ALEX ENGLISH - Il talento di Mr. “Flick”
di DANIELE VECCHI
Old Timers - Quando la NBA era lʼAmerica
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Nato il 5 gennaio 1954 a Columbia, capitale del South Carolina, Alexander si distingue nel basket alla Dreher High School. Finito lʼanno da senior, viene reclutato dalla University of South Carolina, allenata dal mitico Frank McGuire, mai dimenticato coach dei Philadelphia Warriors nei primi anni Sessanta. Una squadra, quella campione NBA nel 1967, composta quasi interamente da philadelphiani: Wilt Chamberlain, Tom Gola, Paul Arizin e Al Attles (nato a Newark, New Jersey, ma cresciuto a Philly).
Con la maglia dei Gamecocks, Alex si ritaglia subito uno spazio da leader. Alto due metri e con una meccanica di tiro invidiabile, nonostante lʼapparentemente scarso atletismo e la non fulminea velocità, English si conferma un tiratore devastante e un realizzatore di livello superiore. Nel suo anno da senior segna 22.6 punti di media, chiudendo col 54% al tiro i suoi quattro anni in biancorosso. Cifre che ne fanno uno dei papabili per il primo giro del Draft NBA del 1976.
Quellʼanno, in uscita dalle università, ci sono diversi prospetti interessanti: Robert Parish da Centenary, John Lucas da Maryland, Scott May e Quinn Buckner da Indiana, Wally Walker da Virginia, Adrian Dantley da Notre Dame e Dennis Johnson da Pepperdine, e English sembra appartenere al lotto. La notte del Draft passano le chiamate, ma il suo nome non figura tra quelli del primo giro. Alex viene finalmente chiamato alla 23ª pick dai Milwaukee Bucks, franchigia in difficoltà che cercava di ricostruire dopo la cessione di Kareem Abdul-Jabbar ai Los Angeles Lakers.
Da seconda scelta al Draft, nella sua stagione da rookie (1976-77) English non trova particolari occasioni per mettersi in mostra, visto che nel ruolo di ala piccola è chiuso da Junior Bridgeman e da Brian Winters. Inoltre coach Don Nelson lo giudica troppo “soft” e lento per il gioco dei Bucks. La sua stagione si conclude così con 5.2 punti di media in poco meno di 11 minuti di utilizzo in 60 partite.
La stagione successiva, va un poʼ meglio, sia per English sia per i Bucks, che raggiungono i playoff grazie alla definitiva consacrazione di Winters e allʼarrivo di Marques Johnson in una squadra che, tra gli altri, vede anche i futuri “italiani” John Gianelli (Milano, 1980-83) e Kevin Restani (Livorno 1982-86, Forlì ʼ86-87, Rieti ʼ87-88). English incrementa il proprio fatturato offensivo a 9.6 punti di media in regular season e addirittura a 13.4 nei playoff. Non soddisfatto del suo minutaggio, però, dopo due anni coi Bucks esce dal contratto e si dichiara free-agent.
Ingaggiato nel 1978-79 dagli Indiana Pacers, altra squadra in ricostruzione, a Indianapolis trova lo spazio per esprimere al massimo il suo potenziale offensivo (16 punti in 33.3 minuti di media a partita) e si ritrova grande realizzatore al pari delle stelle del roster, Ricky Sobers e Johnny Davis, entrambi molto giovani ma già con in mano lo spogliatoio.
Dopo 54 partite nella stagione 1979-80, in uno delle più sciagurate operazioni di mercato nella storia della NBA, i Pacers lo scambiano alla pari con i Denver Nuggets per George McGinnis, ala forte/centro ormai logoro e tendente agli infortuni che nel giro di due anni sarà fuori della NBA.
Dopo i primi sprazzi di potenziale fatti vedere in Colorado nelle rimanenti 24 partite della stagione 1979-80, la carriera NBA di English comincia sul serio dopo poche partite della stagione successiva (1980-81), quando a coach Donnie Walsh subentra Doug Moe, notissimo nella NBA per la propensione offensiva e la continua ricerca del contropiede, spesso a discapito dellʼintensità difensiva, delle squadre da lui allenate.
Capitanata da David “Skywalker” Thompson, con il veterano Dan Issel, il promettente rookie Kiki Vandeweghe e uno dei giocatori-culto di quegli anni, James “Big Mistake” Ray (il “grosso sbaglio” era averlo scelto...), la truppa di Moe ha lʼattacco più prolifico nella lega (109.4 punti a partita), ma la difesa, appunto, lascia molto a desiderare. Denver chiude con un record perdente (37-45), con English (a 23.8 punti di media), secondo marcatore delle Pepite, dietro Thompson, che nella stagione 1981-82 cede a English lo scettro di leader e capocannoniere (25.4 punti per gara) dei Nuggets. Con lʼesplosione di Kiki Vandeweghe (21.5 punti a partita), Denver ha ancora una volta il miglior attacco (114.3 punti di media) ma anche la peggior difesa (113.9). Stavolta però raggiunge i playoff, e diventa una squadra con cui fare i conti nella Western Conference.
Nella stagione 1983-84 lʼesponenziale crescita di Vandeweghe si affianca alla continuità di English. Assieme formano una delle coppie di realizzatori più prolifiche nella storia della NBA (55.8 punti a partita in due), senza però riuscire a portare i Nuggets alla postseason.
Nella stagione 1984-85 arriva la grande occasione per i Nuggets. A malincuore, per rinforzare la squadra sottocanestro, cedono Vandeweghe a Portland e fanno arrivare in Colorado il centrone Wayne Cooper, assieme al grande realizzatore Calvin Natt e al playmaker Lafayette “Fat” Lever. English è il solito trascinatore, i nuovi arrivi si innestano alla perfezione nei meccanismi offensivi di Moe e Denver vince la Midwest Division con un record di 52-30. Anche il cammino in postseason è esaltante. Nel primo turno i Nuggets eliminano 3-2 i San Antonio Spurs, nelle Western Semi-Finals battono 4-1 gli Utah Jazz, ma in finale della Western Conference i Los Angeles Lakers vincono 4-1. Ancora una volta “Flick” – per come riesce a incunearsi nella corsia centrale e a girarsi per trovare il canestro con movimenti immarcabili – si porta sulle spalle la squadra pure nei playoff, con 30.2 punti di media in 14 gare.
Anche nella stagione successiva Alex e i Nuggets fanno faville (29.8 punti a partita per English e 47-35 il record in regular season di Denver). Arrivano ancora ai playoff ma vengono eliminati nelle Western Semi-Finals dai Rockets. Un altro paio di buone stagioni, ma per Denver il treno per la Finale NBA è passato. English invece continua imperterrito a essere il migliore dei suoi. Nonostante lʼapparente parabola discendente, mantiene medie realizzative impressionanti e, a 35 anni, termina la stagione 1988-89 con 26.5 punti a partita.
Nellʼestate 1990 i Nuggets non gli rinnovano il contratto e English va a Dallas, dove gioca la sua ultima, mesta stagione (9.7 punti di media), amareggiato dal comportamento dei Nuggets, che lo hanno scaricato poco prima della fine della sua carriera. Tutto si riaggiusta nel 1992, quando Denver chiede pubblicamente scusa a English e gli ritira la maglia numero 2, che ancora oggi pende maestosa dal soffitto del Pepsi Center. Con 25.613 punti in carriera, nel 1997, Alex English viene infine giustamente indotto nella Hall of Fame.
Alexander (Alex) English
Ruolo: ala piccola
Nato: 5 gennaio 1954, Columbia, South Carolina (USA)
High school: Dreher (Columbia, South Carolina)
Statura e peso: 1,99 m x 85 kg
College: South Carolina (1972-1976)
Draft NBA: 2º giro, 23ª scelta assoluta 1976 (Milwaukee Bucks)
Pro: 1976-1992
Carriera: Milwaukee Bucks (1976-1978), Indiana Pacers (1978-1980), Denver Nuggets (1980-90), Dallas Mavericks (1990-91), Basket Napoli (Italia, 1991-92)
Riconoscimenti: 8 NBA All-Star (1982–1989), classifica marcatori NBA (1983), 3 All-NBA Second Team (1982, 1983, 1986), J. Walter Kennedy Citizenship Award (1988), numero 2 ritirato dai Denver Nuggets
Cifre NBA:
punti: 25.613 (21,5 PPG)
rimbalzi: 6.538 (5,5 RPG)
assist: 4.351 (3,6 APG)
Numeri: 23, 22, 2
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