DOUG COLLINS - Second Coming


di DANIELE VECCHI
Old Timers -  Quando la NBA era lʼAmerica

Una bandiera. Un modo di comportarsi, in campo e fuori. Una fucina d’intensità sul parquet. Una mente cestistica geniale. Una figura che calza a pennello con l’atteggiamento e la mentalità di un’intera città, Philadelphia. E che alla fine ha visto la propria carriera di giocatore stroncata da un grave infortunio. Un grandissimo, incommensurabile amore per il gioco. 

Paul Douglas Collins detto Doug, un uomo dell’Illinois che ha trovato in Philadelphia la sua città e la sua casa, prima come giocatore e poi (soprattutto) come persona. 

Nato il 28 luglio 1951 a Christopher, nell’estremo sud dell’Illinois, molto più vicino a St. Louis, Missouri, che a Chicago, Doug si scopre un grande giocatore di basket già nella vicina Benton High School grazie a coach Rich Herrin, santone dei licei della zona, che portò i Rangers di Benton High, ovviamente capitanati da Collins, a una stagione da imbattuti nel 1967. 

Nel 1969 lo stesso Herrin consiglia a Collins di accettare la borsa di studio di Illinois State University, college che ha formato grandi attori come John Malkovich, Terry Kinney e Tim Russ ma certo non un programma sportivo eccelso nel basket, che tuttavia farà di Doug Collins, nei suoi quattro anni di permanenza, il giocatore più importante nella storia dei Redbirds. 

Dopo il suo anno da junior, nel 1972, Collins partecipa con la Nazionale USA ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera. Guidati da futuri pro come Bobby Jones, Doug Collins e Tom Henderson, gli Stati Uniti dominano 68-38 lʼItalia in semifinale e perdono in maniera controversa, 51-50, la finale contro l’Unione Sovietica, nonostante un Collins che si contraddistingue per sagacia, intensità e leadership. Pochi mesi dopo, nel suo anno da senior, verrà selezionato per lʼAll-American First Team dei college per il 1973. 

Guardia di 197 centimetri capace di giocare anche contro ali piccole sia in attacco sia in difesa, Collins è abbastanza fisico e veloce per non avere problemi in entrambi i ruoli. Il gioco ricco di agonismo e unʼintensità a dir poco vibrante lo fanno somigliare tantissimo a un giocatore-franchigia, uno a cui dare in mano le chiavi della squadra. 

Nel mentre, qualche centinaio di chilometri più a est, il 25 marzo 1973, i Philadelphia 76ers vengono sconfitti 115-96 dai Detroit Pistons nellʼultima gara di regular season, che la squadra della Città dell’Amore Fraterno chiude con il non invidiabile record di 9 vinte e 73 perse. Il peggiore bilancio stagionale nella storia NBA (anche se, a calendario ridotto a 66 gare anziché 82 per via del lockout, i Charlotte Bobcats 20011-12 faranno peggio: 7-59). 

Con quellʼorribile risultato però i Sixers si assicurano la chiamata numero uno al Draft NBA del 1973, pick che useranno per scegliere proprio Doug Collins da Illinois State. Su di lui scommette il front office di Philly, per ricominciare e per dimenticare la figuraccia della stagione 1972-73. 

Il primo campanello d’allarme però suona già al primo anno, quando Collins è costretto a saltare 57 partite a causa di un infortunio, preludio a ciò che sarà la sua tormentata carriera NBA. Durante la sua stagione da rookie, Doug dimostra comunque alla dirigenza philadelphiana che la prima scelta assoluta era stata spesa bene, non tanto per le sue cifre in campo (8 punti a partita in 25 gare, alla media di 17.4 minuti di impiego), quanto per la sensazionale esplosione di energia che Collins sprigiona sul campo, intensità allo stato brado. 

Gene Shue, allenatore di quei Sixers da 25 vittorie e 57 sconfitte (comunque un netto miglioramento rispetto al 9-73 della stagione precedente), sente di avere per le mani un giocatore che, per approccio e dedizione, può davvero spostare gli equilibri. 

Nella stagione successiva Collins si presenta al meglio e ha subito un grande impatto sulla squadra, confermandosi, con 17.9 punti a partita, terzo realizzatore dei Sixers, dietro a Fred Carter e al veterano Billy Cunningham, ma soprattutto contribuendo alla causa biancorossa con cuore, entusiasmo e massimo impegno, contagiando, per quanto possibile, lʼintero spogliatoio. 

Nel 1975-76 i Sixers sembrano fare sul serio. A Philadelphia arriva “Mr. Indiana”, George McGinnis dagli Indiana Pacers (nato a Indianapolis e uscito dalla Indiana University), grandissimo realizzatore e uomo capace di risolvere le partite da solo, ruolo e attitudine che non manca anche al rookie dei Sixers, il nuovo arrivato World B. Free da Guilford College, un uomo del Sud trapiantato a New York particolarmente fiducioso nei propri mezzi cestistici. 

I Sixers, ancora di coach Gene Shue, chiudono la regular season sul 46-36 e conquistano l’accesso ai playoff, dove perdono 2-1 contro i Buffalo Braves di un philadelphiano doc, coach Jack Ramsey, che anche nell’immediato futuro non disdegnerà di dispensare altri dispiaceri alla squadra della sua città. 

Secondo miglior realizzatore della squadra (dopo il solito Fred Carter) con 20.8 punti di media a partita, Collins si conferma una colonna portante dei nuovi Sixers. Un giocatore al terzo anno di NBA ma già con la maturità e la leadership di un veterano, doti che gli valgono la chiamata all’All-Star Game e che non mancherà per i tre anni successivi. 

L’estate 1976 è il punto di svolta della storia dei Sixers di quegli anni. Il magnate Fitz Eugene Dixon compra la franchigia e il 21 ottobre mette a segno il suo primo grande colpo di mercato. Dai New York Nets della ABA arriva il giocatore più emozionante e spettacolare del basket americano, Julius “Doctor J” Erving, che sbarca nella Città dell’Amore Fraterno con il preciso intento di portare i 76ers al titolo NBA. 

I presupposti ci sono tutti fin dalla stagione seguente. Erving, McGinnis, Collins, World B. Free e Henry Bibby (padre di Mike) sono autentiche bocche da fuoco che portano la truppa di Shue a 50 vittorie e 32 sconfitte in stagione. Durante i playoff, le prestazioni di Collins, insieme con quelle di Doctor J, diventano fantasmagoriche, Collins sale da 18.3 a 22.4 punti di media a partita, con il 56% dal campo, una chiara espressione dellʼatteggiamento e del senso di responsabilità di Collins. 

Purtroppo per lui in finale i Sixers, in vantaggio 2-0 dopo le prime due partite allo Spectrum, vengono sconfitti dai Portland Trail Blazers, guidati in campo da Bill Walton e in panchina dall’onnipresente «Sixersʼ grandmaster of disguise», coach Jack Ramsey. 

Nonostante la sconfitta, per Philadelphia sembra comunque l’inizio di una nuova era. Il roster è stellare, e un roseo futuro dinastico sembra già scritto. Doug è parte integrante di quel gruppo, è il collante e il leader dello spogliatoio, ma con un punto debole: le ginocchia. I problemi cominciano a venire fuori con sinistra continuità nel 1978-79, stagione che per Collins dura 47 partite perché il 12 marzo 1980, contro i Washington Bullets, si frantuma in pratica in modo definitivo i legamenti del ginocchio destro, infortunio che virtualmente gli tronca la carriera. 

La sua forza di volontà e la sua dedizione lo riportano in campo nella stagione 1980-81, ma solo per 12 partite, nelle quali mantiene una media di 12.3 punti per gara. A soli 29 anni, praticamente nel pieno della maturità, Collins è costretto al ritiro. E i “suoi” Sixers il titolo NBA lo vinceranno solo nel 1983. 

Un colpo duro per una persona che amava il gioco come lo amava lui, ma presto assorbito e metabolizzato, visto che Doug, in poco tempo, sarebbe diventato un allenatore di primo piano della NBA. Prima i Chicago Bulls, poi i Detroit Pistons, gli Washington Wizards e infine il ritorno, the second coming, la resurrezione, di nuovo nella sua Philadelphia come head coach, con in mano una squadra di giovani di belle speranze. Grande giocatore uguale grande allenatore: per una volta, l’equazione torna. 


Paul Douglas (Doug) Collins 

Ruolo: guardia tiratrice/ala piccola 
Nato: 28 luglio 1951, Christopher, Illinois (USA) 
High school: Benton HS (Benton, Illinois) 
Statura e peso: 1,97 m x 82 kg 
College: Illinois State (1969-1973) 
Draft NBA: 1ª scelta assoluta 1973 (Philadelphia 76ers) 
Pro: 1973-1981 
NBA: Philadelphia 76ers (1973-1981) 
Palmarès: argento olimpico Monaco 1972 (USA) 
Riconoscimenti: 4 NBA All-Star (1976-1979), Consensus NCAA All-American First Team (1973) 
Cifre NBA: 
punti: 7.427 (17,9 PPG) 
rimbalzi: 1.339 (3,2 RPG) 
assist: 1.368 (3,3 APG) 
Numero: 20 
Da coach: Chicago Bulls (1986-1989), Detroit Pistons (1995-1998), Washington Wizards (2001-2003), Philadelphia 76ers (2010-) 
Riconoscimenti da coach: NBA All-Star Game Coach (1997) 

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