridori e io ero dentro e c’era dentro lui. E non c’era Hinault. Ha vinto Contini. Ho tirato, quel giorno lì, per Roberto. All’impazzata ho tirato-tirato-tirato-tirato, mi son spaccato le gambe, fin sotto Orvieto, poi c’era l’arrivo un po’ in salita, lì mi son staccato e… lì ha preso la maglia rosa lui, a Orvieto. E lì gli ho dato una bella mano. Il giorno dopo non riuscivo neanche a… Perché già non ero portato a fare lo sforzo con il freddo, con l’acqua, così… Avevo un mal di gambe il giorno dopo... Ecco quindi forse non ero capace neanche di fare il gregario, diciamo. [ride di gusto, nda] No, diciamo che le corse a tappe le soffrivo abbastanza. Ero un corridore da gare di un giorno. Soprattutto i campionati. Io con le maglie... Già da allievo ho fatto secondo a un campionato italiano. Da allievo. Da dilettante ho fatto secondo a un campionato italiano, quarto a un altro. E dopo ho vinto i due da professionista [1985 e 1986, nda]. Ho vinto la maglia del mondiale [da dilettante a San Cristóbal ’77], ho fatto secondo [a Barcellona ’84]. Io con le maglie… Mi esaltavano, probabilmente. E a fine anno è passato con noi Moreno Argentin, per dire che squadra che era quella San Giacomo-Benotto, no? È passato verso settembre. Ha fatto la prima gara al Giro del Friuli - perché lui è di San Donà di Piave - ed è arrivato ’sto ragazzetto, aveva già un Volvo, sai di quelli lunghi di una volta? Grossi… Quelli lunghi, belli. Non so che modello è arrivato, lì all’albergo. Poi, il giorno dopo, ho vinto io il Giro del Friuli del 1980 eh. La prima gara che Moreno ha fatto, vinta io. Si arrivava a Piancavallo». [sorride, nda]

- Non ti buttare giù. Al Giro '86 che Visentini ha vinto hai chiuso quinto…

«Sì, quello sì...».

- Alla faccia delle gare di un giorno…

«È l’unico che ho fatto bene».

- E poi hai fatto sesto al Lombardia ’85.

«Sì, sì, sì, lì andavo. Lì andavo… Siamo arrivati in pista al Vigorelli, ha vinto Sean Kelly. E lì peccato perché… Però, sai, avevo fatto - nel ’72 - la Scuola Fausto Coppi, lì a Cesano Boscone. Era una scuola organizzata dalla Federazione. Andavano un po’ in pista. Perché io in pista proprio… E quindi il Vigorelli lo conoscevo perché andavamo lì… Da Cesano Boscone andavamo lì a… E ho tentato di entrare un po’ davanti e nella scia mi sono salvato, son arrivato sesto. Non sono un velocista…». [sorride schernendosi, nda]

- Mi racconti il tuo rapporto con Visentini? Com’era lui in quegli anni lì prima che Roberto diventasse... Visentini.

«Ma lui si creava un po’ di rivalità, eh. Perché anche quella di Moreno, dopo, si è… Iniziavamo insieme lì alla San Giacomo-Benotto, dopo siamo andati alla Sammontana. E anche lì lui, durante i Giri d’Italia, aveva un po’ di screzi con Moreno. C’è stato un Giro che il Moreno è arrivato terzo [nel 1984, nda], e lui non era da corse a tappe. A parte che non c’eran le salite che ci sono adesso, neh…».

- Poi magari ci arriviamo a come Vincenzo Torriani disegnava quei Giri…

«E lui un po’ di screzi con l’Argentin ce li aveva, eh».

- Ma perché, per la solita storia dei due galli nel pollaio?

«Ma sì, forse…».

- O era una rivalità che andava al di là delle corse. Magari proprio non si prendevano, come persone?

«Sììì, forse non si prendevano. Perché comunque per le gare a tappe Roberto era molto più portato. Diciamo che forse Roberto soffriva i personaggi vicino a lui. Forse più quello».

- Anche con Roche alla fine è andata così, no? Voleva essere lui la primadonna…

«Ma no, guarda che [Roberto] è una persona semplice. Lo vedi anche adesso: è un semplice, ti parla in dialetto, ti dice…».

- Ti fa le battute, è pure un compagnone, a suo modo…

«Sììì, un compagnone, a suo modo. Per cui stride il fatto di voler essere la primadonna, perché non è neanche così. Magari lui soffre l’altro che vuol essere la primadonna, invece lui vorrebbe essere più normale. Cioè: una forma psicologica, adesso invento ’sta cazzata, non lo so se è giusta [sorride, nda]. Magari uno è talmente semplice che soffre, o gli sta sulle balle, l’altro che si atteggia, ecco. Quindi…».

- Moreno invece era più uno che si atteggiava? Perché già dall’inizio, con lui che cominciava a vincere, in gruppo dava fastidio, no?

«Eh, Moreno… Moreno era molto… Più "programmato", più… Roberto, alla fine, era più alla buona, eh».

- Cassani mi ha detto una cosa curiosa. Ma quale garibaldi, lui lo buttava via, ero io il suo garibaldi…

«Massììì…».

- Roberto al mattino gli chiedeva: allora, oggi cosa dobbiamo fare, dove andiamo?

«Sììì, sììì, non era uno che diventava matto, che conosceva le tappe del giorno dopo. Sì, sì, quello è vero. Io ho fatto un paio di Giri d’Italia in camera con lui, Ma è uno semplice, insomma. Ma sììì. Ma lui poi, a volte, anche col medico della squadra, no?, non è che lui era un fissato. Gli andava bene tutto. Cioè non era quello maniaco. Lui, una classe naturale. Ti dico: un anno abbiam fatto… Hanno organizzato, a Bergamo, al Monte Pora, sulla Presolana, hanno organizzato... - sarà stato novembre - come un circuito. Una volta c’erano i Circuiti degli Assi e così. E la cronoscalata da Castione della Presolana al Monte Pora [3]. Sai, la Val Seriana, dove sta Paolo Savoldelli, poi c’è Clusone, c’è Castione poi Passo Presolana e a destra c’è il Monte Pora. Adesso ci sono impianti da sci, ma già all’epoca lì si sciava, avevo sciato anch’io lì. Organizzano ’sto circuito, ’sta esibizione. E così, andiamo a fare la cronometro a Monte Pora. Fin dopo il Lombardia, sapendo che dopo quindici giorni c’era ’sta cosa al Monte Pora, io ho continuato ad allenarmi, a prepararmi, fare e disfare, qui e là. Perché volevo vincere, no? Qui a Bergamo, poi cronoscalata, io ero scalatore [ride, nda]… Arriva lui, prima della corsa, lì a prendere i numeri e così… 
- Ma ti sei allenato? 
“No, nooo, più toccata, io; dal Lombardia, più toccata io…”. 
Non ha più toccato la bici. Facciam la cronometro, m’ha dato quaranta secondi: primo lui, secondo io».

- Quanto era passato dal Lombardia?

«Saran passati quindici giorni, se vuoi guardo l’agenda e lo trovo. Per dire: la classe che aveva lui. Era uno che era sempre uguale. Non lo vedevi mai magro, non lo vedevi mai grasso. Era un talento naturale. Lui, la forza muscolare che aveva, ce l’aveva perché è nato così. Io dovevo fare… Allenarmi, tenermi il tono muscolare e…».

- Dimmi se sbaglio: aveva questo busto molto lungo rispetto alle gambe, dunque un brevilineo, ma con anche queste spalle così larghe, per un corridore, specie ai tempi: è vero o no?

«Sì, aveva le spalle larghe, era un po’ atipico. Un po’ atipico perché se tu guardi… Allora: io non ero forte, non avevo forza. La mia fortuna, perché se io ti faccio vedere, la mia fortuna… Guarda le mie ossa: son come quelle di una donna, piccoline. Allora il rapporto…».

- Come le mie. [Gli mostro i miei sottilissimi polsi e avambracci, nda]

«Ma guarda che le mie son molto più piccole anche delle tue. Io c’ho le ossa sottili e nonostante sia alto, un po’ di muscolatura, avevo un peso basso».

- E quindi in salita andavi…

«Avevo un peso basso e quindi mi son salvato un po’ per quello, no? Mi son salvato un po’ per quello perché ero leggero. Adesso non mi ricordo perché ho tirato fuori ’sto discorso...».

- Perché facevi il paragone con Roberto, che invece era grosso come ossatura?

«Nooo. Allora: io ero leggero, avevo le gambe un po’ lunghe e il busto corto, un’altra cosa a mio vantaggio».

- Quindi il contrario del Visenta?

«Sì. Ma se te guardi Coppi, aveva il busto corto e le gambe lunghe».

- Aveva anche una capacità toracica di sette litri e mezzo…

«Sììì, va bè. Ma quello, sai, non conta niente…».

- Dici?

«Non conta niente. Cioè, se tu vai a guardare, adesso nessuno ti dice la capacità toracica…».

- Mi ricordo che al tg avevamo fatto una scheda: Indurain e Armstrong rispetto Pantani; erano cilindrate opposte: 6 litri rispetto agli oltre 7 dell'americano e ai quasi 8 del navarro. 

«Sì ma la capacità toracica è la quantità di ossigeno che porti dentro, cioè il volume di ossigeno dopo dipende l’emoglobina che hai, l’ematocrito. Perché te butti dentro l’ossigeno ma se non c’hai i "carrellini" che lo portano in giro… Te butti dentro sì sette litri d’aria, ma se non c’hai i "vagoncini" che lo portano in giro, questo ossigeno… E quindi non è quello... Io penso che, di Coppi, era proprio il peso e il rapporto: le leve lunghe, le gambe lunghe, il busto corto. Hai un vantaggio sul peso, e vai forte. Roberto invece aveva un po’ il busto lungo, però aveva una grande forza muscolare. Un altro un po’ così era Rominger. Rominger era così. Una grande forza… Adesso non ricordo il termine, la capacità del muscolo di… attivarsi, la capacità del muscolo di sviluppare più forza, nella singola parte del muscolo. Rominger aveva una forza…».

- Tu eri in squadra con Rominger al Giro ’87. Quindi sei stato anche avversario della Carrera di Visentini e Roche.

«Sì però per me l’87... Ecco il Rominger era uno che teneva… Alla decima tappa saltava. C’è poco da fare».

- Fisiologico, proprio.

«Era fisiologico perché lui aveva...»

- Un momento: di che periodo parliamo?

«Di quando era con me».

- Hai capito cosa voglio dire? Perché ci son stati "due" Rominger, uno prima e uno dopo…

«Sì, sì, va bè. Però il primo Rominger era così. Lui aveva una grande forza muscolare, aveva una forza, quel ragazzo lì, che veramente... La capacità di… Però cinque-sei giorni, poi si "intossicava", non recuperava più questo sforzo. Difatti con noi alla Château d’Ax e Supermercati Brianzoli, poi, dopo, alla decima tappa saltava. Sistematicamente. Però ti vinceva…».

- Quindi uno buono per il Romandia che durava una settimana [ne ha vinti 2, 1991 e 1995 nda].

«E la Tirreno-Adriatico [ne ha vinte due, 1989 e 1990, nda]. Quelle corse lì le vinceva, e dopo no. Dopo, a parte che lì è arrivato tutto un altro discorso… Io non posso neanche buttarmi dentro. E dopo ha vinto tre Vuelta, però...». [1992, 1993, 1994; due Lombardia 1989 e 1992; e il Giro nel 1995; nda]

- Per non parlare del record dell’ora. Era diventato un altro corridore.

«Ma anche il Roberto era forte, era forte. Era forte. Era forte lui, così».

- Mi hanno raccontato tutti che Roberto aveva paura a correre nella pancia del gruppo, quindi prendeva tanta di quell’aria…

«Lui stava a destra. A destra. Decima posizione sulla destra. Bordo strada. Era sempre lì. Partiva la tappa, era lì. Se te lo volevi trovare era lì: decima posizione a destra. Non stava in mezzo».

- Ma per paura magari delle cadute? Per cosa? Aveva paura di stare a ruota…

«Ma non era neanche un tipo che aveva paura, per dire, perché in discesa sapeva andarci. E non ha mai avuto, che possa pensare io, delle grosse cadute…».

- È stato sfortunato. Al Giro ’86, che poi avrebbe vinto, aveva cominciato con lo scafoide destro rotto; e l’anno dopo, nella penultima tappa, è caduto a Pila e se lo è rotto un’altra volta. Allora, scherzando col dottor Tredici, disse: L’anno scorso ho iniziato il Giro col braccio rotto, quest’anno l'ho finito. E quella caduta - per qualche maligno addirittura "tattica" gli è pure costata il podio. Voi quell'anno lì correvate per Rominger, per fare classifica, no?

«Nell’87?».

- Sì, come avete vissuto quel Giro?

«Rominger è saltato a Foppolo, alla decima tappa, più o meno…». [Claudio forse qui si confonde: nel Giro ’86 la tappa Erba-Foppolo era la 16-esima, vinse Muñoz e Visentini strappò la maglia rosa a Saronni e alla fine chiuse 97esimo in classifica generale; nell'87 si ritirò: non partì alla 18esima tappa; nda]

- E dopo quindi avete fatto corsa per vincere una tappa?

«Sì. Dopo ha vinto la tappa che si faceva il Passo San Marco, forse ha vinto la tappa che si faceva il passo san marco ma perché era già saltato. E io invece, l’87, non sono andato… Avevo grosse… Ho vinto il Giro del Trentino».

- Ma a parte quello, è stato il tuo anno nero?

«No, ho vinto il Giro del Trentino prima del Giro d'Italia e quindi avendo fatto… Essendo arrivato quinto l’anno prima, ero campione italiano da due anni consecutivi, secondo al mondiale nell’84, ’85 e ’86 vinco l’italiano, faccio quinto al Giro, ero uno dei favoriti nell’87. E c’era l’articolo della Gazzetta: “Corti re del Trentino e adesso il Giro”, no? Invece son saltato».

- La cronosquadre a Camaiore di 43 km. La Carrera andò fortissimo.

«Sì, sì, noi l’anno prima eravamo andati molto forte, a Taormina. Qua, un po’ meno».

- Voi ottavi a 1’43".

«Sì, sì. Abbiam preso una legnata...».

- Chi c’era in ammiraglia, Gianluigi Stanga, vero?

«C’era Stanga, sì».

- Stanga, dopo quella tappa di Sappada, fu molto duro con Boifava, lui e altri diesse quasi lo prendevano in giro Boifava…

«Sì, ma loro due son sempre stati amici-rivali no? Stanga e Boifava. Boifava con una carriera professionale, Stanga no, non ha mai fatto… Ha corso fino a dilettante, però alla fine erano anche amici, però probabilmente lo ha anche criticato…».

- Tu che poi sei stato direttore sportivo e oggi sei a capo dei diesse, come valutavi in corsa, in gruppo, il comportamento di Boifava? Perché lui comunque era tra due fuochi: da una parte aveva la maglia rosa, e il Giro doveva pur portarlo a casa, no?

«Sì, ma guarda che in corsa le macchine facevan poco all’epoca, eh. Non facevano così tanto».

- Non c’erano le radioline.

«Non c’eran le radio. Allora, io mi ricordo una Tirreno-Adriatico, perché io ho corso fino all’89, [nel] ’90 ho cominciato subito a fare il direttore, perché già lo facevo un po’ in squadra io, no?».

- Eri una specie di regista in corsa come lo è stato a lungo Bennati per Cassani ,in nazionale per dire? Una specie di braccio destro su due ruote.

«Ecco. Sì, non lo so… Non lo so Bennati cosa abbia fatto. Però diciamo che in squadra io… Ero un po’ io che decidevo, che muovevo un po’...».

- Forse un Paolini è più calzante? Uno che tira un po’ i fili…

«Ecco. E mi ricordo che nel ’90, Tirreno-Adriatico, avevo Rominger. Era uno-due mesi che ero direttore, perché si cominciava al Laigueglia e la Tirreno-Adriatico era dopo un mese».

- Subito tu in capo da solo o avevi qualcuno che ti faceva da guida?

«No, va bè, eravamo io e Stanga, però adesso non mi ricordo... Mi ricordo che lì alla Tirreno-Adriatico... Forse lui era alla Parigi-Nizza, non lo so… Mi ricordo che alla Tirreno-Adriatico va via una fuga, lì sulla Costiera Amalfitana, da Sorrento andando in su. Da Sorrento andando verso Salerno, quindi andando in giù, comunque va via ’sta fuga di cinque-sei o sette, c’era dentro Phil Anderson, l’australiano, cavoli…».

- Uno dei capitani alla Panasonic…

«Sì, sì, c’è via Phil Anderson. 'orco cane, allora qui bisogna tirare, bisogna tirare, bisogna tirare. E poi bisognava andare a dirglielo ai miei, perché io avevo Rominger. Era il primo giorno. Il problema del primo giorno delle gare a tappe è che, se non c’è uno che è favorito..., Oggi succede di rado, però se non c’è uno che è favorito, una squadra che prende in mano la corsa, la fuga va e te rischi di perdere. Io avevo Rominger, uno dei più forti. Poi quel giorno lì sì arrivava a Monte Ravello, sopra Amalfi e allora, cavoli, devo far tirare. Allora con la macchina potevi andare fino all’ultimo, no? Fino al primo della tua squadra che trovi. Poi da… E vado avanti, vado avanti ma eran già là un po’ davanti, non eran tanti… E mi ricordo che ho dovuto risalire quasi tutto il gruppo, sulla Costiera Amalfitana, dritto così, per dirgli di andare.. "Oh, bisogna chiudere e basta, non voglio palle…". E una delle poche volte... Però non sempre riuscivi andare a parlare. Cioè: lì ho fatto un’impresa, io, no? Con l’inesperienza che avevo, magari... Però avevo l’esperienza di stare in gruppo, con i corridori. Perché il gruppo era un po’ in fila, son riuscito a passare, andare a comunicare. Boifava, quindi, cosa poteva fare lui lì? Cioè: oltre alla difficoltà e poi anche le palle di prendere la decisione, eh,, devi mettere tutto… Tante volte non ce la fai, non sai cosa fare, non son riuscito a passare...».

- È andato un po’ nel pallone, secondo te?

«Poi, ecco, anche non riuscire a passare. Perché non sai cosa fare, cioè… Capito? Eh, non riesco a passare, ecco, io adesso non lo so bene ,il frangente di Sappada. Perché io l'ho anche rivista in televisione la tappa, ogni tanto fan vedere - ultimamente un po’ meno - su RAI Sport… E mi ricordo che mi son visto, che mi son staccato, quindi io non ero là proprio sul pezzo. Non ero sul pezzo. Mi ricordo di quando Roberto è sceso dalla bici, lì sotto, Val Gardena, no? In Val Gardena è sceso dalla bicicletta, è sceso dalla bici, ha buttato via la bicicletta».

- Ma adesso ti riferisci al Giro dell’84?

«Sì».

- …con Battaglin che l’ha (ri)portato su.

«Voleva segare la bicicletta in due,. L’ha segata in due».

- L’ha data nelle buste a Davide. Adesso, toh, corri te, gli ha detto. Quell'episodio però risale a fine stagione '84. Invece, lì a Sappada, perse 6’47”…

«Sì, sì…». [ride, nda] 

- E sotto il palco, all'arrivo, disse: "Stasera qualcuno va a casa". Poi la sera sono arrivati in albergo i Tacchella. Tra l’altro in quei giorni a Venezia c'era Ronald Reagan per il G8, quindi i Tacchella per motivi di sicurezza non li fecero atterrare lì con l’elicottero. Dovettero atterrare lontano e poi prendere una macchina, arrivarono in albergo la sera tardi. A te che c'eri chiedo invece se, anche i giorni dopo, prima che ti ritirassi, cosa si diceva in gruppo?

«Io probabilmente ero un po’ preso dal mio scarso rendimento. Non è che so molto sulla lotta tra loro due. Però guarda che Roche, quell’anno lì, ha vinto Giro, Tour, mondiale. Ha vinto tutto».

- Non solo: aveva fatto una gran Parigi-Nizza e forato nel finale; aveva vinto il Romandia, la Volta Valenciana e buttato via la Liegi facendosi da beffare, lui e Criquielion, dalla rimonta di Argentin. Era un Roche super, poi… Quanto e come "super" magari…

«Sì, sì, sì. Perché, non si sa».

- Eh. E poi c’era quest'altro aspetto. Negli anni dispari andava bene: nell'81 aveva vinto la Parigi-Nizza 21-enne, più giovane di sempre nel dopoguerra, dopo tre settimane da pro’; aveva fatto terzo al Tour ’85, e difatti Boifava lo prese proprio per puntare al Tour. L’87, l'anno d’oro con la tripletta riuscita solo a Merckx nel '74; nell’89 si è ripreso; poi, nel '92-93, è tornato alla Carrera ma non era più lui. Gli anni pari, un dramma. Gli infortuni, le cadute, le operazioni: ginocchia, schiena, la tendenza a ingrassare…

«Eh, sai, anche noi... Ovvio la reazione di Roberto è un po’ magari… Anche… E anche magari legittima perché avendo vinto il Giro l’anno prima…».

- E avendo la maglia rosa…

«Avendo i gradi di capitano. Perché comunque è ovvio che doveva essere lui, in una gara qua in Italia, al Giro d’Italia, era campione uscente, no? E quindi sicuramente là è saltato, lui lì saltava di nervi, lì è la tensione nervosa che l’ha fatto saltare, poi…».

- Se fosse rimasto calmo, avrebbe avuto ancora tutto il tempo per...

«Eh, va be’. Ma tante volte quelle reazioni lì è anche il capire che non ce la fai. Cioè: capisci anche che non ce la fai, no?».

- Infatti non può essere solo per quello se è saltato, no?

«Sììì, sììì…».

- Prendere sette minuti in una salita dura ma non durissima come quella di Sappada...

«Eh, per i nostri tempi era già una bella salita».

- Ah sì?

«Sì, sì. Ci voleva già il "23" o il "24", per noi. Era già una bella salita».

- Per qualcuno l’errore di Boifava è stato di andare a dire a Leali che dovevano tirare per andare a chiudere il buco, invece di far lavorare i Panasonic. Roche sostiene di essere andato in fuga con Salvador per dare una svegliata ai “Panasonic” e che lui voleva solo vincere la tappa. Ma in realtà non ce n’era il bisogno, no? Perché se tu hai la maglia rosa in squadra, stai vicino al tuo capitano. Roche dice che c’era questo patto alla Carrera: Visentini, io ti aiuto al Giro; tu però poi mi aiuti al Tour. Ma secondo Roche pare che Visentini in un’intervista abbia detto: No, no, io al Tour non ci vado. Narra la leggenda che lui abbia detto una cosa del tipo: io a luglio me ne sto con le balle a mollo. Roberto però insiste che 'sta frase non l’ha mai detta. Sai, Roche aveva più gamba, non poteva fidarsi e allora…

«Può darsi che l’abbia fatto intendere, no? Roberto non era il tipo a cui piaceva correre tantissimo».

- Soprattutto: per gli altri.

«Ecco. Può darsi che una affermazione di questo tipo gli possa essere uscita, o ha fatto capire che avrebbe potuto anche fregarsene. Però lì lui, secondo me, ha capito che l’altro andava. L’altro ha fatto un po’ i cavoli suoi, certo, è ovvio. Eh, guarda, abbiamo avuto anche noi il problema tra Moser, Baronchelli quando, l’anno prima, a Foppolo, il giorno dopo, non è partito. Non è partito. Non sappiamo, ancora adesso, perché. Perché - si dice - lui la sera ha sentito... Eravamo in un alberghetto di montagna, con quelle pareti lì, di legno, che scricchiolano, e il pavimento... Pare che abbia sentito Stanga fare dei commenti o delle considerazioni, si pensa, su di lui. Perché quel giorno lì aveva preso la maglia rosa Visentini.. Però noi non abbiam vinto nemmeno la tappa. Ero davanti io, c’era Moser e c’era Baronchelli e la tappa l'ha vinta Muñoz, uno spagnolo che correva per la Fagor, secondo Visentini, terzo Baronchelli. E può darsi che Stanga abbia fatto un commento - era arrivato il Franchini, il titolare della Supermercati Brianzoli -, che abbia detto qualcosa. Non è partito. Ho avuto il problema Simoni e Cunego io a…».

- Chi meglio di te mi può dire dei due galli nel pollaio…

«Simoni e Cunego a Bormio 2000. Eh lì avevo la fortuna, anche, di aver lì il presidente. Io son riuscito a "riappacificare", già la sera a cena, la cosa».

- Com’era l’atmosfera in albergo? Pesantina? Perché il Gibo è…

«Pesantissima. Pesantissima, pesantissima… Eh, perché, sai, quando uno c’ha la gamba che va è difficile fermarlo. Cioè il Roche che c’ha la gamba che va, come fai a fermarlo?! Cioè: non è così facile, eh. Cioè, nell’analisi…».

- Quindi un po’ lo capisci Boifava? Ti ci rivedi perché anche tu hai vissuto quelle situazioni lì?

«Sì, sì».

- Da una parte hai il proprietario che dice: oh, qua il Giro bisogna portarlo a casa…

«Bisogna portare a casa il risultato. E la cosa si può capire. Anche lì, Simoni andava un po’ meno e Cunego è andato. Dopo, lì, la discussione non è stata sul vincere il Giro, perché Simoni ha proprio favorito la vittoria di Cunego. Perché la tappa in cui ha attaccato… La salita forse anche… Che salita era? Forse ancora no, non era… che è andato via Cunego e noi avevamo davanti anche il Mazzoleni e il Tonti. Forse poi li abbiam fermati, han tirato, poi il Cunego è arrivato da solo. Però il Simoni era dietro, era lì col Popovich e non riusciva a saltarne fuori. Però quel giorno lì, Cunego ha attaccato e Simoni ha detto: Tutti fermi, lasciamo… Lavorino gli altri se vogliono, e il Cunego s’è preso la maglia. Poi il Cunego ha dimostrato, in tutte le salite, che andava di più. Aveva vinto già a Monte Vergine…».

- E aveva 21 anni…

«Sì, a Bormio però Simoni, che era terzo in classifica, voleva almeno vincere la tappa. Il fatto di non esserci riuscito ha scatenato… Perché prima ha aiutato Cunego, poi quel giorno lì, comincia la salita di Bormio: dai, attacca, vai via; lui va via, guadagna trenta secondi, poi dietro tirava il Gonchar, tiravano… E lui sta lì, a trenta secondi, tirava il Gonchar perché era terzo Simoni, secondo… e ’sto Simoni non guadagna, non guadagna, non guadagna… Però non ce la fai. A un certo punto gli siamo arrivati sotto. Quando gli siamo arrivati sotto, lui gli ha detto di tirargli la volata, al Cunego. Quando è partito a far la volata, Cunego l’ha levato di ruota e ha vinto. Questo qua [Simoni, nda] è andato giù di testa. Ma è la mancanza anche di… Quando uno è superiore… Adesso io non voglio dire che lì… Però il resto del Giro ha dimostrato che Roche era superiore a Visentini. O no?».

- Eh, qua ci sono le due campane. Visentini dice: macché superiore, nella cronometro di San Marino gli ho dato tre minuti.

«E in salita? E in salita?».

- E poi il carattere è fondamentale. Almeno quanto le gambe.

«Poi il carattere è quello lì…».

- Chiappucci giustamente mi ha detto: eh, però Roberto si è staccato, io invece magari “morivo” in bicicletta ma non mi staccavo.

«Sììì. Lì lui ha avuto una crisi. Una giornata di crisi o comunque quella tensione lì che gli ha fatto anche mollare la cosa».

- La Carrera era anche un po’ spaccata, no? Perché poi alla fine, è un lavoro, contano i soldi, quindi un po’ di compagni parteggiavano per Visentini, un po’ per Roche…

«Chiappucci era con Roche. Eh-eh... [ridacchia, nda] No?».

- Infatti quando Roche nel '92-93 è tornato in Carrera gli ha dato una grossa mano, me l’ha detto lo stesso Claudio, eh. Il punto però è questo: tu sei il direttore sportivo, se hai un gregario come Schepers che non rispetta gli ordini di squadra e aiuta Roche perché il prossimo anno se lo porta alla Fagor, e lo fa guadagnare, come ti comporti? È difficile, diventa…

«Ma sai, lì bisogna vedere il momento. Bisogna vedere i rapporti che hai con gli sponsor. Bisogna vedere coi Tacchella. Perché poi il Davide, così, adesso non sono io che posso… È uno che comunque prima di prendere una decisione si consulta, cioè… Non è di quelli che dicono: No, così, fora de cojoni tüt. È più…».

- Non è un Ferretti, ecco…

«Ecco, non è un Ferretti. E quindi…».

- In un’altra squadra, magari con - che so - un Reverberi, un Ferretti, che cosa sarebbe successo? Perché, sai, Boifava è uno molto pacifico, molto…

«Sììì, sììì, molto pacifico».

- Che forse è una dote, eh. Perché ci vuole intelligenza...

«Ci vuole una dote, è una dote anche quella lì, eh. Anch’io, nel mio piccolo, con Cipollini ho dovuto fare un po’ così. Perché col Cipollini, cosa fai? Litighi tutti i giorni, eh».

- Sì, devi essere un po’ diplomatico.

«Devi essere un po’ diplomatico. L’importante è che, quando ti serve, sai tirar la corda. A me è successo. Ti concedo questo... Andiamo in Namibia ad allenarci, vai in Namibia ad allenarti. Paga l’aereo, paga l’albergo. Dopo, andiamo di qua… Eh. Il giorno dopo, voglio queste ruote, per la Milano Sanremo. No. Nel giorno della Milano Sanremo si usan le ruote nostre. Punto e basta. Cioè: capito?».

- Devi capire anche tu dove puoi tirare e dove puoi lasciare…

«Devi. Ecco, cioè: anch’io non voglio dire che io sono… un Ferretti. Non credo di esser stato un Ferretti. Quando devi mollare, un po’ devi mollare. Però quando devi tirare devi tirare, eh. Quando devi importi devi importi…».

- Non è un lavoro facile.

«Quindi in quel caso lì... Poi, dipende. Con Schepers, in dati frangenti, sai, un po’ una volta, oggi puoi anche permetterti di… A parte che oggi se fai una cosa del genere, il procuratore ti vien contro, l’Associazione corridori…».

- È tutto in tv, nei social…

«Non è facile neanche al giorno d’oggi, no? Diciamo che al giorno d’oggi rispettano un po’ di più le consegne. Oggi le rispettano di più».

- Nel ciclismo dell’SRM, delle radioline, una “Sappada” oggi sarebbe possibile? Al Tour, nel 2012 Froome e Wiggins, o nel 2017 Landa e Froome, c'erano due galli nello stesso pollaio; l’altro magari aveva più gamba però la squadra aveva deciso: vince questo, lavoriamo tutti per questo.

«Oggi guadagnano tanti più soldi, e i soldi ti fanno stare in riga».

- Le fanno quelli le gerarchie.

«Ti fan stare in riga un po’ di più. Perché se te mi prendi 800 mila euro netti, insomma, ti dicono stai lì, stai lì. Cosa devi fare? Una volta l’altro prendeva…».

- Le cifre che mi hai detto.

«Eh, capito? Prendeva magari 60 milioni, 100 milioni… Io mi ricordo, così, adesso non è una cosa perché non posso dirlo io, il Bugno prendeva 120-130 milioni. Dopo, nel ’90, quando aveva vinto le corse importanti, dopo è andato su. Però, nel ’91, così, prendeva quei soldi lì, dopo è andato anche… Va bè, i compensi, anche nel calcio van sempre su. Dopo è andato anche lui a 300 e qualche cosa… Quindi anche quegli anni lì si parlava di soldi così, uno c’ha l’opportunità, va…».

- Ma anche Roche aveva più tavoli aperti: con la Panasonic, con la Fagor…

«Sììì, sììì».

- Negoziava per il rinnovo con la Carrera, che invece dopo un anno di infortuni voleva ridurgli lo stipendio. Ma lui l’anno dopo si porta alla Fagor i fedelissimi – Millar, Schepers – e gli danno cifre pazzesche, i baschi. E Boifava che invece gli dice: Guarda, io a queste cifre non ti posso tenere.

«Sì, sì. Sì-sì, è così. Oggi io credo che non succederebbe. Primo, per il discorso economico: son pagati bene anche i luogotenenti, neanche "gregari"; e secondo, perché a tavolino un po' sanno già anche se il capitano è forte o non è forte. Quindi: se è forte, anche se te… sanno già chi è più forte. È un po’ più scientifico, il ciclismo di oggi, un po’ più studiato, un po’ più preparato e quindi… A me tante volte mi giran le balle, no? Per dire: questo qui va così tutto l’anno, ho preparato il Giro d’Italia, arriva il Giro d’Italia, e lui va forte. Ma dove cavolo sta scritto? Cioè… Ma non c’è nessuna preparazione che ti permetta di essere sicuro di essere al 100% lì. Ma questo l’ho sentito da diversi. Okay, ti prepari e vai bene. Però questi qui non sbagliano mai un colpo, eh. Non sbagliano mai un colpo. Però tant’è: sanno quando uno va forte o no, quindi se è "destinato" quello lì, è "destinato" quello lì. E non succede il… il disguido o il comportamento…».

- Non ti diverti più con questo ciclismo? O magari lo guardi solo a venti km dalla fine?

«Nooo, io non mi diverto tanto. Non mi diverto perché non si stacca più nessuno. Cioè: io non lo concepisco il fatto che, con tutte queste salite, non ci siano distacchi. A parte che corrono malissimo. Corrono malissimo, dal punto di vista tattico, io vedo delle cose…».

- Fammi qualche esempio.

«Ma anche il Contador, anche il Contador medesimo. Con tutto l’entusiasmo e il gusto che c’ha di correre e tutto. Ma fa di quelle cose in corsa che… Ha fatto di quelle cose, di quegli attacchi, di quelle cose senza senso. E lui ha vinto il Giro d’Italia nel 2015, faceva Giro e Tour. Vince il Giro e lui va a fare la Route du Sud, prima del Tour. Va a fare la Route du Sud, siamo là anche noi col Team Colombia a… Forse le ho appena cancellate quelle foto lì, le ho cancellate, porca miseria, va bè. Due tappe normali e son tre tappe con la semitappa e l’ultimo giorno c’è la tappa bella, no? Una tappa bella. Quintana, quaranta giorni che non corre, viene alla Route du Sud, perché non ha fatto il Delfinato. Vanno a fare 'sta salita lunga, e Contador comincia a scattare. Comincia a scattare per staccare Quintana. Cioè: ma te dimmi… ma te dimmi. Alla Route du Sud. Io, Contador, che ho vinto il Giro d’Italia, quindici giorni prima, mi metto a scattar in salita per staccare Quintana?! C’eran lì anche i miei, è per quello che mi ricordo bene. C’erano [Fabio Andrés] Duarte e [Miguel Angel] Rubiano, no?».

- Ma chi c’era in ammiraglia per Contador?

«Non so chi c’era in ammiraglia».

- Chi decideva?

«Non lo so. Ma lì, una cosa assurda. Ma dopo, abbinate a queste, c'erano tante volte che correva così male. Continua a scattare per staccare Quintana. Allora: io ho vinto il Giro d’Italia, no? Quindi sto sgambando per tornare al Tour per fare la doppietta. Se ha voglia sarà Quintana che… Invece scattava lui, “allenava” Quintana che è quaranta giorni che non corre per… E gli ha fatto vedere – a Quintana – che, dopo quaranta giorni che Quintana non correva, Contador non riesce a staccarlo. Pensa il morale che gli ha dato a ’sto ragazzo, il signor Contador. Alla fine, scatta e riscatta, alla fine gli è andato via il Quintana e ha vinto la tappa Quintana. Neanche ha vinto la Route du Sud e si è fatto staccare. Cioè ma… Capisci? Ma chi… Ma il direttore deve dire: ma te sta’ lì a ruota, che vada Quintana a fare quello che vuole. E tante corse ancora, che fa degli attacchi fuori del momento, no? Capisco, dopo tutti in televisione dicono: che lottatore, sì, ma corre malissimo. Corre malissimo».

- Dimmi un’altra cosa da direttore sportivo: tu avevi queste piccole squadre e riuscivi comunque a reggere il gioco con le grandi. Quanta distanza c’era tra le top team e voi allora e quanta ce n’è fra le grandi e le piccole-medie di adesso?

«Eeehhh, è tanto. Perché, dei miei, i corridori che prendevan più soldi prendevan 120 mila euro. [sorride, nda] Loro, i gregari, prendevan 500 mila. Per cui la differenza è tanta, no? Perché se ce l’avevo io è perché gli altri non l’han voluto, al di là che fosse colombiano o no. E però la differenza è tanta. La differenza è tanta ed è difficile combattere con questa gente. Quindi… sempre di più si sta allargando, questa differenza. Si sta allargando. Difatti vedi che anche ai grandi giri le squadre Professional non vincono più».

- Poi, se ci fai caso, tutti i grandi team o i grandi sponsor - a parte il Team Sky [poi Ineos e oggi Ineos Grenadiers] che è un pianeta a sé - sono tutti enti o emanazioni statali o parastatali. La Movistar, la FDJ, la Lotto in Belgio, la Katusha…

«La Lotto in Belgio, la Française des Jeux, la Katusha, l’Astana…».

- La Bahrain-Merida [dal 2020 Bahrain-McLaren, nda], la UAE, cioè sono degli imperi…

«Sì, non è un bel momento, eh».

- La Carrera ai tempi era già avanti. Ma la distanza tra le grandi e le medio-piccole non era così abissale. Adesso si parla di budget da 35 milioni di euro l’anno.

«Nooo, non puoi, non puoi più competere. Ed è una brutta cosa perché se cede qualcuno di questi, non so come fa... Anzi, son stati bravi a resistere fino adesso, perché...».

- Per dirti, ai giorni nostri un team come la Bardiani per andare al Giro ha la wild card. Nel ciclismo di trent’anni fa sarebbe stata una squadra media, oggi invece è la cenerentola della carovana.

«Sì, sì, la forbice si è allargata talmente tanto che non c’è più storia».

- Voi, come associazione dei direttori sportivi, che cosa potete fare ? Se si può fare qualcosa…

«No, va bè, lì, a livello di associazione, non c’è più niente. Le squadre che c’eran, perlomeno ai tempi... Era un’associazione di Gruppi Sportivi che era stata voluta, qui in Italia, dal povero [Danilo] Furlan, il titolare della MG, con Ferretti. E c’era un’associazione. Per degli anni abbiam trattato con [Carmine] Castellano, con uno o con l’altro, però c’era già un’omogeneità di valori tra le squadre. Oggi in Italia non c’è più niente, non c’è più neanche l’associazione. E a livello internazionale, una associazione che aveva funzionato abbastanza bene - la AIGCP (Association Internationale des Groupes Cyclistes Professionnels) - adesso è crollata definitivamente. È crollata definitivamente, forse, anche per gli interessi diversi che le squadre hanno. Una volta c’era veramente da lottare sul regolamento, sulle partecipazioni. Oggi non c’è più niente di tutto questo. Il regolamento: l’UCI fa quello che vuole, da quando è partito il World Tour continua a fare, cambiare e disfare. E quindi anche l’associazione internazionale AIGCP... Adesso poi son nati quei movimenti lì, quei sotto-movimenti dell’Associazione, come quel gruppo lì...».

- Quello del comitato etico?

«Sì, l’ENPCC è già un’altra cosa. Ma l’altro gruppo, quello che vogliono fare loro la produzione delle corse. Com’è che si chiama quello lì? C’è un gruppo, lì, adesso non mi viene il nome... Sì, che c’è dentro la Etixx, c’è dentro... Han fatto già una gara loro. Vogliono organizzar le gare. Sono otto-nove squadre, dieci, che si sono associate tra di loro. Adesso non mi viene il nome... Han fatto una gara che han organizzato loro, però non mi ricordo. Va bè. E quindi il discorso associativo non c’è più. E i piccoli [ride amaro, nda] van sempre peggio, no? Pensa te, io son stato nella Commissione strada della UCI, però, anche lì… Cioè, te dimmi perché si deve chiamare World Tour, la squadra? L’altra si chiama Professional Continental e l’altra Continental. Togliamo la parola “Continental” a quella lì. Non son riuscito a farla togliere».

- Perché?

«Si fa confusione - no? - fra Professional Continental e Continental. Allora: tra l’altro sono World Tour, Professional Continental e Continental, no? Non son riuscito a far togliere il nome. Ma per dire, no? Però l’UCI fa un po’ tutto quello che vuole. Adesso non so con…».

- …David Lappartient?

«Con Lappartient. Con quello che andrà. Però lì c’è un problema: prima era sì concentrato nelle mani di [Hein] Verbruggen, quando c’era qualcosa da cambiare discutevo. M’ha chiamato diverse volte, Verbruggen a me, perché Ferretti e io – Fassa Bortolo e Saeco – eravamo contrari al progetto World Tour. Perché era un progetto che stava in piedi solo sulla forza economica della squadra più che per le capacità gestionali».

- E infatti è stato - ed è - così.

«Eravamo contro e io son contro ancora adesso. E Zappella, quando lo trovo, ci vediamo due-tre volte l’anno, se parliamo di queste cose, è ancora di quell’idea: che non va bene, il movimento. Però parlavi già direttamente con… Ci sono commissioni, sottocommissioni, questo e l’altro e quell’altro. Non si capisce più niente. Tutti decidono. Però le cose vanno - a mio parere - anche un po’ troppo a ruota libera. Chi ha un po’ di forza porta avanti qualcosa».

- Dave Brailsford quindi fa un po’ il padre-padrone? Perché lui è uno che muove parecchi soldini. E questo può anche dar fastidio a qualcuno…

«È uno che non mi piace tanto… [sorride, nda] Non mi piace. Guarda, ti dico: anch’io nel mio piccolo… Io ho conosciuto Brailsford: 2007, io ho fatto il Tour 2007, che partiva da Londra. Io lo devo anche ringraziare Brailsford, eh. Con la Barloworld abbiamo fatto il Tour. Io avevo due inglesi [Benjamin Swift come stagista e Geraint Thomas, nda]. Però la squadra era bella. E siccome la Barloworld aveva una società di gestione... Non era mia la società di gestione, era di Barloworld e per motivi di lingua l’abbiamo fatta in Inghilterra. Non era un motivo economico, eh. Non era… Non ero io… Difatti quando poi la Colombia l’ho presa io, l’ho fatta in Italia la società. Ma non ero io l’amministratore, io ero il manager, prendevo il mio compenso. E quindi, essendo in Inghilterra, ci siamo appoggiati alla federazione inglese. C’era [Brian] Cookson, e sono stato a Manchester io con il manager…».

- Sei stato al centro tecnico federale di Manchester?

«Sì, a parlare con Cookson e Brailsford. È stato lì che a lui è venuta l’idea... di fare la squadra di ciclismo, capito? [ridacchia, nda] E noi siamo andati al Tour grazie anche un po’ all’appoggio della federazione [inglese]…».

- E dov’è invece che le vostre vedute hanno cominciato a dividersi?

«No, dopo, va bè…».

- Perché hai detto che Brailsford non ti piace tanto?

«Perché… Per stupidate…Probabilmente [perché] noi siamo latini e loro sono anglosassoni. Però…».

- L’approccio è molto diverso. Ho visto come lavorano loro e come lavoriamo noi, sono due mondi lontani. Non è che uno è meglio e l'altro è peggio. Ci sono pro e contro di qua e di là. Loro sono bravi in tante cose, ma in tante altre… Loro hanno il plan, e per loro è sacro. Se però c’è un granellino di sabbia che si infila nell'ingranaggio, non capiscono più niente. Noi invece abbiamo la mentalità di dire: oh… [neanche mi fa finire, nda] 

«Però noi ne tiriamo via dieci di granellini…». [sorride furbetto, nda]

- Sì però il mondo va nella direzione opposta.

«Sì, sì, certo. Sì-sì, ma non sto criticando».

- Noi invece stiamo sempre ad arrancare. Sappiamo che ogni anno nelle stesse date ci sono il Giro, il Tour, la Vuelta e siamo lì, fino all’ultimo giorno, e ancora non sappiamo, non facciamo... Ci riduciamo sempre all’ultimo momento. Loro programmano, pianificano. E ci mettono il grano. La differenza è che ci mettono il grano. Grano "vero".

«Lui è stato bravo a trovare questi sponsor, questi imprenditori, questi investimenti, che gli han permesso di fare… queste squadre così importanti. Però senza nessuna esperienza. E ha fatto, i primi tre anni, buchi nell’acqua. Buchi nell’acqua su buchi nell’acqua. Per inesperienza».

- Però loro cercano di imparare dagli errori.

«Poi hanno… Dopo è riuscito a mettere a punto il tiro. Non credo tanto nella sua lotta al doping come sbandiera e manifesta. Addirittura è arrivato al punto di cacciar via un direttore sportivo [Sean] Yates, che aveva ammesso di aver fatto uso di EPO».

- Ti ricordi quando Brailsford aveva preso l’ex medico della Rabobank, Geert Leinders?

«Sì. Sì-sì. Quindi la lotta al doping si fa veramente. Io ho provato a non tenere dei ragazzi che mi facevano paura. Io ho una intervista che ho fatto con Philippe Brunel su L’Équipe. E alla fine, la conclusione, perché ormai adesso è il quarto anno, va bè... Però il periodo del Tour mi chiamano sempre tutti, no? E qui e là e ritorna di moda. Però, secondo anno, terzo anno che [Chris Froome] vince e anche primo anno, proprio mi tartassavano, no? E allora la conclusione dell’intervista con Philippe è stata: tutti dicevano è pulito o non è pulito? Ma è pulito? Ma come andava quando era con te, ma come non andava? E io posso dire diverse cose perché con me al Tour nel 2008 è arrivato 14° all’ultima cronometro, dopo venti giorni, una cronometro vinta da Cancellara [dopo squalifica per doping di Stefan Schumacher, 53 km da Cérilly a Saint-Amand-Montrond, nda]. E questo ragazzo a posto – perché con me era a posto, non avevamo dietro una mezza medicina; e dopo venti giorni, anche se hai fatto qualcosa prima, comunque hai “smaltito”, non ti fa più il beneficio – è arrivato 14°. Quindi qualcosa ha, ’sto ragazzo. Il Froome c’ha qualcosa. Dopo, mi ricordo che ho fatto un’intervista, tirando acqua al mio mulino, ovviamente. Mi ricordo che al ritrovo di partenza c’erano tante piante, dei pini, così, con Corriere della Sera, chi è, [l'inviato Marco] Bonarrigo? E dopo l’ha anche scritto che ho detto: "Va bè, questo Froome un giorno può anche arrivare nei primi cinque al Tour". L’ho detto. Ovviamente l’ho detto tirando acqua al mio mulino, perché se io devo trovar sponsor devo anche "vendere"… Però, per dirlo, insomma non son mia rincoglionito neanch’io a dire che… un brocco può arrivare nei primi cinque al Tour. Quindi qualcosa c’ha. Però il succo del discorso, alla fine... Dopo, dicono: ma i test, ma i test? Io dico: chiama il dottor Mantovani. Perché io i test ce li ho, però il dottor Mantovani... Perché io non li capisco neanche. Alla fine ho detto: "Se credi in Brailsford, credi in Froome". Tutto lì il discorso».

- Gliel’hai messa giù…

«Gliel’ho messa giù dura. Ma ho la foto de L’Équipe, eh. Con questo titolo. Se credi in Brailsford credi in Froome. Cioè: io posso "giudicare" il ragazzo, però devi credere in Brailsford. Perché se Brailsford accetta, se tu hai fiducia in Brailsford, hai fiducia anche in Froome. Sennò deve essere il manager che allontana il corridore. Io non ho tenuto due corridori nella Barloworld. Nel 2008 li ho eliminati perché mi facevan paura e uno l’han beccato positivo, l’anno dopo, alla Katusha, l’austriaco [Christian] Pfannberger. Però io, cavoli…».

- E l’altro chi era? 
[lo spagnolo Moises Duenas fu trovato positivo all’EPO nel 2009, alla vigilia della undicesima tappa del Tour, quando ancora era alla Barloworld, nda]

«Sta corricchiando ancora, è meglio di no… Però io non l’ho tenuto. Cioè, capito? Però lì bisogna anche capire ’sto Brailsford da che parte sta. E quindi, dopo, combattere con 'sta gente non è facile... 

[Corti ritrova il pezzo de L’Équipe, il titolo me lo legge lui: “Se noi vogliamo credere in Froome allora occorre prima credere in Brailsford”, nda]

- Bel titolone. Loro poi son bravi…

«Questo qui durante il Tour, eh».

- Eh be’, d’altra parte gliel’avevi servita bene…

«Eh, non sono tanto amico di Brailsford. Va bè, amen».

- Ma c’è stato qualcos’altro con Brailsford? Quando dici non mi piace: non ti piace perché?

«Ma no, piccole cosettine. No, va be’…».

- Preferisci non parlarne. Okay.

«Piccole cosettine. No, va bè, piccole cosettine, così…».

- Stai parlando di corse o anche di cose extra-ciclismo?

«Nooo. Io, devo dire, che quella partecipazione a quel Tour lì... Io lo dico, posso dire che comunque il coinvolgimento che abbiamo... Perché siamo stati bravi anche noi a pensare di andare a parlare con la federazione [inglese]. Io sono andato a parlare con Cookson, con la federazione. La società era inglese, affiliata alla federazione inglese. E partendo il Tour da Londra, è ovvio che... No? Quindi siamo stati bravi anche noi - e il manager della Barloworld, il marketing della Barloworld - a pensare questa strategia. Poi loro probabilmente ci han dato una mano. E il primo a partire, era partito [Enrico] Degano per primo, dopo ci han fatto partire per primi a Londra, nel prologo. È partito uno della Barloworld, Degano. Però c’avevo dentro il [Stephen] Cummings, c’avevo dentro il Geraint Thomas. Geraint Thomas il primo [Tour] l’ha fatto con me, cazzo. Si staccava sui cavalcavia, si staccava… Eeehhh, però aveva qualità, eh; quello lì è forte. Quello lì è forte... Quello lì è forte. Poi, [i britannici] non si lamentano mai. Van sempre in bicicletta. Gli dici: c’è da far questo. Pronti. Mi ricordo: era venuto uno a farmi provare una bicicletta, eravamo in ritiro giù a… lì a Donoratico. E abbiam fatto l’allenamento al mattino, poi al pomeriggio doveva venire questo. Ehi, c’è da provar 'sta bicicletta, con una sella un po’… Va bè, ho detto: Tom, andiamo ancora un po’ in bici il pomeriggio? Sì, sì, sì. Mi son meravigliato io, cioè io ero quasi in… Però dobbiam fare dei test, eh. Sì, sì. Eh, poi con la pista son abituati andare il mattino, il pomeriggio…».

- E invece come valuti la gestione di Brian Cookson, dell’UCI?

«Va bè, adesso Cookson però è via, eh».

- Il suo periodo come lo valuti? Visto che il figlio lavora nel Team Sky [dal 2019 Ineos e dal 2020 Ineos Grenadiers, nda], qualcuno parlava di conflitto di interessi…

«Sììì, lui è stato filo-anglosassone, basta: filo-Sky, filo…».

- E con Hein Verbruggen invece?

«Mah, con Verbruggen bene. Abbiamo avuto scambi anche duri, per dire. Però ci abbiam discusso. Era più a contato con noi, con le squadre. Forse eravamo meno, c’era un ciclismo... non lo so… meno globale, Però vivevi… Verbruggen lo trovavi, il Cookson lo trovi al mondiale, lo trovi… Sì, se viene a una tappa al Tour, neanche al Giro veniva…».

- E con il suo delfino Pat McQuaid?

«E il McQuaid, anche lui, ha cominciato un po’ più testone del Cookson, eh. Più testone. Cioè: gente che vuole arrivare ai loro obiettivi; dopo, individuare se i loro obiettivi sono giusti o sbagliati è un’altra cosa. però quando si fissano [su] una cosa, van via dritti. Van via dritti. Adesso vedremo 'sta gestione qua, del francese [David Lappartient, nda], com’è».

- Tornando a Roberto, che tu conosci bene, secondo te ha un po’ pagato in carriera questo suo mettersi contro gli Sceriffi del gruppo o anche contro Torriani, che magari cancella lo Stelvio – si disse – per favorire Moser… Le ha pagate ’ste cose qua? È vero che gli han rubato un paio di Giri o no? Gli abbuoni da trenta secondi...

«Mah… Sì, va bè, eran Giri così, fatti… Eran fatti un po’ più su misura. Adesso, non credo che l’intento fosse di sfavorire Visentini».

- Però lui aveva la lingua lunga, no?

«Sì sì, lui era schietto, semplice. Era anche semplice, se vogliamo, no? Perché uno lo prende per essere… La domanda che mi avevi fatto prima, se voleva essere una primadonna, no? È proprio il contrario: lui era semplice. Ma ancora adesso: "...varda là che cojoni, andar in bicicletta, ancora m’hanno invitato, devo venir qui…". Ma non perché è altezzoso, perché è talmente semplice, gli piacciono le cose tranquille. Io lo vedo così, Roberto. Nella mia immagine, è un amico che puoi dirgli tutto. Ecco, non lo vedo come quello che se la tira. Non lo vedo così. E quindi può essere anche un personaggio… Va bè, in più è di estrazione familiare che non ha mai avuto… Tra virgolette, no? Tra virgolette, perché insomma chi ha i soldi è altra gente, no? Però, in quegli anni, forse era già uno che… Di un’estrazione un po’ superiore alla media, no?».

- In gruppo si sentiva ’sta cosa, provocava invidie, gelosie?

«No, no, no…».

- Perché poi era bello, girava col Ferrari... Ancora oggi però lui dice: c’erano colleghi che volendo avrebbero potuto comprarsi un elicottero… Son tutti falsi miti questi qua?

«No, no, son falsi miti. No, no, io non lo vedo così, Roberto».

- Perché lui in bici la fatica l’ha sempre fatta.

«Sììì, poi se guardi non è che ha vinto tanto, eh. Cosa ha vinto? Ho vinto più gare io di lui, eh».

- È stato tanti giorni in rosa, in rapporto alla carriera. Ventisette ne ha prese…

«Lui è stato in rosa alla Sammontana, è stato in rosa alla San Giacomo. Però… Ecco, però dopo non è che ha vinto tanto… Lui era un [talento] naturale, lui recuperava».

- In tanti sostengono che, per caratteristiche tecniche ma con un'altra testa, fosse molto adatto al Tour. Roche però diceva che Visentini appena vedeva il cartello "Chiasso" si perdeva. Il Visenta era adatto a classiche dure?

«Ma sì, ma quelli eran dei miti… Anche di Saronni si diceva così. Anche di Saronni, che ha vinto una Freccia, credo. Basta, fuori dai confini...».

- Era un ciclismo italiano che al Tour neanche ci andava, perché…

«Non andavamo. Abbiam cominciato ad andare noi della Supermercati Brianzoli, la Carrera e noi della Supermercati Brianzoli. Ma poi neanche tantissimi. Non è che c’era…».

- Ma perché il mondo economico del ciclismo italiano, delle squadre italiane, era - appunto - quello delle corse italiane.

«Sì, sì, eran le corse italiane. Era soprattutto italiano ma nel contempo la gara italiana era importante. Cioè il giorno prima del Gran Premio di Camaiore c’era la pagina. E il giorno prima della Coppa Agostoni c’era la pagina…».

- A Saronni il suo patron Pietro Scibilia diceva che per la GiS era più importante il Giro di Puglia che il Tour.

«Sì, sì. Ma diciamo che era proprio una abitudine, un modo di fare, un modo di comportarsi. Le squadre avevan undici-dodici corridori, quattordici. Non puoi andare a fare Giro, Tour e Vuelta. Noi già abbiam cominciato alla Supermercati Brianzoli. Ho fatto la Vuelta anch’io. Facevo la Vuelta poi il Giro. L’ho fatta quando era ad aprile la Vuelta. Pensa come son vecchio, l’ho fatta quando ancora era ad aprile [54º nel 1985, nda]».

- In questo la Carrera era un po’ un'eccezione, sia perché al Tour ci andava, sia perché andava a prendere corridori stranieri. E poi al Tour, quell’anno lì, nell'87, è andata con una squadra persino più forte rispetto a quella che aveva appena vinto il Giro…

«Sì, sì, sì».

- Per dirti, Chiappucci che era un giovane al terzo anno da pro’, non l'hanno portato. Al Tour andavano i big, e la Carrera ci andava per vincere tappe con Bontempi e far classifica con Roche...

«Diciamo che la Carrera era un po’ la prima che… Forse per gli interessi [aziendali] della Carrera, anche».

- Anche perché il suo era uno sponsor diverso, non era un mobilificio. Era…

«Probabilmente sì. È stato bravo anche Boifava, insomma, dopo… Certo, Visentini fuori da… Ma neanche Freccia, Liegi, quelle corse non l’ha mai fatte… o poco. Poco, penso».

- Una nuova "Sappada". Potrebbe risuccedere?

«Io credo che non succede più una “Sappada”. Non succede».

- Un tuo giudizio, anche dal punto di vista umano: fu tradimento o semplice scelta di corsa? Quello ha più gamba, e va. Si può parlare di tradimento? Perché noi in Italia con la maglia rosa siamo molto…

«Nooo. No, non è tradimento inteso come volontà di… Nooo…».

- Ma tu che il Visenta lo conosci bene, può essere bastato quell’episodio lì per non volerne più sapere dell’ambiente? O forse c’è qualcos’altro che lo ha fatto allontanare dall’ambiente? Perché lui è sparito? Qual è il motivo di fondo? Dopo Sappada ha tirato avanti tre anni, ma di testa aveva già mollato. È andato a chiudere prima alla Malvor, uno squadrone con un sacco di grossi nomi, e poi, nel ’90, alla Jolly Componibili: ha detto ciao, e non ne ha più voluto sapere.

«Sì, un anno dopo il mio. Lui è del '57, mi ricordo quando ha vinto il mondiale juniores».

- È stato il primo a vincere il mondiale juniores, a Losanna '75. Campione italiano a cronometro, bello da vedere in bici: un predestinato…

«Sì, sì, sì. Io mi ricordo la prima gara, la prima volta che l’ho visto io. Era stata una gara lì, a Crusinallo, verso Biella: Giro dei Tre Laghi si chiama. Forse l’ho vinto anche io. Ho trovato 'sto Visentini che ha fatto una fuga di sessanta-settanta chilometri da solo, è andato via ed era il campione del mondo juniores, ecco. Era uno che aveva classe, forse non aveva quella passione come gli altri».

- Roberto amava più lo sci…

«Sì. Forse [per il ciclismo] non aveva la passione come gli altri».

- Come la tua di lottare anche per il tredicesimo posto…

«Ecco, sì. È un po’ quella, forse, la chiave di volta».

- Mi hai parlato poco di Roche.

«Be’, Roche non è… Sì, sono amico però non è che ha battuto tanto l’Italia, lui. Sì, è stato qui un po’, però… Roche è, va bè, un corridore. Sai, lui è andato subito ai vertici, era un po’ più difficile anche avere relazioni con lui, no?».

- Bravo non solo a leggere le corse ma anche a dispensare favori. Sapeva farsi amici i media, il gruppo…

«Sì, ma per dire, ti chiamava per nome: è già qualcosa».

- Questa è una cosa che mi han detto i giornalisti anglosassoni.

«Capito?». [sorride, nda]

- Roche ti dà la pacca sulla spalla, ti guarda negli occhi, ti fa sentire la persona più importante al mondo, poi quando ha finito con te…

«Sì, sì. Io, ancora adesso che lo vedo, “Ciao Claudio”. Però, sai, si ricorda ancora… E non è poco nell’economia generale. Certo, non ha niente a che vedere con Roberto…». [ride, nda]

- Però tu caratterialmente sei più vicino a Roberto?

«Sììì, son più vicino a Roberto, perché… Mah, non lo so, col mio carattere... Io forse sono meno schietto di Visentini, no?».

- Eh, sennò non avresti potuto fare il diesse e il giemme…

«Ecco. Più… Roberto è proprio istintivo, è proprio più un cavallo libero».

- Ma come corridore era un purosangue, giusto per rimanere nella metafora…

«Per me, sì. Per me, sì. T’ho detto, per quel discorso di quella cronometro lì del Monte Pora. Lui lo prendevi a Natale e andava forte come… Quindici giorni… Lui si allenava quindici giorni e già andava forte, eh… Non aveva bisogno di lavori massacranti, di… Era così naturale. Forse è per quello che nelle gare a tappe lui era così, e teneva. E nelle gare di un giorno aveva sempre qualcuno in più che… Dopo, io ho vinto il campionato italiano, siamo arrivati io e lui, eh. Ad Arezzo [22 giugno 1986, nda], il secondo che ho vinto, siamo arrivati io e lui. E lui aveva appena vinto il Giro e io ero arrivato quinto. Andiamo al campionato italiano ad Arezzo, va via una fuga dopo cento chilometri, da Firenze, siam partiti da piazzale Michelangelo, verso Arezzo, siamo andati via una venticinquina. Poi arriviamo lì, facciamo 'sto giro: Scopettone, era da fare otto-dieci volte. Insomma alla fine restiamo io e lui... [ride, nda] Non riuscivo più a tenerlo. L’ultimo giro, non so come ho fatto a tenerlo, perché anch’io ero un duro... M’è scattato due-tre volte. E poi se lui fosse stato un po’ più convinto, un po’ più voglioso di vincere, mi staccava. Però non m’ha staccato. Non m’ha staccato. Poi siamo arrivati giù io e lui e…».

- In volata lui zero, vero?

«Dopo lui ha tentato anche di “corrompermi” [ride, nda]. Ero troppo amico e gli ho detto: sapevo che la vincevo la volata perché anch’io non sono stupido. Se rischio di perdere posso anche vedere di… Insomma, dai, Roberto, facciamo la volata, non se ne parla più. Son arrivato all’ultimo chilometro, pensa com’è bravo Roberto. Perché io dico che è bravo? Son arrivato all’ultimo chilometro, un chilometro e mezzo, mi son messo a ruota, non gli ho più dato neanche un cambio. Eravamo amici, non gli ho più dato un cambio. Lui ha cominciato a zigzagare, di qua e di là della strada. Sai, io volevo vincere, avevo vinto l’anno prima… Zigzagava di qui e di là della strada, non sapeva più cosa fare, poverino. Quando siamo arrivati ai duecentocinquanta metri, trecento, son partito. Non si è neanche alzato dalla sella».

- C’è qualcosa che vorresti trovare in questo libro e che nessuno ha mai raccontato? Qualcosa che a te piacerebbe leggere, magari anche per un senso di giustizia nei confronti di Roberto? Perché su di lui si son dette e scritte tante di quelle balle… Che cosa ti piacerebbe trovarci?

«Eh, non saprei…».

- Per farti dire: oh, Roberto questo lo meritava, ecco, una roba così. Non è un’agiografia, non è un tributo, non stiamo facendo né il santino né… Anche perché ormai, trent’anni dopo...

«Io dico: guarda, il Giro che ha vinto se l’è meritato. Perché un corridore così doveva vincerlo il Giro. Doveva vincerlo. Perché… Però, in quel Giro, era nettamente il più forte. Era nettamente il più forte. Sì, forse poteva avere di più dal ciclismo. Però l’ha vissuto lui così. Quello era il suo ciclismo, il suo modo di stare in bici, di star nel gruppo e…».

E di essere se stesso. Roberto Visentini. Già solo questo, più di trent'anni dopo, vale ancora la pena di star qui a parlarne.

CHRISTIAN GIORDANO

NOTE:

[1] Luigi Colombini. 

[2] Franco Bedulli, l'artigiano di Villaggio Sereno (Brescia) che realizzò le scarpe da ciclista a tanti campioni, da Anquetil a Merckx.

[3] Negli anni ’80, fu capolinea d’una cronoscalata riservata ai professionisti. Tra i vincitori di quella prova ricordiamo Visentini (1982) e Baronchelli (1983).

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