Cruijff


di Gianni Brera
I Mondiali di calcio: storia e personaggi dei campionati dal 1930 al 1974 presentati da Gianni Brera
Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1974

Johan Cruijff è nato ad Amsterdam il 25 aprile 1947. Suo padre erbivendolo se la campava molto modestamente. Quando Johan aveva dodici anni, suo padre è morto e sua madre, povera donna, si è dovuta acconciare a fare la lavandaia. Fra i clienti di madama Cruijff figurava una società di calcio, l’Ajax di Amsterdam. Il piccolo Johan si appassionò di calcio per via dell’Ajax e dei suoi piedi non proprio ben fatti. Questi impulsi suole esercitare l’orgoglio in chi non è fisicamente perfetto: sentendosi fuori dalla norma, il piccolo Johan non ha avuto altra ambizione che dimostrarsi superiore a chi nella norma rientrava per il meglio: che se erano malformati i piedi le gambe erano buone e Johan sapeva giovarsene con naturale baldanza. Un vecchio pallone dell’Ajax gli venne donato per il tredicesimo compleanno ed egli ne fece tesoro. Il calcio è diffuso in tutto il mondo proprio perché lo si può giocare anche da soli, battendo palla contro un ostacolo che la rimandi, per esempio un muro, una staccionata, una semplice tavola. Johan giocava a scuola con la palletta e poi lavorava a perfezionare il tocco sul pallone dell’Ajax. Non visto da alcuno, poteva tranquillamente permettersi di sbagliare senza rimetterci in reputazione. Le sue gambe, ancorché lunghe, si fecero lievemente ipertrofiche. I piedi erano molto sensibili al contatto con la palla: Johan imparò a farne quel che voleva, ma brutti erano, un po’ simili alle palme dei paperi: e per questo Johan non parve subito votato alla fama calcistica.

In Olanda vive bellissima gente, nutrita bene e civile da secoli. Il calcio non vi ha mai fatto grande fortuna perché nessun olandese avrebbe considerato serio vivere pedatando. Ma la guerra aveva portato lutti e disagi economici. La perdita di quasi tutto l’impero coloniale aveva modificato le condizioni di molti. La posizione degli olandesi di fronte agli sport professionistici si trovò a mutare di conseguenza. I meno agiati si diedero a coltivare il ciclismo e il calcio.

L’Olanda fornì allora grandi campioni anche nel ciclismo su strada, che un tempo era snobbato. E nel calcio s’incominciò a disputare un campionato sempre più valido sul piano tecnico. Johan Cruijff propese per il calcio perché era orfano e povero. Sul suo volto si legge ancor oggi il ricordo della miseria, che è fatto di comprensibili angosce e di umiliazioni difficilmente superabili nel giro di una generazione. Johan cresceva molto e sempre più gravava sul collo appiattito dei suoi piedi da papero. Sentirsi diverso dagli altri lo infuriava: nonché deprimersi, reagiva con autentica rabies agonistica. Giocò sempre meglio a calcio e ambì al ruolo che è proprio dei campioni votati alla fama: quello di centravanti. Paura non aveva di nessuno: per quanto balordi potessero sembrare i suoi piedi, sapeva usarli come pochi nel trattar palla, e scattava con progressivi che sicuramente ne avrebbero fatto un grande velocista se fosse nato in una famiglia diversa. Si sa infatti che l’atletica è divertimento di gentlemen ambiziosi, mentre il calcio è soprattutto dei poveri: e tanto meglio se li spinge l’orgoglio fisico.

Johan si fece fare scarpe ortopediche non appena poté disporre di qualche gulden. Lo vide qualcuno dell’Ajax e lo fece accogliere nel grande club per il quale lavorava sua madre da lavandaia. Anche la condizione economica e morale deve aver influito sul suo impegno, Johan entrò in prima squadra all’Ajax nel 1964, a diciassette anni. Quando non aveva ancora compiuto i venti, esordì in Nazionale contro l’Ungheria.

Curioso: il figlio di un altro erbivendolo lo aveva preceduto nella pur folgorante carriera: Giuseppe Meazza, milanese di Porta Vittoria. Johan ne conosceva forse il nome per averlo letto nelle formazioni 1934 e ’38 dell’Italia campione del mondo. Lo stile era ovviamente assai diverso. Meazza era un normotipo vicino al brevilineo. Cruijff, decisamente longilineo, lo sovrasta d’un buon palmo. Lo scatto di Meazza si fondava su leve più corte e agili. Lo scatto di Cruijff ricorda il progressivo dei duecentisti. Entrambi erano e sono altruisti fino alla rinuncia del gol, che è tutto dire per un centravanti. Johan aveva ed ha forse un tiro più forte ma non eguaglia Meazza in eleganza e forse neppure negli atteggiamenti acrobatici: in compenso è più tenace nell’applicarsi.

Via via che aumentavano le attenzioni dedicategli dai difensori avversari, Johan rispondeva con astuti arretramenti. Giocava praticamente in appoggio: rifiniva inventando per i compagni, che entravano a turno per concludere: lo scatto progressivo gli consentiva talora di impostare l’azione e di rientrarvi con slancio irresistibile.

Quando l’Ajax non aveva ancora assunto il modulo ormai dominante, con due terzini centrali, il vecchio, saggio Milan di Nereo Rocco gli diede la paga a Madrid, nella finale 1969 della Coppa dei Campioni d’Europa. Su Johan, dopo qualche incertezza iniziale, finì per andare Giovanni Trapattoni, alla cui diligenza aveva già dovuto arrendersi [dopo 26’ di amichevole e complice un infortunio, ndr] il favoloso Pelé. John si provò a impegnarsi in folate arrembanti: il sapientissimo Trap riusciva sempre a metterci una pezza. Il primo contatto di Johan con un difensore italiano non ebbe dunque fortuna. L’Ajax venne perentoriamente battuto 4-1. Poi, soprattutto per merito di Johan, la squadra degli ajacidi bianchi effettuò un gran balzo verso l’eccellenza mondiale e le grandi milanesi non seppero più reggerne il confronto. Johan acquistò popolarità immensa. La sua casa natale venne ben presto abbandonata per una villa nel quartiere più distinto di Amsterdam. Sul volto di Johan rimasero i segni delle angosce e delle umiliazioni dei poveri ma proprio questo valse ad accrescerne la dedizione al lavoro. Ormai aveva famiglia: era padre di tre bellissimi bambini.

In poco tempo Johan si trovò così ricco che ne ebbero invidia gli stessi compagni, e i dirigenti dell’Ajax incontrarono sempre maggiori difficoltà nell’accontentarlo.

Si presentò l’Inter di Milano a Rotterdam, per la finale 1972 della Coppa Campioni, e quale custode di Johan venne designato il giovane Oriali, che gli resistette per oltre un tempo. Come sbracò la squadra, per un infortunio subito da Giubertoni, anche Oriali dovette arrendersi, ma Johan dichiarò lealmente che mai nessuno l’aveva saputo marcare con l’efficacia e la correttezza dell’esordiente milanese. Come è vero che le brutte giornate non si ricordano mai volentieri, del Trap milanista si era già dimenticato.

Poiché dirigenti e compagni dell’Ajax si comportavano in modo da rendergli sempre più difficile la vita, Johan decise finalmente di farsi pedatore di ventura: il Barcellona lo acquistò nel 1973 per un milione di dollari (a lui ne toccò più di un quarto). Il Barcellona non vinceva da quattordici anni il campionato: lo aveva lasciato nelle canne Helenio Herrera, dopo averlo spremuto in epiche battaglie contro il Real Madrid.

Johan venne a Barcellona, vide e vinse. La Società riuscì ad ammortizzare in un anno le spese per acquistarlo e vinse di bel nuovo il campionato.

Per lasciare che Johan disputasse i mondiali nella nazionale olandese, i dirigenti del Barcellona pretesero un’assicurazione di tre miliardi di lire sulle sue preziosissime gambe. Gli olandesi dovettero accettare per non fare la misera fine dell’Ajax, che senza l’apporto di Johan aveva perduto prima il campionato e poi la Coppa Campioni.

Ai mondiali 1974, Johan assunse la regia e fece subito dell’Olanda la squadra più favorita, il gioco di Johan aveva perduto ogni frangia accademica: era essenziale e pratico, lineare e pulito come riescono a essere le sole opere dei classici.

Intorno a lui, in assiduo carosello, campeggiavano i compagni che erano stati al suo fianco nell’Ajax e che sinceramente lo avevano rimpianto: gli altri, i nemici, erano stati lasciati ai margini dal tecnico Rinus Michels, che lo aveva preceduto al Barcellona.

Come sempre Johan comandava i compagni a bacchetta, ispirandogli prodezze delle quali senza di lui mai sarebbero stati capaci. Del gioco olandese ebbi io stesso a scrivere che era splendido ma, sotto certi aspetti, anche fin troppo difficile. Solo Johan, in effetti, ne giustificava gli schemi ampi e veloci. Di lui si parlò giustamente come dell’eroe eponimo dei mondiali 1974. Il favoloso Pelé aveva trovato nell’olandese volante il più degno successore.

Il grande Johan non ha avuto la soddisfazione di vincere il X mondiale. Nella durissima battaglia finale del 7 luglio, a Monaco, ha vinto – ed è giusto dire meritatamente – la Germania Ovest del “Kaiser” Franz Beckenbauer. La maggiore esperienza internazionale dei panzer tedeschi, unita a una giornata di grazia e ad una giusta dose di modestia, ha prevalso sui ragazzi, spericolati e romantici, in maglia arancione, che dopo avere attraversato l’intero torneo illuminandolo con il loro splendido gioco, hanno ceduto solo sul filo del traguardo. Cruijff torna a casa accompagnato dalla gratitudine di quanti amano il calcio autentico.
GIANNI BRERA

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