JOE BARRY CARROLL - Joe Barely Cares


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica

Essere quasi unanimemente riconosciuti nella storia come la parte “sbagliata” della peggior trade NBA mai vista dal 1946 a oggi, non è cosa di cui andare fieri, anche se cʼè di peggio. In molti sondaggi nei forum NBA, oltreoceano si sprecano i paragoni e vengono fuori tutti gli scambi di mercato più scandalosi, a partire dal recente Pau Gasol-Kwame Brown, passando per i vari Dirk Nowitzki-Robert “Tractor” Traylor, Kobe Bryant-Vlade Divac, Steve Nash-Pat Garrity, Gail Goodrich-diritti di scelta su Magic Johnson, Scottie Pippen-Olden Polynice, fino ai classici Bill Russell-Ed Macauley, Wilt Chamberlain-Paul Neumann e Elvin Hayes-Jack Marin. 

Ma soltanto una operazione di mercato è, appunto, quasi unanimemente riconosciuta come la peggiore in assoluto. Al Draft NBA del 1980 i Golden State Warriors scambiarono il loro centro titolare di belle speranze e la loro prima scelta (la numero tre) per assicurarsi la pick numero uno, che portò nella Bay Area il promettentissimo centro di Purdue, Joe Barry Carroll. Un giocatore avanti ai tempi, un lungo dalla tecnica sopraffina, con ottimi fondamentali e una coordinazione impensabile per un 2.16. Per alcuni, il prototipo del giocatore del futuro. 

Lʼex centro dei Boilermakers aveva però due problemi fondamentali, che nel giro di pochi mesi si acuirono al punto da diventare marchi di fabbrica cronici. Il primo era il dubbio amore per il gioco che Carroll, più o meno velatamente, aveva sempre dimostrato sul parquet. Atteggiamento che gli valse da Peter Vecsey, celebre columnist del New York Post, il soprannome non certo leonino di “Joe Barely Cares” (Joe se ne frega), giocando con lʼassonanza fra verbo e nome. Il secondo, che si ricollega alla peggior trade NBA mai vista dal 1946, riguarda i due giocatori sacrificati dai Golden State Warriors per avere quella prima scelta assoluta. Il centro titolare dei Warriors passato ai Boston Celtics era infatti Robert Parish, mentre la terza scelta assoluta ceduta a Beantown fu poi spesa da Red Auerbach per Kevin McHale da Minnesota. Quindi Joe Barry Carroll era stato scambiato alla pari per Robert Parish e Kevin McHale, subito protagonisti del titolo NBA dei Celtics nel 1981 (e poi del 1984 e 1986) e futuri Hall-of-Famers. In pratica, oltre a Larry Bird e a Cedric Maxwell, con quella trade Boston assemblò lʼossatura della straordinaria squadra che, insieme con i Los Angeles Lakers, dominò la lega negli anni Ottanta. 

Chi non ha mai visto giocare Carroll e legge queste righe, di certo non si farà una grande idea di lui, come giocatore. E invece JB era un grande giocatore, che con un pizzico in più di aggressività, di fiducia in se stesso e, perché no, di amore per il gioco (“Joe Barely Cares” non era del tutto campato in aria), avrebbe potuto essere una superstar della NBA per una quindicina di anni. Il condizionale è dʼobbligo, ma chi lo ha visto nelle sue 25 partite della stagione 1984-85 alla Simac Milano, nella gloriosa cavalcata che portò le Scarpette Rosse allo scudetto, chi ha compreso fino in fondo quei saltellanti e commossi high-five al suo ritorno in panchina a Pesaro in Gara2 che suggellò la vittoria della Simac nella serie finale contro la Scavolini, chi ha vissuto tutto questo la pensa diversamente. Certo, si trattava del campionato italiano e non della NBA, ma il cuore, lʼattaccamento alla maglia e al proprio gruppo che Joe Barry aveva dimostrato in quei mesi milanesi (oltre ai 25 punti, 11.1 rimbalzi e 2.5 stoppate di media in maglia Olimpia), restano indelebili. E Carroll non era arrivato in Italia a fine carriera, ma a 26 anni e per 200.000 dollari, non pochissimi, ma neanche uno sproposito per un giocatore ancora di primo livello NBA. 

Insomma Golden State avevano rinunciato a Robert Parish e alla scelta che avrebbe potuto portare Kevin McHale ai Warriors anziché a Boston, per assicurarsi questo grande e innovativo centro da Purdue, secondo migliore realizzatore (2175 punti) all-time dei Boilermakers dietro Rick Mount e fresco dei record dʼateneo per stoppate (349), rimbalzi in una stagione (352) e totali (1148) nelle quattro trascorse a West Lafayette, Indiana. 

Da rookie NBA, stagione 1980-81, Carroll ebbe un buon impatto sulla lega: 18.9 punti e 9.3 rimbalzi a partita. Impatto confermato lʼanno successivo (17 punti e 8.3 rimbalzi per gara) e soprattutto nel terzo, chiuso a 24.1 punti e 8.7 rimbalzi di media. Anche nella stagione 1983-84 viaggiò su ragguardevoli media (20.5 punti e 8.1 rimbalzi a sera) e i Warriors, nonostante il record perdente (37-45), gli offrirono un sostanzioso rinnovo contrattuale. La dirigenza e Carroll però si ritrovarono ai ferri corti e non raggiunsero lʼaccordo e così Joe Barry (incredibilmente, a quei tempi) scelse lʼOlimpia Milano per la stagione 1984-85. Annata dello scudetto per Milano e una delle peggiori nella storia dei Warriors, che orfani di Carroll chiusero allʼultimo posto nella NBA con appena 22 vittorie. Dopo il fallimento, tutto sommato inaspettato, Golden State richiamò Joe Barry per la stagione successiva, e Carroll tornò alle medie di due anni prima: 21.2 punti e 8.5 rimbalzi a partita nel campionato 1985-86. 

Nonostante lʼappellativo di “Joe Barely Cares”, dovuto allʼormai consolidata mentalità di non-combattente, era il suo il volto più riconoscibile della NBA. E nella stagione 1986-87 Carroll si prese le sue rivincite, totalizzando 21.2 punti e 7.3 rimbalzi di media, venendo convocato per lʼAll-Star Game e trascinando ai playoff, con un record di 42-40, i Warriors di Chris Mullin, Purvis Short, Eric “Sleepy” Floyd e Larry Smith ai playoff, dove nel primo turno rimontarono dallo 0-2 contro gli Utah Jazz e vinsero la serie per 3-2 per poi venire sconfitti in 5 partite nelle semifinali della Western Conference dai Los Angeles Lakers. 

Quella stagione fu lʼapice per Carroll, che lʼanno successivo venne ceduto agli Houston Rockets in cambio di Ralph Sampson. In Texas, le sue medie calarono sensibilmente (12 punti e 6.4 rimbalzi per gara), come lʼanno successivo ai New Jersey Nets, quello dopo ancora ai Denver Nuggets e infine ai Phoenix Suns, capolinea di una carriera conclusasi presto, a 32 anni, come spesso capita a chi sembra non essere particolarmente innamorato del gioco. 

Carroll chiuse le sue undici stagioni nella lega con 12.455 punti e 5404 rimbalzi, ottime cifre per un ottimo giocatore NBA, anche se quella definizione, «Joe Barely Cares», e quel marchio di «Worst Trade Ever», pesano e non poco sul consuntivo finale di Joe Barry. Anche e soprattutto in virtù dei tre titoli NBA vinti a Boston da Parish e McHale. Di quello, però, lui non aveva colpa. 


Joe Barry Carroll 

Ruolo: centro 
Nato: 24 luglio 1958, Pine Bluff, Arkansas (USA) 
High school: East (Denver, Colorado) 
Statura e peso: 2,12 m x 102 kg 
College: Purdue (1976-1980) 
Draft NBA: 1ª scelta assoluta 1980 (Golden State Warriors) 
Pro: 1980-1991 
Carriera: Golden State Warriors (1980-1983), Olimpia-Simac Milano (Italia, 1984-85), Golden State Warriors (1985-1987), Houston Rockets (1987-1988), New Jersey Nets (1988-1990), Denver Nuggets (1990), Phoenix Suns (1991) 
Riconoscimenti: NBA All-Star (1987), NBA All-Rookie First Team (1981), Consensus NCAA All-American First Team (1980) 
Cifre NBA: 
punti: 12.455 (17,7 PPG) 
rimbalzi: 5.404 (7,7 RPG) 
stoppate: 1.121 (1,6 BPG) 
Numeri: 2, 11 

Commenti

Post popolari in questo blog

PATRIZIA, OTTO ANNI, SEQUESTRATA

Allen "Skip" Wise - The greatest who never made it

Chi sono Augusto e Giorgio Perfetti, i fratelli nella Top 10 dei più ricchi d’Italia?