Alfredo Alfredo - Chinetti, il Timido
di CHRISTIAN GIORDANO ©
IN ESCLUSIVA per Rainbow Sports Books ©
Cassano Magnago (Varese), mercoledì 4 luglio 2018
- Alfredo Chinetti, cominciamo da quel famoso “...òstrega, ma tu vai a razzo. Perché non corri?”. Me lo racconta? Chi glielo ha detto? Com’è iniziato tutto? Si ricorda?
«No… Non mi ricordo più queste cose».
- Lo ha scritto Nicola Montanaro raccontando la carriera di Chinetti: 54 vittorie da dilettante, gli inizi con una bicicletta da passeggio. E uno che le fa: “...òstrega, ma tu vai come un razzo – le ha detto uno sconosciuto di Lentate – perché non provi a correre?”.
«Quello è vero».
- Ma chi era quello sconosciuto di Lentate?
«Ci siam trovati… Io ero andato a Ponte Tresa, una volta si andava ai confini, no? Prendevamo le sigarette, a Ponte Tresa. Andavamo là, si prendevano un po’ di pacchetti di sigarette, per venire a casa e guadagnare due soldini. Nel frattempo, tornando, avevo fatto il Marchirolo (4,4 km con pendenza media del 5%, nda), con la bici normale…».
- E il suo papà il giorno dopo gliene ha comprata una da corsa?
«Be’, il giorno dopo, no».
- Nel pezzo che le ho portato c’è scritto “il giorno dopo”. Attenzione, eh: qua si mette in dubbio il mito, si romanza… [sorridiamo, nda]
«Sì, e son tutte…».
- Se lo ricorda questo Montanaro?
«Ma no, non me lo ricordo. Mannaggia. Tu mi fai certe domande… Non mi ricordo più. Questo [giornalista] neanche lo conoscevo. Io mi sono aggregato. Loro avevano già la bici da corsa e io stavo dietro. E mi ricordo m’ha detto queste cose. Tra l’altro m’ha detto: “Eh, devi pedalare non con le ginocchia fuori ma dritto”. Queste cose eh, questo particolare…».
- Per chi non l’ha vista correre, Alfredo Chinetti che corridore è stato? Onesto eh, tanto son passati un po’ d’anni, no?
«Eh, che corridore… No, guarda mi… È un’intervista che… Sto sudando…».
- Eh, mamma mia... [ridiamo, nda]
«Non so cosa dire».
- Le caratteristiche, che tipo di corridore è stato. Cinquantaquattro vittorie da dilettante: mica poche, eh.
«No, be’, da dilettante ero forte».
- Anche un Lombardia, da dilettante.
«Sì, Piccolo Giro di Lombardia, il Giro del Friuli…».
- Me le son segnate.
«Però son passati tant’anni che io non…».
- Allora: il passaggio al professionismo, me lo racconta? Qualcuno l’avrà notata, no? Com’è arrivato?
«È arrivato… perché nel ’72 correvo alla Comense».
- E ha vinto la terza tappa alla Settimana Bergamasca.
«Sì. E a fine stagione avevo fatto un incidente: due vertebre, spalla e trauma cranico. E praticamente non dovevo più correre, no? Alla fine, ho fatto col gesso fino a dicembre, [per il 1973] m’ha richiesto una squadra toscana, che si chiamava Capp Branzi, il direttore sportivo Marcello Perugi [poi futuro diesse alla Magniflex, nel 1986 con Riccardo Poggiali e Domenico Garbelli, nel 1987 con Riccardo Magrini e lo stesso Poggiali; nda]. Ed è stato l’unico che m’ha richiesto. Perché ormai tutti pensavano che non corressi più. Alla fine, m’ha convinto e sono andato giù a Firenze. Sono rimasto là e m’ha detto: “Tu vieni giù che ti faccio parlar coi medici”, di qua e di là… Neanche riuscivo più a tirar fuori il rifornimento, queste cose, no? Alla fine, facendo ginnastica e un po’ di cure ho ripreso. E ho iniziato a correre per questa squadra. Quell’anno lì ho vinto non mi ricordo più se dodici o tredici gare. E da lì, essendo la Magniflex in Toscana, sono passato alla Magniflex».
- Com’è stato l’ambientamento in Toscana?
«Mah, io mi trovavo bene. Certo, esser via da casa… Però ero portato in palmo di mano. Sarà stato perché spesso vincevo. Mi ricordo che ero lì alloggiato da Vittadello, un ristorante bellissimo. Stavo lì, mangiavo, bevevo, mi allenavo. Per me era…».
- …un paradiso?
«Esatto. Tutto bene. Insomma, noi come…».
- Lei era di famiglia umile, come origini?
«Sììì. Infatti, io ho lavorato. Ho iniziato subito [a lavorare]. Ho fatto un anno di prestinaio [fornaio, panettiere, nda]».
- Faceva le consegne o era al forno, cioè faceva proprio il pane?
«Io iniziavo alle cinque e mezza-sei, imparavo un po’ a fare certe cose…»
- E dopo?
«Dopo ho fatto un anno di ricamificio [come navettiere, nda]».
- Quanti anni aveva, quindici-sedici?
«Quindici anni. E a sedici anni ho iniziato a correre, da Esordiente. Però lì, sapendo che dovevo correre, non potevo più fare ricamificio, perché facevo dodici ore al giorno. M’ha preso una ditta di ingranaggi a Premezzo, che era di Valli, e lì mi permettevano di allenarmi due volte alla stimana».
- La passione del ciclismo era di famiglia?
«Nooo. No. La passione… A mio padre ho detto: “O mi prendi il motorino, o la bicicletta”. M’ha preso la bicicletta, e va bè. Dopo, gli appassionati del paese…».
- ...han fatto una colletta?
«No, no. L’ha presa mio padre. M’ha preso una bici, una Fiorella normale, con manubrio da corsa, non era un granché. Dopo, chiaro, andando alla Cavariese, han visto che andavo benino, han cominciato a modificare la bicicletta, a mettere i pezzi Campagnolo, queste cose. E da lì, va bè, è partita… Dopo, diventa una passione e alla fine è diventata un lavoro. Fino ai 35 anni».
- E le sue caratteristiche, invece? Passistone?
«Ho fatto degli anni che ero velocissimo. Andavo bene anche in salita, ero un passista-veloce, via. Perché a quei tempi là vincere 54 corse… Poi non è che facevi i circuiti, eran tutte corse».
- Ma questa etichetta che se non andavi subito forte, facevi il gregario per sempre, come mi han raccontato in diversi della sua epoca, perché funzionava così? Non ti davano tempo di capire che tipo di corridore potevi diventare. Per esempio, Simone Fraccaro: ci ha messo un po’ a maturare e per il diesse Ferretti, a sua volta ex gregario di Gimondi, quello doveva fare: mettersi al servizio del capitano. Per tutta la carriera.
«Nooo, lì dovevi dimostrare, purtroppo era così. O andavi in una squadrettina, e però dovevi emergere, e a quei tempi là c’erano quei due-tre che andavano, avevano uno squadrone, o cosa facevano? Come partivi ti venivano a prendere, ti ridevano in faccia. Era dura emergere, eh. O andavi fortissimo… O in salita, tipo Bertoglio che ha vinto… [il Giro del 1975] Se vinci, è chiaro, dopo… Io son “passato” e ho avuto anche la sfortuna, son caduto subito alla Sassari Cagliari, ho rotto la spalla. Poi ho ripreso e son caduto al Giro d’Italia, alla sesta tappa e lì ho rotto un’altra volta la spalla. La stessa spalla. Così ho perso, si può dire, tutto l’anno. E alla fine sono andato, l’anno dopo, alla Furzi FT, una squadrettina. Se avevo la possibilità, se avevo i numeri… A parte che a quei tempi là, con Merckx… Caspita, velocisti-supermen: Sercu… E poi, una volta, tu dovevi correre tutte le gare che c’erano. Eravamo tutti presenti. Non è come adesso, che c’è gente che vince dieci corse e non sai neanche chi sono, no?».
- Questa cosa che lei andava forte a inizio stagione e poi faceva fatica…
«Sì, col freddo».
- E a luglio-agosto no? Luglio è il mese del Tour, ma all’epoca gli italiani ci andavano poco.
«Eh, infatti. Perché non ti portavano».
- Della Furzi FT ne abbiam parlato, e invece nei due anni alla Jolljceramica che cosa è successo?
«Alla Jollj, il primo anno, ho vinto una tappa al Giro della Catalogna [4ª frazione, seconda semitappa, 113 km da Mollet del Vallès a Manresa, nda]».
- E questo suo feeling con la Spagna? Una tappa alla Vuelta, una al Catalogna… Era perché nel calendario le corse lì erano messa bene o è stata solo una coincidenza?
«No, io mi trovavo abbastanza bene».
- Anche nelle Asturie l’anno dopo, nel ’78.
«Sì. Eh, diciamo che lì in Spagna i corridori una volta non andavano proprio forte. Adesso, [gli spagnoli] sono all’avanguardia…».
- Il Paese intero era arretrato. Dopo la morte di Francisco Franco, nel ’75, la Spagna è avanzata tantissimo.
«Sì. Erano indietro, sia le strade sia tutto, no? Trovavi dei bei percorsi lungo il mare, ma se ti addentravi nell’entroterra…».
- ...sembrava di fare un salto nel passato.
«Eh, nel passato. Calcola che dopo, già nel ’78-’79-’80, han cominciato a migliorare».
- Il Lombardia era la sua corsa preferita, perché conosceva le strade di casa?
«Mah, mi prendeva. Percorso giusto. Lo facevo in allenamento».
- Due terzi posti e un secondo, no?
«Sì. Uno, ha vinto Fons De Wolf in volata, secondo Chinetti. L’altro, Moreno Argentin secondo, terzo Chinetti. Quello vinto da Moser, nel ’75, secondo Enrico Paolini e terzo io, siamo arrivati in tre. E dietro [a 1’17”, nda] c’erano Roger De Vlaeminck, Freddy Maertens, Eddy Merckx, Gibì Baronchelli».
- E questo De Faveri era andato in fuga sul Ghisallo, sei minuti e mezzo aveva di vantaggio…
«Una giornataccia, eh. Siam partiti da Milano che pioveva. Arriviamo su, in cima all’Intelvi c’era giù la neve. Ha smesso proprio, mi sembra, gli ultimi chilometri. Ho fatto quasi tutta la gara senza occhiali. Dopo, in Jolljceramica ho fatto quell’anno lì discretamente. Però, l’anno dopo, la Jolljceramica è fallita».
- I soldi li avete presi o no?
«Siamo andati a un concordato, trenta per cento. Ma dopo tre anni ci han dato qualcosa. Dopo, da lì sono andato alla Selle Royal-Inoxpran [1978], ma Boifava ancora non era direttore sportivo, e lì son andato benino anche al Giro [13° a 15’ 45” dal vincitore, il belga Johan de Muynck, nda]».
- Il rapporto con Boifava com’era?
«Buono».
- Sì?
«Eravamo proprio amici, insomma».
- Manteneva la parola?
«Sì, quello che prometteva arrivava. Quello, non c’era problemi. L’anno dopo sono andato alla Scic di Saronni. Lì ho vinto… [a Riva del Garda, 2ª tappa al Giro del Trentino ’79]…».
- Come mai ha cambiato dopo solo un anno?
«Perché m’ha chiesto Chiappano se andavo con Saronni, ché dovevan fare…».
- Era stato Saronni a fare il suo nome o era stata una scelta di Carletto Chiappano?
«Eh, questo non lo so, penso Chiappano, non so… Perché a quei tempi là Saronni era ai primi anni».
- Però con Saronni avete vinto subito il Giro, nel ’79. Aveva ventun anni.
«Sì, però non abbiam preso un cazzo perché, anche lì…». [sorride amaro, nda]
- Soldi, brisa?
«Ma va’…».
- Neanche con la Scic, che ai tempi…
«Quando pensavo di guadagnare qualcosa… Saronni l’anno dopo ha firmato alla GiS, allora tutti i premi e tutto, m’han detto: fatteli dare da… Saronni o da Chiappano. E così l’abbiam preso nel... Insomma, sono stato anche un po’ sfortunato. Dopo, alla GiS, quando lui è andato là, c’erano già diversi corridori sicché… là dopo ne ha portati solamente due o tre…».
- Chi ha portato con sé, i suoi fedelissimi?
«Mi ricordo che c’erano Arnaldo Caverzasi, Ottavio Crepaldi, questi qua li ha lasciati tutti a piedi. Adesso i particolari non me li ricordo più. E l’anno dopo sono ritornato con Boifava. E lì ho fatto quattro anni. Con Battaglin…».
- Com’era il rapporto con Battaglin? Mi hanno detto tutti che era un campione-gentiluomo.
«Bravissimo. Io mi trovavo bene con lui. Una bella squadra».
- Non c’erano ancora i soldoni della Carrera ma erano belle squadrette, no?
«Sì, infatti. Quando ho smesso io han cominciato…». [sorridiamo, nda]
- A proposito di capitani: Saronni, Battaglin, e con Visentini il rapporto com’era?
«Ho fatto anche il compagno di camera assieme, però era un ragazzo che parlava poco. Comunque, era un ragazzo che si curava, eh. Altro che – dicevano – il donnaiolo… Me lo aveva confidato lui. A quei tempi là, se non ti curavi… E infatti, va bè, quell’anno che ho vinto la tappa al Giro di Spagna [la 2ª tappa, la Avilés-León)] che abbiam vinto…».
- La storica doppietta di Battaglin: Giro e Vuelta ’81 in 48 giorni.
«Li ho fatti tutti e due. Perché ai tempi [la Vuelta] era prima del Giro…».
- È vero che siete rimasti in aeroporto parecchie ore perché non c’era subito il volo di rientro? Battaglin doveva ripartire subito per correre il Giro e ha passato quasi un giorno in aeroporto.
«Sì, sì, be’, son venuto a casa, ho cambiato…».
- ...la valigia e di nuovo via?
«Be’, almeno lì qualcosa ho cominciato a guadagnare…». [ride, nda]
- Era ora, se non altro per l’accoppiata Giro/Vuelta. Arriviamo alla Supermercati Brianzoli, ma senza Moser.
«No, non c’era Moser con me. Moser è arrivato [alla Supermercati Brianzoli] nell’86. Con Moser non ho mai corso assieme. Dovevo andare, un anno avevo già firmato con la Famcucine di Moser…».
- E poi cosa è successo?
«…però siccome tutti mi dicevano che ha un carattere strano, che io non… Che io, col mio carattere… Se vado do anche l’anima, però se non vado non mi devono rompere le balle. E allora alla fine gli ho chiesto di stracciare… E sono andato alla Supermercati Brianzoli. Alla Supermercati Brianzoli praticamente ero io il capitano, perché nessuno voleva andare in una squadretta… di paese. C’era Stanga [come direttore sportivo]… Nell’84 c’ero io, l’americano [John Patterson, nda], un biondo... [il norvegese Ole-Kristian Silseth, nda] E lì, va bè, con Stanga non voleva andar nessuno, infatti anch’io ero titubante, no? Mi ricordo perché lui arrivava dai dilettanti e voleva far questa squadra. E dietro Stanga c’era un industriale, mi ricordo che ero in macchina e parlando gli ho detto: “Senti, se mi dai subito metà dello stipendio, vengo. E infatti m’ha accontentato e sono andato lì».
- L’industrialotto parlava solo in dialetto lombardo, vero?
«Sììì. L’anno dopo io son rimasto lì, ha cominciato Baronchelli a venire a chiedermi. Ma com’è? Pagano? Di qua e di là, e allora Baronchelli ha firmato anche lui. Corti, Mantovani… E son venuti lì, eravamo noi tre, capito? O noi quattro…».
- Nell’85, questo…
«Nell’85. Dopo, nell’85, io avevo un po’ problemi, la schiena… Quando facevo un giorno a tutta, il giorno dopo… Alla fine ho tentennato troppo. Poi, sapendo che usciva il posto di lavoro [in banca, nda]…».
- I suoi problemi alla schiena erano figli di quella vecchia caduta? Può darsi…
«Può anche darsi, perché da quando ho avuto quella caduta lì, bene o male, ogni tanto mi succedeva tipo il colpo della strega, queste cose, no? E alla fine, nell’85, mi ricordo Moser, anche lui è venuto lì: “Ma com’è questa squadra?”. Di qua di là… E poi mi ricordo uno dei Franchini, che erano i proprietari della Supermercati, viene da me e fa: “…ma [Moser] è irraggiungibile…”. Pensava chissà che cifra chiedesse, no? Quando gli ho detto: “Ma va’… è questa cifra…”. Oh, la madonna… Allora sono andati subito a contattarlo e… Ed è passato con loro. E io, va bè, se firmavo…».
- Era un Moser già a fine carriera, no?
«Eh, però… Ha fatto il record…».
- Miglior prestazione sull’ora sul livello del mare, al Vigorelli di Milano: prima 48,543 km poi 49,801 km.
«So che era con [il professor Francesco] Conconi, in tutte queste cose. A quei tempi là dovevo anch’io, col Conconi, fare tutti i test, ma io ero all’antica, no? A me non piacevano queste cose… E alla fine [Moser] è andato lì. Io purtroppo ho tentennato un po’, ma è stato un bene, almeno sono andato al lavoro. E non mi trovo pentito adesso. Almeno la mia pensione è chiusa. Capito? Stanga già mi voleva far firmare prima, a luglio, finito il Giro d’Italia, però dopo han preso Moser, che ha portato diverse persone. E allora ho deciso di smettere».
- Il posto in banca chi gliel’hanno offerto? Com’è arrivata la dritta?
«È arrivata… per conoscenze. Dovevo entrare alla Legnano, invece, dopo un po’, niente di fatto. E siamo andati a una cena con il direttore del Credito Varesino. D’inverno si facevano le partite di calcio, e mi ricordo un amico, parlando col direttore, qua, gli fa: “Dottor Boni – che era il direttore del centro titoli – cosa ne dice, quando Chinetti smette, se lo prendiamo?”. E mi ricordo, sempre lui fa: “Se vuole, lo prendo subito. Però è meglio fare qualcos’altro nella vita che venire in banca a fare…”. Però io purtroppo ero timido, così son rimasto contento, via, che ho fatto ventisei anni… Nell’85 ho smesso, ho iniziato [in banca] nell’86, a maggio. Ho fatto ventisei anni di banca».
- Allo sportello o dietro una scrivania, come consulente?
«Allo sportello. Sono entrato come commesso, perché non avevo un titolo di studio, niente. A Milano mi han passato impiegato di seconda, poi di prima. Poi è uscita l’occasione qua, Credito Varesino, poi diventata Popolare di Bergamo. M’han detto: Se vieni a Cassano Magnago, devi imparare un po’ il tutto. Ho imparato, ero in cassa a fare un po’ queste cose… È andata bene, via, su quel lato lì. Era andata male prima…».
- La vita, dopo, l’ha un po’ risarcita…
«Come soldi, via. Come guadagni. Certo, dopo, alla fine, quando hai smesso, trovavi certa gente… Anche il Boifava, perché lui ha continuato ancora per un po’, no? E andavi dietro là: “Eh, se tu correvi, a questi tempi eri uno da… – ti parlo del ’90, così… – “Eri uno da cinquecento milioni (di lire)…”».
- Me l’han detto in diversi. Le ho portato un articolo di Gino Sala che parla di questo. Questo l’attacco del pezzo: «Sicuro che nel ciclismo di oggi Alfredo Chinetti sarebbe uno dei corridori ben pagati per la sua potenzialità, che andava oltre quella di ottimo gregario». Adesso però deve dirmi qualcosa sulla Sanremo vinta da Moser nell’84. Ormai possiam parlarne, o no?
«Eh, no».
- No?
«No…».
- Che cosa era successo, almeno in corsa? Neanche quello si può dire?
«No, ma io non è che ho fatto niente di strano, eh…».
- Allora gliela butto lì io, poi lei mi dice sì/no o lasciamo perdere. La vittoria al Giro della Provincia di Reggio Calabria è stata un bel colpo…
«No, be’, [Francesco Moser, nda] m’ha un po’ contraccambiato il favore. Eravamo lì, nel finale mi fa: “Se ne hai, parti…”».
- In discesa, per fare il buco?
«No, mancavano quattro-cinque chilometri all’arrivo. Stava diluviando».
- Prima del Poggio, alla Sanremo?
«No, questo a Reggio Calabria. Allora, l’anno prima io ce l’avevo con Moser. Ho detto: “Cazzo, me la paga, non mi va via neanche morto”. Perché [gli] avevo fatto un piacere a una gara. Facciamo un’altra gara, dopo una stimana, ci troviamo ancora io e lui, c’era anche Bruno Leali. Cazzo, Leali fora. Stiamo io e lui, alla fine mi fa: “O doppia o pari”. Se vincevo io, guadagnavo una cagata, per dire, no? Insomma, arriviamo là in volata, avrei vinto con… Avrei vinto, perché non tiravo… Che fai?».
- Cornuto e mazziato?
«Esatto. E alla fine lì ho detto: Cazzo, te la faccio pagare. L’anno dopo, alla Sanremo, non mollavo. Giù alla Cipressa, di qua, sempre volata, scendiamo dal Poggio e… Non so se nel video si vede e lui... Dopo, frazioni di secondo, e cosa faccio, rallento. E lì ho rallentato. Dietro di me c’era [Johan] van der Velde, ha rallentato anche lui e lui ha preso quei… Sappiamo che Moser, chiaro, dopo, lui ha menato per arrivare là da solo, no? In discesa andava giù a tutta, però se io non lo mollavo… Perché in discesa ci sapevo fare anch’io, eh. Ma come riferimento che avevi davanti… Perché anche De Vlaeminck s’è incazzato dopo che [Moser] m’ha fatto ’sto “favore” a Reggio Calabria. “Favore”… Dopo, ho vinto “io”. Perché tutti gli altri non sapevano un cazzo. Perché pioveva. L’ultima curva, anch’io all’arrivo sono entrato a mille, sono uscito con… Non mi ricordo più, sui cento metri, c’era tutto il vialone di Reggio Calabria e ho vinto. Eeehhh, lì l’unico… Ancora si parla… Magari ci sono ancora queste gabole, no? Di meno, perché…».
- Ci sono. Ora però è diverso perché…
«...perché adesso radio, tutte queste cose, non puoi…».
- Ormai le telecamere sono dappertutto, quindi è difficile…
«Sììì, infatti…».
- È cambiato il ciclismo, in tutti i sensi.
«Io ho sempre negato. Si sapevan queste cose, che certe cose le puoi fare o che mi… Mi uccidevano. È anche giusto… Però tante volte non è che lo fai perché… Perché capivo che, anche se io collaboravo, andavo in fuga con Moser, se collaboravo, come lui non avevo…».
- …chance.
«Esatto. Vinceva lui. Io dovevo fare il furbo. E siccome Moser non mi sottovalutava, cosa faceva? Se si fermava? Non arrivava neanche… [la fuga] E allora si decideva di…».
- Al mondiale di Bergen 2017, c’era Gianni Moscon in fuga con Julian Alaphilippe, che non s’è fidato e infatti l’han ripresi. Se avessero collaborato magari… E in buona probabilità Alaphilippe avrebbe battuto in volata su Moscon, in ogni caso si sarebbero giocati il mondiale loro due. Invece la volatona la vinse Peter Sagan su Alexander Kristoff e Michael Matthews.
«Poi sono situazioni che si decidono…».
- …in pochi secondi.
«In poco te devi dire: tiro, non tiro. Anch’io, quando ero in fuga al mondiale (di Goodwood 1982) con [l’olandese Theo] De Rooij, se della squadra me ne sbattevo le balle, se collaboravo, arrivavamo io e lui, eh».
- “Potevo vincere e invece il giorno dopo mi sono ritrovato con un dieci in pagella e basta”. L’ha detta quella frase lì, se la ricorda?
«Sì. Tra l’altro ho visto… Non so, forse era “nove”. L’avevo visto prima, m’è saltato fuori…».
- Cito testuale dal pezzo di Gino Sala: «“Nel finale ero in fuga con De Rooij, se non avessi rispettato il gioco di squadra, sarebbe stata la conclusione a due. E chissà. L’indomani mi sono ritrovato con un dieci in pagella e basta”». “Dieci” o “nove” poco importa, il concetto è quello.
«Sì-sì-sì, e va bè…».
- In nazionale come funzionava con tutte quelle punte? Solo un Ct come Alfredo Martini poteva riuscire a far andare d’accordo quelle teste lì?
«Guarda, io ho fatto solo un anno in nazionale».
- Un anno buono però...
«Sì, forse l’unico anno che la Federazione ha messo su un bel premio».
- Almeno lì è andata bene, dai.
«Sì, infatti lì è andata bene. Martini era diplomatico, no? Parlantina… Però, che fanno, sono i corridori. Se tu non sei onesto puoi dire… Io dovevo far la corsa fino ai centocinquanta chilometri, dopo, se fai la corsa… In fila non c’era più nessuno. Chi aiuta i campioni? È quello lo sbaglio che fanno… La nazionale, quando vai a fare il campionato del mondo, è la corsa più “facile” che ci sia. Perché si marcano tutti. Però devi esser là dopo i 230-240 chilometri. Infatti, quell’anno lì si sono scannati tutti e alla fine non c’era… Sì, è rimasto Ceruti; e Masciarelli. Dopo, chiaro, c’era un bel premio e tutto… Sapevo che si arrivava in salita. Saronni era imbattibile».
- È vero che lei, appena visto il percorso, ha detto: Questo è per Saronni. L’ha capito subito? Perché su quegli arrivi lì Beppe era…
«Ah, be’, sì. In quel periodo là, era imbattibile. Sugli strappi… Mi ricordo una Bernocchi… Conosci Cairate? Cazzo, andar su con un rapporto impossibile, li staccava da ruota. Una roba… Sugli strappi era micidiale. Beh, basta che arrivava là, sapevi che vinceva».
- A un certo punto, diciamo l’86 e forse anche prima, ha proprio mollato. Perché, secondo lei? Visto che lei ci ha corso insieme, magari lo conosce bene. Lo stesso Saronni mi ha detto che ormai con la testa non c’era più. È vero?
«Eh be’, ha vinto tanto. Dopo, gli ultimi anni…».
- …si è un po’ seduto?
«Bisogna veder cosa faceva».
- Cioè come si curava lui a differenza di come si curavano gli altri?
«Si è spremuto troppo prima».
- Nel ’79 aveva vinto il Giro a ventun anni. Forse gli han tirato il collo un po’ presto.
«Eh sì, lui ha iniziato [da pro’, nda] nel ’77. Ha iniziato giovane. Andava perché nessuno pensava fosse un… Dicevano che “andava” in pista, di qua e di là, invece andava forte sia a cronometro, sia… È stato un bel corridore».
- Fra i fior di compagni e avversari che lei ha avuto chi l’ha colpita di più, al di là di ciò che dicono i giornalisti? Io di loro non mi fido, mi fido dei corridori. Che Merckx sia stato il più forte lo sanno tutti, io però volevo capire le differenze viste da chi gli correva a fianco.
«Guarda, i paragoni col Merckx... Quando si muoveva lui si rizzavano i peli, no? Per dire quanto… Tutti avevano paura».
- È vero che quando lui partiva si sentiva un rumore dei pedali diverso rispetto a quello degli altri? È vera questa cosa qua o è anche un po’ una suggestione?
«Anche un po’ una suggestione, però… Cazzo, era forte. È indescrivibile, a quei tempi là, no? Capito? Perché anche con i suoi gregari non è che… I primi anni quando [ancora] c’erano le spinte, no? Io non ho mai visto lui attaccarsi ai suoi gregari. I suoi gregari dovevano, quando decideva, dovevano tirare a manetta. E poi partiva lui, no? E dopo, va bè, a quei tempi là, questo qua era un fenomeno. Cazzo, le corse in linea…».
- Ecco. È vero che Roger De Vlaeminck, come classe pura, forse era persino un filo superiore a Eddy?
«Ah, corse in linea, sì, eh».
- Moser e Saronni, la rivalità di quegli anni: caratterialmente lei a chi era più vicino, a Moser, a Saronni o a nessuno dei due?
«A Battaglin, a questi qua...».
- Allora anche al Visenta, almeno un po’?
«Sì, ma il Visenta non si riteneva un campione. Almeno, perlomeno fin quando ero lì io, no. Forse anche perché non gli davan ancora bene fiducia i primi anni. Perché magari andava forte, però puntavan di più su Battaglin o che, no?… Anche perché [Battaglin] ha vinto…».
- Campione anche di sfortuna: le cadute, il mondiale di Valkenburg ’79, l’epatite, la congiuntivite. A Battaglin in carriera è successo di tutto...
«Eh, era abbastanza fragile».
- Okay l’opportunità di lavorare in banca, ma all’epoca si parlava di lei che avrebbe potuto salire in ammiraglia. Come mai invece non ci ha almeno provato? Perché ha deciso di cambiare vita?
«Ma perché me lo diceva anche Boifava: Finché sei un corridore, smetti e fai il direttore sportivo, gli atleti hanno rispetto di te e sanno chi sei, no? Se tu entri dopo qualche anno…».
- …ti dicono: questo qua chi è?
«Appunto. Non ti rispettano…».
- Magari tu dall’ammiraglia gli dici qualcosa e ti rispondono o pensano: E tu che ne sai? E invece sono loro a non sapere che magari, fino a poco prima, c’eri tu in gruppo su strada.
«Esatto».
- Le ho portato un articolo in cui Boifava di lei, e della possibilità di averla in ammiraglia, disse: «Alfredo è adatto a questo compito. È un ragazzo tranquillo, onesto, conosce il suo mestiere, parla poco, doti che spesso contraddistinguono un buon direttore sportivo. Comincerà al mio fianco per fare esperienza poi vedremo. Se Chinetti dimostrerà buone doti…».
«No, no, per quello…».
- E invece dopo, una volta scelta la banca… Scelta la banca, punto.
«Esatto. No, ma anche perché lì avrei dovuto smettere subito, no? E invece poi ho fatto due anni alla Supermercati Brianzoli, no? Infatti, [Boifava] me l’aveva detto».
- E lei non s’è mai pentito di quella scelta?
«No, no. Perché io non… Bisogna avere un carattere. Perché se io facevo il secondo di Boifava, eri sempre il secondo. Per diventare il primo, devi avere qualcosa, per andare a trovare gli sponsor… La parlantina per… Capito?».
- Neanche Italo Zilioli aveva. Ci ha anche provato, ma poi… Ci vedo delle analogie.
«Io ho capito che non ho i mezzi per far queste cose, no?».
- Ci vuole anche un po’ di pelo sullo stomaco, per certi ruoli.
«Eh, be’, sì. E allora lì ho capito che… Ho preferito fare ancora due anni, guadagnare qualcosina e dopo ho detto: si vedrà. Anche perché, dopo i due anni [alla Supermercati Brianzoli], gliel’ho anche accennato a Boifava, no? Però dopo è subentrato Sandro Quintarelli, son subentrate altre persone. E così, giustamente…».
- Nell’88 in Carrera è arrivato come diesse Beppe Martinelli, che era il vice di Franchini. E quindi capisco che, al quel punto, la strada sia diventata un’altra.
«Quando esci, basta. Sì, oddio, finché… Nell’85 però Boifava ormai me l’aveva detto chiaro e tondo: o lo fai adesso o basta, no. È inutile andare avanti a correre fino a quarant’anni, e dopo cosa faccio? Anche perché non è che guadagnavi lira di Dio, che ti puoi permettere… Come invece adesso che magari tanta gente…».
- O ti adatti a fare il gregario in una grossa squadra e con un bel contratto, allora ha senso…
«E poi sei sempre lì: se hai i numeri che puoi fare altre cose… Io non ce li avevo, mi sono accontentato di questo, anzi per me è già andata bene. M’hanno aiutato, perché entrare in banca… Io non sapevo neanche come funzionava il computer, queste cose, no? Gente che mi voleva bene e…».
- E senza il ciclismo non ci sarebbe riuscito…
«E adesso mi trovo bene, via. Perché mi prendo la mia pensione, vaffanbagno… Ti devi accontentare, perché non è che…».
- …ci sia da scialare.
«Eh, esatto».
- Ha due figli, vero?
«Sì».
- Leggevo di Valentina, che a quattro anni piangeva quando il papà andava alle corse.
«Adesso ha quarant’anni. E ho una nipotina».
- Ah, quindi è nonno?
«Sì».
- E poi un maschio?
«Un maschio, trent’anni. Adesso è a Napoli, è entrato all’ufficio cambi a Malpensa. È stato un po’ la mia “disperazione” perché anche lui…».
- …è precario, come tanti della mia generazione?
«Il problema è che lui la tirava per le lunghe l’università, e non l’ha finita».
- Che facoltà?
«Economia e commercio. Ha dato la “colpa” a me, che lui non voleva fare Economia, però il guaio è che è andato avanti tanti anni, io l’ho sempre… Vai-vai, e poi alla fine…».
- Torniamo al ciclismo: in tv lo guarda, o no?
«Sì, il Giro d’Italia, le corse, sì. Anche perché, bene o male, prima con la Rai sapevi che trasmettevano… Invece adesso non capisco un cazzo. La televisione con Sky è quella di mia moglie, io magari mi metto di là e non ho Sky…».
- Quindi niente Eurosport, niente telecronache di Riccardo Magrini.
«Mi piace Magrini. C’ho corso assieme, è bravissimo. Quando c’è il Giro d’Italia o il Giro di Francia, allora la moglie, il pomeriggio, va fuor delle balle, allora me lo guardo…». [scherza, nda]
- Lo so che lei già non correva più, ma le chiedo un parere. Quando nell’87 ha visto la tappa di Sappada con Roche che attaccava Visentini, il suo capitano, lei che cosa ha pensato? Si ricorda?
«No».
- C’era Visentini in maglia rosa…
«L’ho visto in televisione».
- Non se lo ricorda, quindi?
«No, ma non sta a me dare un giudizio».
- Un’opinione da ex corridore, da uno che ha corso con Visentini, se la sarà fatta…
«Eh, l’opinione è che Roche era più forte».
- Per lei è tradimento o quello era più forte e se n’è andato via?
«No, non è tradimento. Dipende dai punti di vista».
- Eh, io quello volevo sapere: il punto di vista di Chinetti.
«Quando han preso Roche, se Boifava gli ha detto: “Tu devi fare da gregario a lui”, allora è tradimento; ma se non gliel’ha detto, a un certo punto… Mi ricordo anch’io, un Giro della Val d’Aosta: l’avrei vinto con una gamba sola, e i miei compagni m’han corso contro. Sono andati in fuga, invece di non tirare, tiravano anche loro. E son arrivato a venti minuti. Questo…».
- …sì che è tradimento.
«Eh, infatti, il giorno dopo “gliela faccio pagare”. Sì, sono arrivato io con diversi minuti di vantaggio. Ho fatto secondo in classifica generale e quell’anno l’avrei vinto il Giro della Val d’Aosta, nel ’73. Quell’anno andavo forte. Però, giustamente, se non hai una squadra… per te. Però posso anche capire, perché, se questi qua, che non guadagnavano un cazzo, si son trovati in fuga e a un certo punto si son messi a tirare. Magari qualcuno gli ha offerto qualcosa, capito? E lì, uguale. Roche ha fatto il suo dovere. Certo, per Visentini era…»
- Lei ha fatto in tempo a correre con Roche?
«Quando ha iniziato?».
- Roche è passato professionista nell’81.
«Ah, be’, sì. E lui alla Carrera quando è andato, nell’86, però?».
- Sì. Però il primo anno ha corso poco per via dei problemi al ginocchio picchiato cadendo alla Sei Giorni di Parigi nel novembre ’85…
«Io, ho smesso nell’85, e corse all’estero ne facevi poche, specialmente noi della Supermercati Brianzoli. Forse, l’unica corsa che sono andato a fare è stata la Parigi-Roubaix che son stato male».
- Lei però ha corso due Tour de France.
«Uno l’ho finito [nell’82, nda]. Tra l’altro, quello lì che ho finito, mi ricordo che avevano invitato tutti chi aveva finito i Tour, e non m’avevano invitato. Avevano invitato diversa gente e io non…».
- Perché?
«Boh, non lo so, non mi sono mai…».
- E poi la famosa Vuelta ’81 in cui lei vinse una tappa e Battaglin la classifica generale.
«E Bontempi due tappe ».
- In quella Roubaix in cui è stato male che cosa le è successo?
«La sera, lì, eravamo al motel. In conclusione, mi son mangiato un ananas intero».
- La sera prima?
«La sera prima. Vado a letto, alle dieci, all’una ho cominciato a star male, ma un male terribile».
- Di stomaco? Eh, ma un ananas intero…
«Non lo so se è stato quello. M’han ricoverato all’ospedale. E lì m’hanno diagnosticato una pancreatite acuta. Praticamente son rimasto… Da venire a casa il giorno dopo».
- Ma quella Roubaix quindi non l’ha corsa?
«Eh no, l’ho vista alla televisione. M’han messo giù le cannette, sennò da impazzire dal dolore. E lì son tornato, ho fatto visite di qua, visite di là: pancreatite, non guarirai più… Invece, è stato l’anno… Ho iniziato a maggio, con poco allenamento, e al Giro d’Italia sono arrivato nei primi quindici».
- Che anno era? Nel ’78 al Giro lei ha fatto 13°, nell’84 ha chiuso 14°.
«L’84, alla Supermercati Brianzoli, esatto. Ero con Stanga».
- Che personaggio era Stanga? Come ci si è trovato?
«Una brava persona. Bravo. Non aveva ancora l’esperienza di quando, dopo, praticamente ha preso tutti campioni».
- Con quali direttori sportivi si è trovato meglio?
«Boifava. Menicagli, che però ti lasciava fare. Fontana. Ma ai tempi non è che ti imponevano, devi far così, capito? Facevamo un po’ noi. Eravamo noi che… Loro ti dicevano, ma non è che… Adesso, cazzo, se non fai quello che ti dicono… Ti mandano anche a casa».
- Sì, e visto il grano che prendi, hanno più potere, no? Pretendono.
«Sììì. Poi le radioline, di qua e di là, tira…».
- Era un altro ciclismo. Alfredo Chinetti in quello di oggi, con le radioline, l’srm, come si sarebbe trovato? Farebbe ancora tutto a sensazione?
«È un’evoluzione, no? Se avessi corso adesso, magari avrei imparato».
- Come in banca: alla fine, uno impara.
«Certo, ho dovuto lottare. Tante volte piangevo. Perché sono entrato, in quattro anni han cambiato tre sistemi, imparavo una cosa ed ero già… Perché magari cambiava, diventava Popolare di Bergamo, e prendevano i suoi sistemi… Cazzo, ritornavo a casa, mia figlia ancora me lo dice: Ti vedevo piangere… [sorride, nda] Però, va bè, alla fine…».
- La bici come terapia. Perché lì uno si sente libero.
«Sì, sì, infatti: prendo la bici e mi sfogo. Sono proprio rilassato, in tutto».
- E lì nessuno ti può comandare. Sei tu che vai. Se non vai, non c’è alibi che tenga. Se non vai è perché non vai.
«È vero, è vero».
CHRISTIAN GIORDANO
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