Il 'cult' St. Pauli: identità, tradizione e la forza di un brand oltre il calcio



Da un quartiere di Amburgo alla fama mondiale per i propri valori: il St. Pauli è un club unico nel mondo, con una storia particolare.

Giorgio Dusi
04 dic 2021 - Goal.com


Da un quartiere di ventimila persone alla fama globale, portandosi dietro una reputazione unica, costruita nel corso degli anni. Se passate dalle parti di Amburgo, anche per mere questioni turistiche, quella di St. Pauli è una tappa obbligata specialmente la sera. Le luci del quartiere, i locali, la vita notturna. Una specie di piccola Amsterdam piantata nel centro della città, che si affaccia sulle rive del fiume Elba e mantiene una forte tradizione portuale. Meglio la sera che in pieno giorno, per la verità. A meno che non sia per una visita al Millerntor, lo stadio. O meglio, il cuore di quello che è lo spirito St. Pauli.

Periferia e andarne fieri

Il nomignolo Kiezkicker nasce proprio da questo: Kicker, calciatori, Kiez, sobborgo. In eterna contrapposizione all’HSV, la squadra che rappresenta la città, che ha in bacheca titoli di Bundesliga, coppe e persino una Coppa dei Campioni nel 1983. E il St. Pauli? Titoli regionali, una seconda divisione quando ancora era divisa. Niente di più. Nemmeno una semifinale di coppa. Insomma, una storia sportiva piuttosto povera, come si evince anche dalle sole otto stagioni disputate nella massima serie. Eppure, nel mondo il St. Pauli è uno dei brand più popolari del calcio tedesco.

Rappresentare un quartiere nato inizialmente come presidio militare attraverso i propri valori. Questo è sempre stato l’obiettivo che si è posto ogni membro del club. Come tutte le società tedesche delle prime due divisioni (salvo rare eccezioni), anche il St. Pauli rispetta la regola del 50+1, la quale prevede che i club siano per la maggioranza assoluta di proprietà del club stesso, attraverso un sistema di ‘soci’ e ‘azioni’. Un modo per integrare appieno le filosofie dei tifosi e del club.

Ad Amburgo sono andati un po’ oltre questo concetto, in linea con quella che è sempre stata la visione politica del mondo da parte del cuore della tifoseria, apertamente di sinistra — posizione che l’ha portata a stringere sodalizi tra le altre con Sampdoria, Livorno ma anche con la Schickeria, gruppo del Bayern Monaco. Sia i tifosi sia il club hanno sempre avuto un’attenzione particolare a temi sociali, spesso prioritaria anche rispetto ai temi sportivi. L’esempio che l’aspetto politico è rilevante si può ritrovare anche recentemente con il caso che ha riguardato il centrocampista turco Cenk Sahin nell’ottobre 2019: un post sui social pro esercito turco per l’offensiva contro i curdi gli è costato il licenziamento.

"L'FC St. Pauli prende le distanze dal post e dal contenuto, perché è incompatibile con i valori del club. Il club ha già parlato con il giocatore e lavora internamente sull'argomento. Finché il lavoro interno non è completato, l'FC St. Pauli non commenterà ulteriormente. Mai più guerra!”.

L’animo pacifista della società e di tutto ciò che la circonda, d’altro canto, è inserito nello statuto della società stessa. Non solo quella calcistica, ma di tutta la polisportiva, che ha all’interno sezioni di qualsiasi altro sport, scacchi compresi.

Antirazzismo, antisessismo, antiomofobia, in prima linea con i movimenti LGBT, attenzione al sociale e alla solidarietà, oltre che una forte matrice antifascista. Nata negli anni ’80 quando il club è stato il primo a vietare l’ingresso allo stadio ai gruppi di estrema destra, proprio nel periodo in cui moti neonazisti prendevano piede. Una svolta che lo ha reso popolare in tutto il mondo, ma ha anche permesso alla squadra di consolidare la propria identità e di conseguenza di attirare sempre più fan che si riconoscevano in quei valori. Uno dei massimi dirigenti oggi è Ewald Lienen, ex calciatore, soprannominato ‘Lenin’ per le proprie idee.

“Abbiamo il potere del cambiamento. La sostenibilità e la tutela dell'ambiente sono particolarmente importanti per me e devono essere promosse ogni giorno. Non solo per questo, è stato per me un passo logico continuare ad essere attivo per il FCSP. Perché l'FC St. Pauli è sinonimo di valori che vanno oltre il calcio e sono essenziali nella vita”.

Attivismo internazionale, in nome dell’uguaglianza

Nel 2008 il club ha organizzato e ospitato la FIFI World Cup tra nazioni non ufficialmente riconosciute. Negli anni recenti uno striscione rimasto appeso sulle grate del Millerntor (insieme a “Nessun uomo è illegale” e “niente calcio per i nazisti”) recita “Refugees welcome”, “i rifugiati sono i benvenuti”, che è anche un gruppo di lavoro interno al club che si muove e lavora con le Organizzazioni Non Governative, facendo di fatto da sponsor. Tra queste c’è anche Sea Watch. Non sempre, comunque, il St. Pauli si distingue in positivo: di recente la tifoseria è anche finita nel mirino della critica a livello mondiale per avere esposto degli striscioni che inneggiavano alla strage di Dresda del febbraio del 1945.

La svolta del club a fenomeno culturale di massa arriva negli anni ’80 quando si sposta vicino al quartiere a luci rosse della città. Lo porta alla ribalta internazionale, si fa conoscere non solo per i propri cardini, ma anche per la propria dimensione partecipativa. Associazionismo, non azionariato popolare.

“Ai nostri occhi appare ‘socialmente utile’, ma in fin dei conti aiutare il prossimo e permettere a tutti di praticare sport nei vari gruppi sportivi è una cosa normale”, ha spiegato al ‘Mitte’ Massimo Finizio, tifoso ed ex dirigente del club, nonché giornalista e oggi direttore della testata ‘Tuttostpauli’, l’unica specializzata sui ‘Kiezkicker’ in Italia.

“La differenza principale sta nella partecipazione attiva dei soci, quindi delle persone, nella vita dell’associazione, nel sistema tedesco. A non essere socialmente utile e neanche economicamente giusto è il metodo italiano, dove per il ‘dio denaro’ si permette a una SpA di fallire impunemente, per poi permettere ad un’altra SpA di ripetere lo stesso scempio sotto un altro nome, magari cambiandolo leggermente, lasciando creditori e lavoratori sul lastrico. Per questo il St. Pauli resta un’associazione che sviluppa lo sport dal basso, costruendo una casa per tutti, senza lasciare nessuno fuori dalla porta”.


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E ancora: “Il mio caso è emblematico: si può passare da sostenitore a dirigente. Il sistema tedesco quindi si basa sull’associazionismo e non sull’azionariato popolare, come purtroppo quasi tutti i mass media italiani continuano erroneamente a scrivere. Il St. Pauli non ha alle spalle nessuna SpA”.

Aspetti che vengono rimarcati anche nella rosa di oggi, costruita con poche centinaia di migliaia di euro, rispettando quelli che da sempre sono i capisaldi del club e la propria identità. Cercando di sfruttare al meglio le proprie risorse, lavorando in casa. L’attuale allenatore Timo Schultz fa parte della società dal 2005, prima come giocatore e poi come tecnico della giovanili e vice della prima squadra. I migliori giocatori della rosa sono prevalentemente talenti cresciuti in casa - il classe 2000 Becker - o altri scoperti nelle serie minori tedesche - dal centrocampista Kyereh al terzino sinistro Paqarada - tra i quali si scorgono anche nomi noti anche alla Bundesliga come Guido Burgstaller, ex Schalke 04.

Oltre al lato identitario, negli anni il St. Pauli è diventato anche un brand, specialmente grazie all’adozione del Jolly Roger come simbolo non ufficiale. La leggenda narra che tutto nacque piuttosto per caso, quando un tifoso decise di portare in curva la bandiera con il teschio e le tibie incrociate che fino a quel momento era il simbolo dei pirati. Da lì in molti lo imitarono e il Millerntor si riempì di Jolly Roger. Oggi il simbolo non campeggia in bella vista sulle divise da gioco, ma è il fulcro attorno al quale ruota tutto il merchandising.


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In qualunque store calcistico in Germania, da Monaco a Berlino, si può trovare un angolo dedicato al St. Pauli. Maglie, felpe, spille, adesivi. Anche star della musica mondiale come Sting o come Tom Morello hanno indossato le loro maglie. A proposito di musica: quando entrano in campo, i giocatori del St. Pauli lo fanno sulle note di Hell’s Bells, mentre quando festeggiano un gol al Millerntor risuona Song 2 dei Blur.

Un’altra particolarità di un club estremamente particolare. Che veste maglie del marchio DIIY, acronimo di ’Do It, Improve Yourself’, ‘Fallo, migliora te stesso’. Il marchio è della stessa società, che ha deciso di prodursi le maglie in quanto le offerte pervenute non rispettavano i requisiti ambientali e di sostenibilità nell’opinione del club e non erano allineati alle loro stesse idee.

“In questa crisi causata dal Covid-19 ci sforziamo di affrontare le sfide con coraggio e spirito imprenditoriale insieme a tutti i soci e tifosi dell’FC St. Pauli. Nel lanciare la nostra nuova collezione dedicata a tutti gli sport di squadra, abbiamo deciso di intraprendere una strada indipendente e sostenibile nel rispetto dei nostri principi”, ha spiegato al sito ufficiale del club il Presidente, Oke Göttlich.

Maglie sopra le quali il capitano, attualmente il difensore Philipp Ziereis, indossa una fascia arcobaleno. Per ricordare i veri valori di un club che, comunque la si veda, non ha eguali.

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