HORACE GRANT - Wild Glasses


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica
https://www.libreriadellosport.it/libri/old_timers_-_quando_la_nba_era_il_basket.php

Un giornalista sportivo italiano, ultra-meritevole di rispetto, per competenza, preparazione e passione, un giorno mi scrisse: «Il vero capolavoro di Horace Grant fu arrivare alla Finale NBA con gli Orlando Magic». Assolutamente e pazzescamente vero. 

Un classico uomo del Sud, Horace Grant. Forse è anche per quello che a Michael Jordan piacque subito. Qualcosa nelle abitudini, nella cadenza, nella flemma intrinseca che caratterizza di default tutti quelli che provengono dalla vecchia Confederazione. O forse gli piacque semplicemente perché Grant era un mastino di grande intelligenza cestistica, due cose difficili da trovare nello stesso giocatore. 

Ala forte di 2.08 dalla quasi maniacale attitudine difensiva, dopo il diploma superiore alla Hancock Central High a Sparta, Georgia, Horace si trovò a dare ulteriore lustro alla Clemson University, college che storicamente ha regalato alla NBA fior di power forward e di centri, come Wayne “Tree” Rollins, Elden Campbell, Larry Nance e Dale Davis. Oppure, senza scomodare chi ha sfondato nella NBA, gente tosta anche solo a livello universitario prima e professionistico europeo poi come Horace Wyatt e Sharrod Ford. 

Terminati i quattro anni in orange and purple coi Tigers, al Draft NBA del 1987 Horace viene scelto dai Chicago Bulls al primo giro, con la decima chiamata, dopo che gli stessi Bulls, con la pick numero cinque, avevano fatto un gioco di prestigio accaparrandosi, via New York e Seattle, un certo Scottie Pippen da Central Arkansas (scambiato dai SuperSonics con la scelta numero otto, “lo Sceriffo” Olden Polynice). 

Comincia così nella stagione 1987-88, con l’arrivo attraverso il Draft di due pedine fondamentali nel primo Three-peat di Chicago, la vera rincorsa dei Bulls di Michael Jordan al titolo NBA. A livello di squadra, le prime stagioni di MJ nella NBA non erano state così entusiasmanti. Prima dell’arrivo di Grant e Pippen, i Bulls avevano sì raggiunto i playoff (peraltro con record perdenti, sia con Kevin Loughery, sia con Stan Albeck o Doug Collins in panchina), ma con più o meno infamia erano sempre usciti al primo turno. L’ultimo anno (1987), nonostante alcune fantasmagoriche partite di Jordan, con un secco 3-0 contro i Boston Celtics. 

Nel 1987-88 i Bulls di coach Collins disputarono la loro prima vera stagione con un record vincente (50-32) e vinsero anche la prima serie playoff dell’era-Jordan, 3-2 sui Cleveland Cavaliers, prima di venire eliminati per 4-1 dai Detroit Pistons, che ancora per qualche anno si confermeranno la bestia nera dei rossoneri di Chicago. 

Ottima la stagione da rookie di Grant: 7.7 punti e 5.5 rimbalzi a partita come riserva di Charles Oakley da Virginia Union, probabilmente l’epitome del giocatore fisico di quel periodo. Nella stagione successiva però Oakley fu ceduto ai New York Knicks in cambio del centro Bill Cartwright, e Horace si ritrovò a essere l’ala forte titolare nei Bulls. 

Si prese spazio e responsabilità, mentre Jordan stava dimostrando di essere il miglior giocatore della NBA e Pippen pian piano si affermava come la perfetta spalla di MJ. Per Grant 12 punti e 8.6 rimbalzi di media in un’altra stagione da playoff, che per i Bulls (47-35 in regular season) si chiusero con la finale della Eastern Conference, persa in sei partite contro i soliti Pistons, che pochi giorni dopo vinsero il loro primo titolo NBA. 

Nel 1989-90, altra stagione e stessa storia. Nonostante il nuovo coach Phil Jackson, l’intensità di Horace Grant, la vena realizzativa di Pippen e l’immenso talento di Jordan, i Bulls ancora una volta soccombevano nelle Eastern Finals, ancora una volta per mano, muscoli e gomiti dei “Bad Boys” di Motown. La famosa “Headache Game” di Pippen – che probabilmente intimorito dalla fisicità e durezza di Dennis Rodman, John Salley e Bill Laimbeer, contribuì con appena due punti alla causa dei Bulls, sconfitti 93-74 in quella Gara7 – fu forse la punta massima di frustrazione per la Chicago dellʼepoca, che pur avendo il giocatore più dominante della Lega sembrava destinata a non arrivare mai a nemmeno giocarsi la Finale NBA. 

Eppure quei Bulls erano quasi perfetti, a partire proprio da Horace Grant, che in quella stagione si consacrò pedina fondamentale come security personale di Jordan e Pippen, oltre a totalizzare 13.4 punti e 7.9 rimbalzi a partita e il solito, ineguagliabile lavoro sporco in mezzo all’area. 

Stagione 1990-91, the time is now for Chicago. La ciurma di Jackson arrivò finalmente alle NBA Finals disintegrando in finale della Eastern Conference proprio i Pistons, un 4-0 che segnò il definitivo declino dei Bad Boys. 

In finale ad attendere i Bulls cʼera un’altra squadra prossima al tramonto, i Los Angeles Lakers di James Worthy, Magic Johnson e del giovane centro serbo Vlade Divac. Una squadra alla fine di un glorioso ciclo ma sempre pronta a vendere cara la pelle. 

Terzo realizzatore e primo rimbalzista (12.8 punti e 8.4 rimbalzi) in stagione, Grant era il vero barometro dei Bulls che un monumentale Michael Jordan trascinò al loro primo titolo NBA, annientando 4-1 i Lakers in Finale e scrollandosi definitivamente di dosso l’etichetta di perdente di lusso. 

Con quella formula coach Jackson vinse altri due titoli nelle due stagioni seguenti, prima punta Jordan, seconda punta extra-lusso Pippen, due guardie tiratrici come B.J. Armstrong e John Paxon, un centro dalle mani educate come Bill Cartwright e una dedita e ispirata “ronda” fisicamente imponente come Grant in mezzo all’area, a fare spazio, a prendere rimbalzi, a sacrificarsi e a lottare duro per le proprie superstar. 

Dopo il primo Three-peat, Jordan si ritira per la prima volta. E cifre alla mano, lʼannata 1993-94 fu la migliore in carriera per Grant, che si ritrovò ad avere maggiori responsabilità offensive, senza peraltro venire meno a quelle difensive: 15.1 punti, 11 rimbalzi e 3.4 assist di media. Numeri che gli valsero la convocazione per l’All-Star Game di Minneapolis, ma che non aiutarono i Bulls ad andare oltre la Semifinale della Eastern Conference, persa 4-3 dai New York Knicks, che poi perderanno la Finale NBA contro gli Houston Rockets. 

Chiusa la per lui straordinaria stagione, Grant optò per la free agency alla ricerca del contrattone. Lo trovò agli Orlando Magic di Shaquille O’Neal e Anfernee “Penny” Hardaway, lasciando ai Bulls un grande vuoto. Storiche e veritiere le parole di Dennis Rodman quando venne acquisito dai Chicago Bulls nell’estate del 1995: «I Bulls hanno bisogno di un duro che protegga Jordan e Pippen là in mezzo, e quel ruolo è rimasto vacante da quando Horace Grant se n’è andato». 

Grant era il tassello mancante alla squadra di coach Brian Hill, che nel 1994-95, dopo una regular season da 57-25 e una straordinaria postseason, si inceppò incredibilmente, da favorita, nelle NBA Finals, finendo cappottata 4-0 dai Rockets campioni in carica, che fino ai playoff non sembravano in grado di ripetersi. 

Grant era all’apice della carriera, e per altre tre stagioni mantenne alti rendimento e intensità. Dal 1999, complici l’età e forse il contrattone con i Magic che stava per scadere, cominciò a calare. Giocò ai Sonics la stagione a cavallo del terzo millennio, nel 2000-01 si accasò ai Los Angeles Lakers campioni uscenti e contribuì sensibilmente (8.5 punti e 7.1 rimbalzi in 31ʼ di media) alla conquista del secondo titolo NBA consecutivo per “The Combo”, la coppia Kobe Bryant-Shaquille O’Neal, in un percorso playoff quasi netto: 3-0 ai Blazers, 4-0 ai Kings, 4-0 agli Spurs e 4-1 ai Sixers in Finale, perdendo quellʼunica partita grazie alla fenomenale prestazione di Allen Iverson allo Staples in Gara1. 

Dei Lakers forse più dominanti di sempre, Horace Grant era parte integrante. A trentasei anni, Grant torna ai Magic per due stagioni per poi tentare l’ultimo assalto allʼanello NBA nella stagione 2003-04 ai Lakers del quintetto di Hall-of-Famers (con Gary Payton, Bryant, Karl Malone e OʼNeal), che a fine maggio naufragarono miseramente a Detroit sotto i colpi di Chauncey Billups e Rasheed Wallace. 

All’alba dei 39 anni, Horace Grant si ritirò con 12.996 punti e 9443 rimbalzi in 17 stagioni nella lega. Un grande guerriero devoto e motivato, con spirito di squadra, intelligenza cestistica, fisico e talento. E alle dita quattro anelli di campione NBA, vinti comunque da protagonista. 


Horace Junior Grant 

Ruolo: ala forte/centro 
Nato: 4 luglio 1965, Augusta, Georgia (USA) 
High school: Hancock Central 
Statura e peso: 2,07 m x 112 kg) 
College: Clemson 
Draft NBA: 1º giro, 10ª scelta assoluta (Chicago Bulls, 1987) 
Pro: 1987-2004 
NBA: Chicago Bulls (1987-1994), Orlando Magic (1994-1999), Seattle SuperSonics (1999–2000), Los Angeles Lakers (2000-01), Orlando Magic (2001-02), Los Angeles Lakers (2003-04) 
Palmarès: 4 titoli NBA (1991, 1992, 1993, 2001) 
Riconoscimenti: NBA All-Star (1994), 4 NBA All-Defensive Second Team (1993-1996), ACC Player of the Year (1987), Consensus NCAA All-American Second Team (1987) 
Cifre NBA: 
punti: 12.996 (11,2 PPG) 
rimbalzi: 9.443 (8,1 RPG) 
assist: 2.575 (2,2 APG) 
Numero: 54 

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