Scuola Ajax, il segreto del suo successo

Trent’anni dopo lo storico «Grande Slam» un’altra covata di giovani talenti sta per invadere l’Europa, nel solco della tradizione…

di CHRISTIAN GIORDANO, Calcio Gold (2003)

Qualsiasi cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. In quello del pallone è successo. Con il Calcio Totale. E al contrario di quelle di Platone e di Marx sulla convivenza felice, l’Utopia di Michels prima e di Kovacs poi – vincere divertendo – non solo si è realizzata, ma ha fatto Scuola. Quella dell’Ajax.

A volte, nel calcio e nella vita, assistiamo a coincidenze perlomeno strane. Nel 1972, a Rotterdam, Ajax e Inter si contendevano il massimo trofeo continentale. Gli olandesi, all’apice della loro epopea, erano i cavalieri che fecero l’Impresa: centrare il Grande Slam, prima ancora che fosse inventato. Nello stesso anno razziarono tutto: Eredivisie, Coppa d’Olanda, Coppa Campioni, Coppa Intercontinentale. La Supercoppa Europea, ideata dal quotidiano di Amsterdam «De Telegraaf» per magnificare la grandezza di Cruijff e compagni, vide la luce solo nel gennaio del 1973, e finì subito in bacheca, a spese dei Glasgow Rangers.

Sei lustri dopo, un déjà vu: la manifestazione si chiama Champions League, l’eliminazione diretta è un miraggio fino ai quarti e il Gruppo D mette di fronte due squadre nemmeno paragonabili alle rispettive antenate. Eppure il fascino della tradizione esiste e resiste. A tutto. E analizzando al microscopio i vetrini della storia del calcio se ne scoprono delle belle.

Il Grande Ajax della prima metà degli anni Settanta praticava un calcio spettacolare, frutto di una preparazione fisico-atletica all’avanguardia e di una tattica innovativa. Posizioni e ruoli fissi venivano di fatto aboliti da giocatori duttili che sapevano fare bene tutto. Il ricorso al fuorigioco era sistematico come la fitta ragnatela di passaggi che preparava improvvise e rapide verticalizzazioni. Ma il vero motore che muoveva l’Arancia Meccanica, così era stata soprannominata la nazionale orange seconda ai mondiali del 1974, era il gran numero di fuoriclasse appartenenti, per un capriccio del Caso, alla stessa generazione: quella dei fluidificanti Suurbier e Krol, dei centrocampisti Haan e Neeskens, degli attaccanti Keizer, Rep e, su tutti, Cruijff. Questi, grandissimo in campo, saprà dimostrarsi tale anche in panchina.

Chiusa a 37 anni suonati una carriera ventennale che nell’ultima stagione (1983-84) lo ha visto addirittura al Feyenoord, il Profeta del gol torna all’ovile. Prima direttore tecnico quindi manager (inteso all’inglese) rifonda il settore giovanile gettando le basi di ciò che l’Ajax è oggi, la miglior scuola di calcio al mondo. Un risultato troppo grande per un uomo solo ma più alla portata se quell’uomo si chiama Johan Cruijff, la quintessenza dello scibile calcistico. Un comandante che ha sempre preferito tolde non affollate. Nel 1988, dopo l’ennesima diversità di vedute con la dirigenza salpa alla volta della «sua» Barcellona per ripercorrere da tecnico la via intrapresa da giocatore. Sull’Amstel navigano senza faro ma la rotta è tracciata.

Come era avvenuto nel 1965 con l’ex centravanti Michels, l’Ajax ha continuato a richiamare le bandiere del passato, meglio se allevate in casa. Secondo la filosofia «ajacide» esse portano in dote una merce inacquistabile: l’esperienza coniugata all’amore per la maglia, il senso di appartenenza. Da allora, per tramandare lo spirito Ajax, una miriade di ex biancorossi ha fatto ritorno, con vari incarichi, alla società che li aveva cresciuti e/o lanciati. Alcuni, ormai a fine carriera, come chioccia ai giovani della prima squadra: dallo stesso Cruijff ad Arnold Muhren, da Rijkaard fino a Winter, Richard Witschge e Litmanen; altri come allenatori: Michels (due volte), Cruijff, Van Gaal e, oggi, Ronald Koeman, il suo secondo Ruud Krol e Van Basten che segue il parco attaccanti; o come dirigenti: l’attuale direttore sportivo Danny Blind. L’elenco è infinito.

Che all’Ajax fioriscano i talenti è una non notizia. Ogni anno almeno un paio di ragazzi del vivaio si affacciano in prima squadra. Per qualcuno è il punto di partenza verso una carriera ad alto livello, per i più il primo passo di una vita da globetrotter del pallone, per il club l’inizio della vendemmia.

Alla domanda come mai l’Ajax riesca a sfornare continuamente tanti giovani di valore si può cominciare a rispondere che nulla è lasciato al caso. Molto dipende da allenamenti mirati, da investimenti ingenti – in Italia le spese per il settore giovanile incidono dallo 0,3 all’1% del bilancio, un quinto della media europea – ma ancora più importante è ciò che avviene a monte, l’individuazione e la selezione di talenti.

In Olanda, giocare nell’Ajax è il sogno di tutti i ragazzini e per far sì che si avveri si organizzano due volte l’anno dei «provini», i cosiddetti Talentendagen, i giorni del talento. Sui campi adiacenti il vecchio stadio De Meer, centinaia di ragazzi vengono selezionati dai tecnici e dagli ex campioni del club. Assistervi è un’esperienza illuminante. Si vede il calcio ritornare alle proprie origini, dalle quali, col tempo e l’organizzazione, provengono gli ultimi Ajax vincenti, quelli di Cruijff allenatore e di Van Gaal. Le stesse da cui è ripartito Koeman, fresco vincitore del “Double” dopo tre anni di digiuno.



Ciclicamente l’inesauribile serbatoio di talenti del club e soprattutto il suo meticoloso sistema di reclutamento impongono riflessioni sui segreti di una palestra di calcio e di vita che è unica al mondo. La scuola Ajax è una specie di Oxford del football, ma più completa: va dall’asilo al dottorato. La struttura è divisa in cinque categorie, ognuna con due squadre di 16 giocatori. Per comprenderne a fondo la capillare organizzazione serve però un salto a ritroso nel tempo, a quando i bambini giocavano per strada, un aspetto della formazione calcistica moderna ormai smarrito e che invece all’Ajax e in certe zone di Amsterdam è ancora attuale.

Per risalire alle radici del voetbalstraat, del calcio da strada, basta bazzicare Balboaplein, uno dei punti caratteristici della città, dove da piccoli giocavano, fra i tanti, Rijkaard e Gullit. È un luogo nel cuore del quartiere surinamese, lontano dalle rotte turistiche, in cui si respira un’aria che sa di provincia italiana degli anni Cinquanta-Sessanta e di Sudamerica e dove, ancora oggi, si rimane incantati ad osservare la proprietà tecnica di tanti ragazzini che col pallone fanno ciò che vogliono.

Ma per ottenere uno stile di gioco come quello dell’Ajax non basta essere bravi sul piano tecnico, ci vuole di più. Per stabilire se un giocatore è «da Ajax» reclutatori e tecnici adottano il metodo TIPS. La T di Tecnica, intesa soprattutto come controllo di palla. La I di Insight, visione di gioco, liberamente traducibile con il più ampio concetto di Intelligenza calcistica. La P di Personalità, indispensabile per raggiungere i massimi livelli. La S di Speed, velocità, d’azione e di scatto. Tali aspetti vanno poi reinseriti nella globalità del gioco, e il risultato finale prova che l’insieme è più della somma delle parti. Questo deve far riflettere su tanti presunti fuoriclasse che furoreggiano in maglia biancorossa, salvo poi rivelarsi «solo» ottimi giocatori appena indossano un’altra casacca.

Il sistema di gioco dell’Ajax – il cui storico 4-3-3, modulo adottato dai pulcini alla prima squadra, è solo una sbrigativa schematizzazione, non una tattica – richiede una sempre più veloce circolazione della palla, che va conquistata prima possibile. Per questo ai giocatori dell’Ajax è richiesto che con il pallone siano bravi ma soprattutto veloci e collettivamente «intelligenti». Devono saper guardare, anticipare e agire. Più breve sarà il tempo intrercorso tra la ricezione e il passaggio e più sarà difficile, per l’avversario, difendersi. All’Ajax ci si allena molto con partitelle e giochi di posizione. Il primo obiettivo è segnare, ma bisogna arrivarci giocando più o meno nella propria zona di campo e facendo in modo che la posizione del singolo giocatore dipenda da quelle del pallone, dei compagni e degli avversari. Quando si è in possesso di palla bisogna mantenere le distanze e quanto più grandi sono le distanze, tanto più difficoltosa è la difesa del pallone. Per recuperarlo occorre andare sulla palla al momento giusto e ridurre gli spazi. La famosa squadra «corta» e «stretta».

Ma il sistema funziona se si hanno i giocatori «adatti», cioè tecnici, veloci e dotati di buona visione di gioco. Ecco perché nei «Talentendagen» si adotta la formula TIPS come punto cardine delle selezioni. L’attenzione all’abilità tecnica trova conferma in un dato difficilmente riscontrabile in altre realtà. Fino ai 15 anni l’Ajax prende solo attaccanti. Poi avviene una sorta di selezione naturale. Il più bravo fa il centravanti, il secondo il trequartista e così via per gli altri ruoli. Più di tante parole valga l’esempio dell’ex terzino milanista Reiziger. Inoltre si cerca di prendere bambini piccoli per crescerli con la giusta mentalità. Un ragazzo di 17-18 anni viene accettato solo se in grado di giocare in prima squadra (vedi Ibrahimovic e Mido). Per quanto riguarda gli stranieri (ibidem), sono previsto almeno due anni nel settore giovanile per adattarsi al gioco e alla cultura del club e alla lingua. Anche in questo consiste l’«unicità» della scuola Ajax. Che in patria ha da tempo avviato progetti di collaborazione tecnica con l’MVV Volendam. I video didattici realizzati con l’ausilio dei tecnici Van Gaal e Adriaanse da una parte e dal duo Vergoossen-Elsen dall’altra, assieme al fisiologo sportivo Jos Geijsel, sono studiati e tradotti in tutto il mondo.

L’Ajax è da sempre un modello da seguire, oltre che per l’oculata gestione del vivaio, anche per la solidità del bilancio. Da qualche tempo, però, si vocifera che i suoi conti siano in rosso: i debiti ammonterebbero a 30 milioni di dollari, cifre che agli addetti ai lavori italiani faranno sorridere, ma che da quelle parti sono prese terribilmente sul serio. Le cause del deficit vanno ricercate nell’aver legato al marchio Ajax una serie di società satellite, come l’Anversa e il Genk in Belgio, il Goldfields nel Ghana e l’Ajax Cape Town in Sudafrica, negli alti costi di gestione dell’avveniristica Amsterdam ArenA e delle numerose scuole calcio sparse in tutta l’Africa. A libro paga della società, tra la rosa a disposizione di Koeman e gli uomini prestati a club olandesi, belgi e tedeschi, figurano qualcosa come 48 giocatori. La strategia del presidente Michael Van Praag è obbligata: mettere all’asta i gioielli di famiglia. 

Diversamente dal passato, l’Ajax post-Bosman ha saputo ricostruirsi grazie anche a giovani stranieri: Chivu, Ibrahimovic, Mido, Maxwell, O’Brien, Trabelsi, Galásek, Pasanen, Pienaar, Ikedia, Yakubu, Didulica; tutti ragazzi individuati, acquistati, e fatti crescere con pazienza che, insieme a talenti autoctoni come Van der Vaart, Van der Meyde, Sikora (che “Rambo” si è portato dal Vitesse) e Stekelenburg, si apprestano ad emigrare per rinnovare il ciclo. In Italia, dopo Kieft e Van Basten, sono giunti Rijkaard, Van’t Schip, Vink, Winter, Bergkamp, Jonk, Roy, Kreek, Reiziger, Davids, Louhenapessy, Bogarde, Kluivert, Seedorf e chissà quanti altri. Prepariamoci ad una nuova invasione. Il mondo cambia, la storia no.

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