CAPITOLO 1 - Il campagnolo di New York


«La nostra famiglia ha sempre cercato di fare in modo che le cose accadessero piuttosto che aspettare che succedessero da sole. E abbiamo sempre ritenuto che se lavori duro, puoi farle accadere come vuoi tu.»
– James Jordan

di CHRISTIAN GIORDANO ©
Michael Air Jordan
© Rainbow Sports Books

Esiste un luogo comune, forse un po’ logoro ma comunque sempre efficace nell’esprimere tutta la “newyorkesità” degli abitanti di quella che in molti considerano la vera capitale del globo, che recita più o meno così: «Se sfondi a New York, puoi sfondare dappertutto». E quasi a voler darla vinta al vecchio adagio che tanto inorgoglisce i newyorkesi – i quali, a torto o a ragione, in genere si ritengono in qualche modo più “forti”, capaci di “spingere” di più degli altri americani (figurarsi del resto del pianeta ) –, le divinità cestistiche hanno voluto, e ottenuto, che Il Migliore nascesse proprio lì, nella più celebre e suggestiva culla della pallacanestro mondiale. Quella che lo stesso Jordan ha definito «la Mecca del basket», “Gotham City” . 

Forse fra voi che avete comprato questo libro potrebbe ancora esserci qualcuno a non sapere che Michael Jeffrey Jordan è venuto alla luce, il 17 febbraio 1963, al Cumberland County Hospital di Brooklyn, uno dei cinque boroughs (“distretti”) che, assieme a Manhattan, The Bronx, Queens e Staten Island (chiamata anche Richmond) formano New York. 

«Ma come, Jordan non proveniva dal North Carolina?», potrebbe essere la prima, un poco scomposta reazione dei jordanologi più incalliti. E subito seguirebbero profonde manifestazioni di sdegno e di disprezzo per il nuovo, millantatore biografo di turno. Spieghiamo, allora, se non altro per evitare il peggio: vendere le uniche due copie a mamma e papà. 

I Jordan erano sì una famiglia del North Carolina ma, alla nascita di Michael Jeffrey, il quarto dei cinque figli di James Raymond (Ray) Jordan e Deloris Peoples, essi si trovano temporaneamente nel distretto più popoloso di New York, situato nella parte più occidentale di Long Island , perché il capofamiglia, di professione meccanico, deve frequentarvi un corso di formazione professionale organizzato dalla General Electric, la compagnia per cui lavora. 

La signora Jordan è incinta di cinque mesi quando, nell’autunno del 1962, avviene la prematura, inaspettata scomparsa di sua madre; il conseguente drammatico choc che la vicenda inevitabilmente le provoca, aggiunto ad un già latente stress da superlavoro, rischia di farla abortire. I dottori, preoccupati per Deloris, affetta da un pericoloso stato d’ansia, per salvare il nascituro le prescrivono sette giorni di riposo assoluto a letto. Per poco non si ebbe l'interruzione della gravidanza e ci fu anche qualche dubbio che la creatura che stava per venire al mondo non ce l’avrebbe fatta. Fortunatamente tutto andò bene. 

L'arrivo del terzo maschietto, nato dopo James Ronald, detto “Ron”, Delois Chasten e Larry, riporta serenità ad un'affranta Deloris: «Michael è stato un segno del destino che mi ha ridato la gioia di vivere in un brutto momento della mia vita», avrebbe detto in seguito. Ma, perlomeno limitatamente ai primi tempi, alla ritrovata serenità si sarebbero aggiunte anche delle preoccupazioni. 

Subito dopo il parto, il neonato sanguinava dal naso e per questo i medici decisero di tenerlo ricoverato in osservazione per altri tre giorni dopo che sua madre era stata dimessa normalmente. Fino all’età di circa cinque anni, la salute del bambino dà da pensare perché il naso di tanto in tanto gli sanguina e apparentemente senza ragione, poi, all’improvviso com’era iniziato, il fenomeno cessa. Non cessano, invece, i pericoli corsi dal bebè. 

Raccontare oggi questi episodi può far sorridere, ma soltanto perché allora non successe nulla di grave. Comunque sia, questi piccoli incidenti infantili sembrano indicarci in anticipo due caratteristiche fondamentali del futuro MJ: la capacità di compiere balzi prodigiosi e l’avere accanto una fortuna sempre pronta a baciarlo. Ancora molto piccolo, una volta Michael cade finendo dietro al letto dei suoi genitori e per poco non rimane soffocato. 

Il primo volo del futuro “Air” non era andato bene. A circa due anni, il pargolo prende in mano un paio di cavi elettrici che suo padre ha collegato provvisoriamente, nel garage di casa, per illuminare l’auto sulla quale sta lavorando. Secondo la versione di papà James, poco prima aveva piovuto e quando l’inconsapevole infante fa toccare i contatti, la scarica che ne segue lo fa volare a quasi mezzo metro di distanza. Il piccolo Mike, che dallo choc non riesce neanche a piangere, rischia seriamente di rimanere folgorato. Il più… elettrizzante giocatore di basket di sempre poteva rimanerci secco. 

Che sia nato sotto una buona stella è fuor di dubbio e, da grande, Jordan ne sarebbe stato più che consapevole: “Ci sono state un sacco di cose che sono successe, anche quando ero più grandicello, che avrebbero potuto cambiare tutto». Ma non finisce qui, direbbe un simpaticissimo presentatore di Corride del passato. “Quando eravamo all’università – prosegue Michael nel rievocare alcune delle vere e proprie sciagure che l’hanno accompagnato nella sua vita – la mia ragazza di allora fu travolta da un’onda e annegò. Una volta , stavo nuotando con un amico quando entrambi fummo risucchiati nell’oceano da una forte risacca. Io riuscii a salvarmi e a far ritorno a riva, lui non è più tornato. Come si può affermare che non ci sia un disegno per tutti noi?”. Per almeno una volta nella vita, Jordan si era espresso da fatalista. 


FRATELLI DI CAMPAGNA

Terminata la training school di papà James, nel settembre di quello stesso anno, il 1963, la famiglia Jordan fa ritorno nella cittadina di campagna di Wallace, nel North Carolina appunto. 

Era stato proprio là, nella piccola Wallace, che nel 1954, terminata una partitella di basket tra amici e cugini, il diciottenne James aveva conosciuto la “sua” Deloris , all’epoca appena quindicenne. “Un giorno ti sposerò”, le aveva subito detto al primo approccio. La signora Jordan prossima ventura reagì come avrebbe fatto una qualsiasi ragazza per bene, e soprattutto del Sud, di allora: pensò che quel giovanotto così impertinente e sfacciato fosse un “po’ troppo “intraprendente”” con le ragazze e gli girò al largo, ma la cocciuta ostinazione di James alla fine lo avrebbe ripagato.

Dopo il liceo, le strade dei due ragazzi si divisero, e non esattamente per libera scelta: su insistenza dei genitori, preoccupati per l’eccessiva precocità di un’eventuale storia “seria” a quell’età, Deloris fu spedita, infatti, al college, al Tuskegee Institute, nell’Alabama; James entrò invece nell’Air Force, l’Aeronautica militare. In ogni caso, come succede sempre in questi casi, quando le famiglie hanno il brutto vizio di mettersi mezzo, il corteggiamento continuò e quando, nella primavera del 1957, lui si propose concretamente, lei accettò. Quello stesso autunno si sarebbero sposati.

A quei tempi, il mondo era completamente diverso non tanto da quello d’oggi, il che è ovvio, ma anche da quello di una generazione fa. All’epoca in cui erano giovani i futuri genitori di Michael, la segregazione nel Sud degli Stati Uniti era (è?) un “modo di vivere”, una sorta di stato naturale delle cose. Trattati come cittadini di seconda, o forse è più appropriato dire di terza, di quarta o di nessuna, classe, i neri si trovavano ad essere giudicati da un inesistente ma terribilmente presente tribunale. “Giudicati” non per chi e che cosa erano o facevano, ma per il loro colore. Un muro non fatto di mattoni ma, proprio per questo, ancora più impenetrabile: la barriera della pelle.

Fortunatamente, però, sia James sia Deloris erano cresciuti in una zona in cui il vicinato era, da quel punto di vista, “daltonico”, un posto dove tutti si aiutavano l’un l’altro e si veniva trattati per ciò che si era o per come ci si comportava, più che per le varie sfumature della pigmentazione. Una lezione che i coniugi Jordan non avevano mai dimenticato e che si erano ripromessi di trasmettere ai loro figli. 


L'ETA' DELL'INNOCENZA PERDUTA

L’America tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, il periodo dell’infanzia di Michael, è una nazione a dir poco inquieta, per usare un eufemismo. 

Il 25 agosto dello stesso anno della sua nascita, quel fatidico ’63, si radunarono nella capitale oltre 250 mila persone in quella che passò alla storia come la “Marcia della Libertà” di Washington: un quarto di milione di uomini e donne (tra i quali, fortunatamente, non mancavano dei “visi pallidi”) in difesa dei diritti della gente di pelle nera. O, perché no, di pelle gialla o rossa. Insomma, “non bianca”, se per “bianca” intendiamo quella che aveva il privilegio di non vedere continuamente calpestati i propri più elementari e inalienabili diritti di persona umana.

Neanche tre mesi dopo, il 22 novembre, a Dallas, Texas, il Presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, il portabandiera della Nuova Frontiera americana viene assassinato, presumibilmente ma non troppo, da Lee Harvey Oswald, a sua volta ucciso, subito dopo, dall’altrettanto misterioso Jack Ruby. 

Primo cattolico giunto alla Casa Bianca, JFK, l’uomo che voleva traghettare il Paese verso un nuovo progresso non solo economico ma anche civile, aveva incontrato l’opposizione del Congresso e, forse, pestato troppi calli. 

Cinque anni dopo, la stessa sorte sarebbe toccata ad un altro Kennedy, suo fratello Robert , ucciso da Shiran Bishara Shiran proprio quando stava per essere nominato candidato presidenziale. 

Un’altra illustre ed indimenticabile vittima di quel periodo di sangue fu il reverendo battista Martin Luther King Jr., leader del movimento nonviolento e Premio Nobel per la Pace 1964, ucciso a Memphis, Tennessee, il 4 aprile ’68, a colpi di fucile, pare, da tale James Earl Ray. 

Contrapposto all’organizzazione pacifista di King vi era invece il movimento integralista dei neri americani denominato Black Power, “Potere Nero”, molto attivo negli anni 1969-70. 

Risulta quasi superfluo ricordare il clamoroso gesto di protesta di Tommy “Jet” Smith e John Carlos, che si presentano guantati di nero e scalzi sul podio di Città del Messico alle Olimpiadi del 1968 dopo aver vinto rispettivamente la medaglia d’oro e quella di bronzo nella gara maschile dei 200 metri piani. 

Malcolm X, pseudonimo sotto cui si celava Malcolm Little, il leader dell’ala più oltranzista dei Black Muslims , Mussulmani Neri, è invece assassinato a Harlem, New York, il 21 febbraio del 1965. 

Intanto la “Sporca Guerra” del Vietnam aveva letteralmente spaccato in due il Paese. Proprio in quegli anni, l’offensiva del Movimento dei Diritti Civili contro il razzismo perpetrato nei confronti di “Jim Crow” stava appena incominciando ad interessare la Carolina del Nord, uno Stato prevalentemente rurale (metà dei suoi abitanti vive fuori dai centri urbani) e di fortissima “tradizione” sudista, secondo a nessuno per sentimenti e ricordi confederati. 

Il North Carolina è uno Stato un po’, se così si può dire, atipico perché è una regione certamente meridionale degli Stati Uniti, ma non del profondissimo Sud nella maniera in cui possono esserlo invece l’Alabama o la Georgia, la Louisiana o il Mississippi (del quale, per ovvi motivi razziali, si dice sia l’unico Stato in cui bisogna mettere indietro l’orologio di... un secolo). 

A voler essere precisi, le due Carolina e la stessa Georgia sono Stati che si affacciano sull’Atlantico però sono anche parte del vasto complesso della vallata del Tennessee, e tutti e tre sono di radicata tradizione schiavista. I loro uomini, pur sconfitti, combatterono alla morte a favore della secessione del Sud e le testimonianze patriottiche sono presenti in ogni angolo, anche delle più piccole città. Eppure la popolazione nera locale, la cui storia d’immigrazione verso il Nord in quegli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta era solo agli inizi, in quei territori si riconosce. 

La società, nel periodo dell’infanzia di Jordan , era ancora largamente lacerata dalla segregazione, ma il cambiamento e le tensioni sociali erano già da tempo nell’aria. 


PICCOLI JORDAN CRESCONO…

Anche dal punto di vista sociale, il giovane Jordan sembra essere nato sotto una buona, buonissima stella. Perché nonostante lo scenario tutt’altro che idilliaco che vi abbiamo appena descritto, secondo mamma Deloris i suoi figli “sono cresciuti in modo normale, come tutti gli altri bambini”. In particolare il piccolo Michael era un bambino felice, sempre allegro, anche se un tantino irrequieto, il classico “terremoto”. 

“Se c’era qualcuno che avesse più bisogno di essere disciplinato, quello era lui” avrebbe ammesso sua madre. Michael, che era il più estroverso dei fratelli Jordan, evidentemente aveva ereditato da suo padre il senso dell’umorismo e la passione per gli scherzetti. La stessa Deloris ha sempre ripetuto che “se c’era una cosa in cui si trattava di misurarsi lui era l’unico a provarci”. La pianticella del competitore implacabile, quindi, aveva già messo le radici, e pure profonde. “Lui ti metteva alla prova fino all’ultimo,” aggiunge Deloris “Lo ha sempre fatto, con tutti noi”. 

Papà James invece pone l’accento su un aspetto un po’ insolito del carattere di quel furetto, indole di bastian contrario che al confronto San Tommaso sembra quasi un pivello: “Se gli ricordavamo che il fornello scottava, di non toccarlo, lui lo toccava apposta. Se c’era un cartello con su scritto “vernice fresca” lui andava con il dito a toccare la vernice per vedere se era vero che fosse fresca”. 

A scuola era (e lo sarebbe stato anche nel proseguimento degli studi) sempre rapido nell’apprendimento ma faticava a star fermo, “soffriva” se costretto a stare seduto in un banco: “intelligente e volenteroso ma troppo vivace”, secondo la formula standard propinata da tutte le maestre di scuola elementare del mondo. “Non riusciva mai a starsene da solo in camera sua”, ha ripetuto fino alla noia in tutti questi anni sua madre. “Doveva sempre uscire, trascorrere la serata con un amico, andare in campeggio…”. 

I suoi genitori e gli insegnanti cercavano di metterlo in riga su che cosa si dovesse o non si dovesse fare, ma lui raramente dava ascolto ai loro consigli, basti pensare che una volta, tagliando della legna, per poco non si amputò del tutto l’alluce destro con un’accetta ! Se ciò fosse successo Jordan sarebbe riuscito lo stesso a saltare così in alto un giorno? I patiti del basket rabbrividiscono pure davanti a questo dubbio.

Nel 1970 i Jordan si erano trasferiti nella piccola città portuale di Wilmington, 45.000 abitanti, sempre nel North Carolina, a circa quaranta miglia a sud da quella Wallace dove James, figlio di un mezzadro, era nato e aveva poi riportato la famiglia, una volta fatto ritorno da New York. 

Nella nuova, si fa per dire, città, Jordan senior, dopo aver messo su casa (con tanto di 12 acri di terra nel retro), iniziò ad avanzare nella gerarchia dello stabilimento della GE, finendo per assumere sempre maggiori responsabilità, ovvero passando da operaio addetto al muletto a supervisore.

Mamma Deloris, dopo che i figli incominciarono la day school , trovò un impiego alla United Carolina Bank e, proprio come suo marito, ottenne successo nel lavoro, venne fino alla qualifica di capo del servizio clienti. 

I Jordan hanno sempre creduto nel valore del duro lavoro. “Non aspettare che le cose succedano ma fai in modo che succedano”, era il loro motto.

CHRISTIAN GIORDANO
Michael "Air" Jordan

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