Gene Hackman, Hoosiers e la magia della Milan High School

La vittoria più impronosticabile dell’Indiana.
FOTO: The Today Show
Gene Hackman non c’è più. Il che è assurdo da dire ad alta voce, perché per chi ama il cinema e lo sport, Hackman è eterno. Se n’è andato uno degli attori più autentici e carismatici di sempre, capace di incarnare con naturalezza sia Jimmy Doyle, il detective brizzolato che spacca tutto (Il braccio violento della legge, 1971), sia Lex Luthor, il ‘cattivo’ più sopra le righe di tutti (Superman, 1978). Ma Hackman era molto di più: un artista che sapeva rendere ogni ruolo umano, credibile, indimenticabile.
Ciò detto, per noi amanti del basket, Hackman è – e sarà sempre – coach Norman Dale. Il condottiero ruvido e ostinato di Hoosiers, il film che ha cristallizzato sullo schermo l’essenza dell’underdog sportivo. Un personaggio che, con il suo carisma burbero e la sua visione granitica del gioco, incarna alla perfezione lo spirito di chi sa che la vittoria non si ottiene con il talento individuale, ma con il sacrificio, la dedizione e il lavoro di squadra.
La prima volta che vidi Hoosiers non si chiamava Hoosiers. Era Colpo Vincente, un titolo che, nel grande manuale delle traduzioni italiane ‘a casaccio’, occupa un posto d’onore accanto a Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind) e Le ali della libertà (The Shawshank Redemption). Lo recuperai su un VHS, registrazione in seconda serata RAI, prestatami da un compagno di squadra. Uno di quelli che, dopo l’allenamento, restava a tirare finché non insaccava almeno dieci tiri liberi. Un mantra che avrebbe reso fiero coach Dale. Ricordo ancora la qualità un po’ sgranata della registrazione, le voci del doppiaggio con quell’inconfondibile eco anni ‘80 e l’improvvisa consapevolezza, a fine visione, di aver visto qualcosa di diverso.
Hoosiers non è solo una storia di basket. È una storia di seconde possibilità, di riscatto e di orgoglio. Coach Dale arriva nell’immaginaria Hickory con un passato da dimenticare e una missione da compiere: prendere un gruppo di ragazzi e trasformarli in una squadra vera. Non cerca il talento puro, non cerca la gloria personale, ma vuole forgiare uomini, creare un’identità. E nella sua ostinazione, nelle sue regole rigide, nella sua capacità di sfidare tutti per il bene della squadra, diventa più di un allenatore. Diventa un simbolo.
Ma prima di parlare di Hackman e di Hoosiers, bisogna partire da lontano, da una piccola scuola dell’Indiana che nel 1954 ha scritto una storia impossibile da ignorare. Perché senza la Milan High School, non ci sarebbe mai stato Hoosiers. Senza quei ragazzi che hanno ribaltato ogni pronostico, senza quel coach che ha creduto in loro, senza quel tiro che è entrato nella storia del basket, oggi non staremmo qui a parlare di uno dei più grandi film sportivi di sempre.
Milan High School 1954: Il miracolo prima del film.
Il basket in Indiana negli anni ‘50 era diverso. Niente divisioni per grandezza della scuola. Un torneo unico per tutti. Le piccole realtà affrontavano autentiche potenze, giocando con la consapevolezza di dover superare ostacoli insormontabili. Eppure…
Eppure ci sono momenti in cui il tempo sembra fermarsi. Il silenzio in un’arena colma di gente, i battiti accelerati di un’intera città che si aggrappa al miracolo, l’ultimo respiro prima che la palla lasci la mano del suo prescelto. Il numero 25, Bobby Plump, avanza oltre la metà campo, il cronometro scivola verso lo zero, e mentre il pallone rimbalza a terra c’è un’energia elettrica che percorre le tribune. La Butler Fieldhouse, un colosso da quasi undicimila spettatori, trattiene il fiato.
I ragazzi della Milan High School, guidata dal coach Marvin Wood, sono piccoli, sconosciuti, destinati a fare da comparsa contro la corazzata di Muncie Central, scuola dieci volte più grande, un nome che incute rispetto e timore. Ma non quel giorno. Il 20 marzo del 1954, il basket dimostra che la realtà non segue sempre il copione scritto.

FOTO: Stateline Sports Network
Plump si arresta, il corpo leggermente sbilanciato all’indietro, il braccio che si allunga con la grazia istintiva di chi ha ripetuto quel gesto migliaia di volte. Il tiro parte. L’arco perfetto, il rumore sordo della retina che si muove appena. La panchina esplode, gli spalti diventano un terremoto di pura incredulità, e gli studenti di una scuola di appena 161 anime sono ufficialmente i campioni dell’Indiana. Davide ha abbattuto Golia.
Questa è la storia che ha acceso l’immaginazione di milioni di persone. Il tipo di leggenda che non ha bisogno di Hollywood per essere romanzata. Ma quando Hoosiers, oltre trent’anni dopo l’epica vittoria della Milan HS, tradusse quella grande storia sportiva in un film, Gene Hackman, nei panni di Norman Dale, diede a quella favola un’anima immortale.
Hoosiers (1986): more than a movie.
Dopo l’uscita nelle sale, gli amanti del basket sapevano già cosa aspettarsi: il classico racconto dell’outsider che sfida tutti e vince. Eppure, quello che fecero David Anspaugh (regista) e Angelo Pizzo (sceneggiatore) fu qualcosa di più. Hoosiers non fu solo un film sportivo. Piuttosto, una lettera d’amore alla pallacanestro, alle sue radici, alla sua capacità di trasformare le persone e di diventare un linguaggio universale per chi crede nel sacrificio e nel gioco di squadra.
Norman Dale è tutt’altro che l’allenatore perfetto. Un uomo con un passato tormentato, un uomo in cerca della sua seconda occasione in una piccola città dell’Indiana. Vuole che i suoi ragazzi giochino nel modo giusto, che capiscano il valore della squadra sopra l’individualità. E quando gli chiedono perché si ostini a far fare cinque passaggi prima di tirare, lui non si scompone: “You’ll thank me when it matters”.

FOTO: Indy Star
Ed è così. Perché il film ambisce ad essere molto più di una storia di redenzione sportiva: è il ritratto di un uomo che, attraverso il basket, riscopre il proprio valore e dà ai suoi giocatori una filosofia di vita. Qui, ogni dialogo, ogni dettaglio, ogni azione in campo costruisce un crescendo emotivo che va oltre la pallacanestro e diventa un testamento al sacrificio e alla determinazione.
Il film è pieno di momenti indimenticabili, dalla misurazione del campo (“Vedete? Stessa altezza, stessa distanza.”) alla standing ovation di un’intera città per Shooter, il coach alcolizzato interpretato da Dennis Hopper. C’è una tensione costante, un senso di costruzione graduale che porta lo spettatore a tifare per Hickory non solo perché è la sfavorita, ma perché rappresenta un viaggio emotivo in cui ognuno può riconoscersi. Persino chi non ha dimestichezza con la pallacanestro.
Tuttavia, c’è un dettaglio che sfugge ai più: Hackman si applicò tantissimo prima di girare il film. Letteralmente. Brad Long, che ha interpretato il ruolo del capitano della squadra Buddy Walker, ha affermato di aver ammirato l’attore per il modo in cui si era preparato al ruolo di Norman Dale.
«Quando abbiamo iniziato a girare, avrebbe potuto essere una vera prima donna e venire e dire, “Fammi vedere le scene, dammi le mie battute e levati di mezzo”. Gene non lo fece, disse invece: “Voglio andare ad alcuni allenamenti di squadre liceali, voglio vedere il linguaggio che usano”. Cioè, aveva interpretato molti ruoli nel corso degli anni, ma era comunque disposto a imparare.»
Non aiutava il fatto che le condizioni di ripresa fossero tutt’altro che confortevoli. Le palestre fredde, gli orari di lavorazione estenuanti e il budget ridotto obbligarono la troupe a fare miracoli per ricreare l’atmosfera degli anni ’50. Ma la vera svolta arrivò alla fine delle riprese.
Hackman, convinto di aver fatto fiasco, lasciò il set con l’amaro in bocca. Fu solo mesi dopo, durante un’anteprima a Los Angeles, che si rese conto di quello che Hoosiers era diventato. Quando le luci si accesero, il pubblico era commosso, gli applausi scroscianti. Hackman si voltò verso Anspaugh e, con quel tono tra il burbero e il complice che Norman Dale avrebbe approvato, disse semplicemente: «Okay, forse non è poi così male.».
In patria il film fu quindi accolto benissimo. E in Italia? Quando Hoosiers sbarcò nel Bel Paese nel 1987 con il titolo Colpo Vincente, il pubblico non era preparato alle suggestioni di questo film sportivo. La pellicola venne presentata in anteprima alla 42ª edizione del Festival di Cinema Sportivo di Torino, con la presenza dello stesso Gene Hackman. Nonostante ciò, la pellicola non ricevette immediatamente l’attenzione che meritava. Il suo primo passaggio televisivo avvenne nell’agosto del 1990. Solo negli anni successivi, grazie al passaparola e alle repliche televisive, Colpo Vincente guadagnò lo status di cult tra gli appassionati.
L’eredità di Hoosiers: Invecchiare bene.
Quasi 40 anni dopo, Hoosiers non è invecchiato di un giorno. Non è un caso che sia diventato ‘IL’ film sportivo per eccellenza, quello che ogni attempato allenatore vorrebbe mostrare ai suoi giocatori per far capire loro cosa significhi davvero il basket. Questo perché la sua lezione va oltre il gioco. Parla di disciplina, di sacrificio, di lavoro di squadra e soprattutto di seconde occasioni: quegli istanti in cui un individuo, un team, o persino un’intera comunità ha l’opportunità di riscrivere il proprio destino. Norman Dale ne cercava una. Shooter ne aveva bisogno disperatamente. Jimmy Chitwood (il ‘Bobby Plump’ del film) l’ha trovata nel momento decisivo, quando la palla lasciava le sue mani nell’ultimo secondo di una partita che avrebbe riecheggiato nella storia. E la Hickory/Milan High School dimostrò al mondo che pure gli ‘sfavoriti’ hanno una chance, che un sogno, anche il più audace, può diventare realtà.

FOTO: Altoona Mirror
Con la scomparsa di Gene Hackman, perdiamo un attore straordinario, un interprete che ha saputo dare anima e credibilità ai suoi ruoli. Ma il lascito di coach Dale continuerà a ispirare chiunque abbia mai indossato un paio di sneakers, chiunque abbia mai avuto paura di non essere ‘abbastanza’, chiunque abbia mai guardato un obiettivo lontano decidendo di inseguirlo, a ogni costo.
Perché il vero messaggio di Hoosiers è sempre stato questo: forse non tutti diventeranno campioni, ma tutti possono diventare parte di qualcosa di più grande. Ecco quello che Gene Hackman, da qualche parte lassù, continuerà a insegnarci.

FOTO: Indiana Landmarks
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