BILL BRADLEY - The Candidate


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica

Ciò che ha sempre (relativamente) frenato Bill Bradley, in politica, è il suo modo di parlare. Forbito, intenso, sensato, profondo, confidenziale, ma lento, soporifero, prolisso e incredibilmente noioso, per quel livello di politica. Come qualche giornalista sportivo disse di Robert “Tractor” Traylor (RIP), «è arrivato a qualche decina (o centinaia) di capitoni dall’essere un All-Star», anche Bill Bradley è arrivato a qualche decina di discorsi soporiferi dalla Casa Bianca. 

Ciò non toglie che la carriera politica di Bradley sia stata comunque di assoluto primo piano: senatore conclamato, Governatore dello Stato del New Jersey dal 1979 al 1997, candidato per il partito Democratico alle elezioni Presidenziali USA del 2000, sconfitto poi da Al Gore, a sua volta poi sconfitto da George W. Bush nelle più controverse elezioni di sempre (Gore vinse il voto popolare, con oltre mezzo milione di voti in più di Bush, ma la legge elettorale americana non tiene conto di questo “dettaglio”). Ma la vita di Bill Bradley è stata molto di più, per i malati di palla a spicchi. Un grande giocatore che fin dalla high school ha fatto della etica del lavoro e dell’allenamento “oltranzistico” e preventivo la propria bandiera. 

Nato il 28 luglio 1943 a Crystal City, un sobborgo di St. Louis, Missouri, figlio di un uomo tutto d’un pezzo, repubblicano convinto (come la stragrande maggioranza della gente di quel tempo) che amava parlare di politica a tavola per cena assieme alla moglie e ai figli, William Warren Bradley scopre subito la passione per il basket, grazie anche alla sua statura, già 1 metro e 94 centimetri a 15 anni. 

Alla Crystal City High è ovviamente un All-American, non tanto per la statura quanto per la dedizione al lavoro e il perfezionismo negli allenamenti, aspetto davvero inconsueto per un adolescente. Bradley riceve ben 75 offerte di borse di studio al college per il basket e la sua scelta cade su Duke, ma durante l’estate del 1961 si rompe un piede in una partita di baseball e gli vengono dei dubbi per il post carriera cestistico. E così, nonostante i college della cosiddetta “Ivy League” non assegnino borse di studio per il basket, Bradley sceglie la rinomata e prestigiosa Princeton University, pensando a unʼeventuale carriera diplomatica nello United States Foreign Service. 

I suoi anni a Princeton sono da autentica superstar, sia nel basket sia nel baseball, che giocava da prima base. Nel basket, invece, da small forward Bill dimostra tutto il suo talento e la sua preparazione tecnico-tattica, ottenuta allenandosi molto più degli altri negli anni della high school. Nelle sue stagioni da freshman, sophomore e junior fa incetta di titoli, premi e riconoscimenti, guadagnandosi anche la convocazione nella nazionale olimpica americana per Tokyo 1964. È lui il più giovane e allo stesso tempo il leader del gruppo che conquisterà la medaglia d’oro battendo in finale 73-59 l’Unione Sovietica, vittoria che conferma ancora una volta lo strapotere delle selezioni a stelle e strisce dellʼepoca. 

Al ritorno dal successo olimpico, Bradley affronta il suo anno da senior a Princeton, stagione che lo consacrerà come il miglior giocatore del college basketball. “The White Oscar Robertson” (lʼOscar Robertson bianco) trascinerà i Tigers alla Final Four ma non alla vittoria (76-93 in semifinale da Michigan), segnando però 58 punti nel 118-82 su Wichita State nella gara di consolazione e vincendo il premio di Most Outstanding Player (miglior giocatore) della Final Four. 

Quello del 1965 sarà l’ultimo Draft NBA “territoriale”, cioè con i migliori prospetti del college chiamati dalle squadre NBA più vicine ai loro campus universitari di provenienza. Per 1609 metri, ovvero un miglio, i diritti di scelta su Bradley andarono ai Knicks anziché ai 76ers perché Philadelphia dista da Princeton, appunto, un miglio in più rispetto a New York. 

Ma ai Knicks, nellʼestate 1965, il giorno del debutto al Garden della loro prima scelta sembrava lontano. Bradley, infatti, dopo la laurea con lode a Princeton, vince la prestigiosa Rhodes Scholarship alla University of Oxford, in Inghilterra e guardando ancora una volta oltre la propria carriera professionistica nel basket, decide di proseguire negli studi politici e economici, posticipando così di molto il suo esordio nella NBA. 

Grazie alla borsa di studio a Oxford, Bradley accetta di giocare in Europa, nellʼOlimpia Milano, la stagione 1965-66, scelta che gli avrebbe permesso di giocare in un competizione internazionale di alto livello come la Coppa dei Campioni e allo stesso tempo di continuare a studiare. 

In Italia, e specialmente a Milano, città già di per sé molto ricettiva, Bill Bradley alle leggendarie “Scarpette Rosse” di coach Cesare Rubini fa decollare il basket. In quella stagione l’Olimpia targata Simmenthal fa man bassa di titoli. Vince il suo diciassettesimo scudetto, il secondo consecutivo, battendo a tavolino lʼIgnis Varese nello spareggio. E la sua prima Coppa dei Campioni, superando 77-72 in finale a Bologna lo Slavia Praga. 

Come facilmente prevedibile, nella stagione successiva Bradley non torna a Milano e si concentra negli studi ad Oxford, ma poco prima di lasciare Oxford, nell’aprile del 1967, Bill si arruola come riservista nell’Air Force americana, rimanendoci fino a dicembre 1967, quando firma il contratto e veste la canotta dei New York Knicks, la squadra che lo aveva scelto al Draft NBA di due anni e mezzo prima. 

Arrivando a dicembre, Bradley salta tutta la preseason e la prima parte della stagione e non si adatta benissimo al gioco dei Knicks di coach Dick McGuire e poi di William “Red” Holzman, che tra lʼaltro sperimentò Bradley da guardia (con risultati non proprio esaltanti, Bill aveva grosse difficoltà a marcare guardie più piccole e veloci di lui), anziché nel suo ruolo naturale di ala piccola. 

Chiusa a 8 punti di media la sua (mezza) stagione da rookie, Bradley e i suoi Knicks inaugurano il nuovo (il quarto e fin qui ultimo) Madison Square Garden, sopra Pennsylvania Station, in piena Midtown New York, e le cose per la banda di Holzman sembrano andare bene. Unʼottima regular season da 56 vinte e 26 perse, un gruppo di giocatori che pare coeso, fisico e talentuoso, finalmente pronto per competere con gli eterni rivali, e quasi sempre vincenti, Boston Celtics. 

Willis Reed, Dave DeBusschere, Cazzie Russell, Walt Frazier, Dick Barnett e il giovane Bill Bradley (che in quella stagione incrementa a 12.4 punti il suo fatturato offensivo) sono determinati a rovesciare la storia, che da troppo tempo dà ragione ai biancoverdi del Massachusetts. In quella stagione però i Celtics avranno ancora una volta ragione, eliminando 4-2 i Knicks nelle Eastern Division Finals. 

Brutta botta per i Knicks, ma lʼanno successivo, al termine della fatidica stagione 1969-70, arriva finalmente il titolo NBA, e nella maniera più emozionante, con l’entrata di Willis Reed, infortunato, nel catino del Garden per Gara7, a trascinare alla vittoria i Knicks sui Los Angeles Lakers. Bradley da quella stagione diventa per Holzman pedina fondamentale e uomo di fiducia, un giocatore con un’intelligenza cestistica e una capacità di rendersi utile fuori del comune. 

Nel 1972-73 i Knicks rivincono il titolo NBA, stavolta 4-1 ancora una volta in Finale contro i Los Angeles Lakers. Lʼannata coincide con l’apice della carriera di Bradley, 16.1 punti e 4,5 assist per gara e convocazione per l’All-Star Game di Chicago. 

Nelle 742 partite NBA disputate in 10 stagioni, tutte in maglia Knicks, Bill si è dimostrato un giocatore atletico, talentuoso, intelligente e carismatico, sempre attento alle esigenze di spogliatoio. Un leader completo e una persona curiosa di natura, curiosità che lo ha portato a studiare e a esplorare luoghi, settori e contesti diversi da quelli vissuti dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi giocatori. 

La sua carriera politica post-sportiva dice molto di questa sua mentalità, ma qui ci piace ricordarlo come unʼala piccola dalla grande facilità realizzativa e dalla intelligenza cestistica superiore, due volte campione NBA da protagonista e giocatore-cardine di un grandissimo gruppo. Nice job, Sen. Bradley. 


William (BILL) Warren Bradley 

Ruolo: ala piccola/guardia tiratrice 
Nato: 28 luglio 1943, Crystal City, Missouri 
High school: Crystal City (Crystal City, Missouri) 
Statura e peso: 1,94 x 93 kg 
College: Princeton (1961-1965) 
Draft NBA: Territorial pick 1965 (New York Knicks) 
Pro: 1965-1977 
Carriera: Olimpia-Simmenthal Milano (Italia, 1965-66), New York Knicks (1967-1977) 
Palmarès: 2 titoli NBA (1970, 1973), oro Olimpiade Tokyo 1964, oro Universiade Budapest 1965 
Riconoscimenti: NBA All-Star (1972), NCAA Final Four MOP (1965), USBWA College Player of the Year (1965), AP College Player of the Year (1965), Helms Foundation College Player of the Year (1965), 2 Sporting News Player of the Year (1964-65), UPI College Player of the Year (1965), 2 Consensus NCAA All-American First Team (1964, 1965), numero 24 ritirato dai New York Knicks 
Cifre NBA: 
punti: 9.217 (12,4 PPG) 
rimbalzi: 2.354 (3,2 RPG) 
assist: 2.533 (3,4 APG) 
Numero: 42, 15, 24 

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