HOOPS MEMORIES - Per un pugno da 60 mila dollari
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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
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Il pugno più devastante della storia del basket fu sferrato il 9 dicembre 1977 in un Lakers-Rockets al Forum di Los Angeles. All’inizio del terzo quarto Kevin Kunnert, centro di 2,12 di Houston, e Kermit Washington, ala gialloviola di 2.02, si scontrarono sotto le plance. Mentre l’azione proseguiva con le due squadre che si muovevano verso il canestro opposto, i due si attardarono prima per strattonarsi a vicenda e poi per cominciare a darsele per davvero. Washington mollò un cazzotto che tramortì Kunnert e questi si accasciò sul parquet coprendosi con le mani il volto.
Nel frattempo l’ala (anch’egli) di 2,02 Rudy Tomjanovich, capitano e miglior giocatore dei Rockets, tornò indietro di corsa per soccorrere il compagno. Ma “Rudy T” non fece in tempo ad arrivare sulla scena del misfatto che Washington si girò e gli mollò una sventola di destro al volto stendendolo. Rudy stramazzò a terra privo di sensi, sanguinante da naso, bocca e orecchie! Una scena irreale.
In seguito l’arbitro Bob Rakel dichiarò di aver sentito un colpo fortissimo, come se qualcuno avesse colpito un muro di cemento con una mazza da baseball. E mentre il coach di Houston Tom Nissalke definiva il cazzotto “un pugno che era tutta scena”, Washington sosteneva di aver agito per legittima difesa, credendo che Tomjanovich stesse per guidare la reazione degli altri giocatori di Houston.
Ma se Washington ha sempre sostenuto che il pugno era stato un autentico errore, i danni che aveva provocato erano inequivocabili. Tomjanovich si ritrovò con il naso rotto, una doppia frattura della mascella e una commozione cerebrale, lesioni che per ricostruirgli la faccia richiesero tre operazioni. Uno dei chirurghi disse che avevano dovuto “ricostruirgli la faccia come un puzzle”. Rudy trascorse due settimane all’ospedale, dove per parecchi giorni tenne gli specchi coperti con degli asciugamani così non doveva vedersi il volto.
Tomjanovich, che era stato un All-Star per quattro volte nei suoi otto anni nella Lega, rimase fuori per il resto della stagione. Al momento dell’incidente, era una delle migliori ali forti della Lega e viaggiava a 22 punti di media.
Quattro giorni dopo aver sferrato il tragico pugno, Washington venne multato dal Commissioner della NBA Larry O’Brien con ben 10.000 dollari, allora la più grossa mai comminata nella storia dello sport. Gli fu anche sospeso lo stipendio per sessanta giorni, il che gli costò altri 50 mila dollari.
Tomjanovich fece causa ai Lakers per non essere riusciti a tenere sotto controllo la condotta di Washington, già noto nella Lega come “enforcer”. Anche i Rockets fecero causa ai Lakers e il motivo era per la perdita del loro capitano, che dovette saltare 53 partite. Quando la causa arrivò al dibattimento, nell’estate del 1979, una giuria della corte federale di Houston risarcì Tomjanovich di 3.3 milioni di dollari, più di quanto richiesto. La stessa giuria stabilì così che i Lakers non erano riusciti a trattenere adeguatamente e a supervisionare il loro dipendente, e che Washington aveva agito secondo una condotta irrispettosa dell’incolumità altrui.
I Lakers si appellarono alla sentenza e alla fine si accordarono con Tomjanovich per una somma rimasta segreta. E patteggiarono anche la causa legale intentata contro di loro dai Rockets.
Tomjanovich fu in grado di tornare in campo dieci mesi dopo l’incidente e giocò bene, aiutando i Rockets a fare i playoff. Il suo ritiro dall’attività non sarebbe avvenuto prima di due anni, nel 1981, e con una media in carriera di 17.4 punti a partita.
Rudy T sostiene di non rivivere mentalmente l’incidente e di non aver mai avuto dei flashback, perché il pugno non l’aveva visto partire. Per certi versi, gli strascichi della vicenda furono più “duri” (si fa per dire) per Washington che per Tomjanovich.
Kermit, 2.02 per 102 libbre, era uno degli uomini fisicamente più forti di tutta la NBA. Ma nonostante la brutta reputazione, il fattaccio con Tomjanovich fu l’unica rissa in cui rimase coinvolto. Nei suoi cinque anni nei pro era dovuto uscire per falli solo quattro volte, cosa che difficilmente ci si aspetta da un giocatore così esageratamente aggressivo.
Washington, una laurea in psicologia dalla American University e giocatore assai popolare tra i colleghi, fuori del campo era una persona sensibile e di modi gentili, tranquillo e altruista. Nelle parole del general manager dei Lakers, Bill Sharman: “Kermit è semplicemente l’opposto di quel che sembra. È quasi timido lontano dal basket”. Comportamento abbastanza diffuso fra gli atleti, quando era sul parquet si trasformava.
Eppure era stato Washington a scaricare sul malcapitato il pugno che lì per lì aveva detto di aver sferrato per difesa personale, “un autentico, sfortunatissimo errore”.
La multa e la sospensione di sessanta giorni gli piombarono addosso nel bel mezzo della sua miglior stagione da pro: 10 punti e 9 rimbalzi a partita come role player della panchina gialloviola. Washington ricevette insulti via posta da tutto il Paese, comprese ingiurie razziali e minacce di morte e fu in continuazione perseguitato da strane telefonate. Tutto questo, malgrado avesse costantemente espresso il proprio dolore per l’incidente e avesse fatto diversi tentativi per mettersi in contatto con Tomjanovich. Chiamate mai ricambiate.
Dopo neanche tre settimane di squalifica Washington fu ceduto ai Celtics, e una volta tornato in campo, ovunque andasse a giocare veniva beccato dai “buu” del pubblico. Nonostante gli 11 punti e 10 rimbalzi di media, Boston quella stessa estate lo girò a San Diego.
In un curioso scherzo del calendario, la prima partita di Kermit in maglia Clippers fu proprio contro Houston e neanche a farlo apposta fu la prima partita di Tomjanovich dopo l’infortunio. I due si marcarono a vicenda per un intero quarto senza scambiarsi una parola o una stretta di mano. Ebbero una lite prima di una gara due anni dopo l’incidente, poi più nulla.
Washington fu incapace di scrollarsi quella reputazione per anni e pagò caro quanto commesso, ma non era quel diavolo che qualcuno si ostinava a considerare come tale.
Più avanti nella carriera, nel 1983, tentò di rientrare con i Trail Blazers dopo gli infortuni che lo avevano limitato a sole 20 partite l’anno precedente. Con una splendida iniziativa, che stupì anche la dirigenza, Kermit chiese al management di Portland il permesso per devolvere anonimamente il suo intero stipendio ad alcuni tifosi in difficoltà. Purtroppo, il suo tentativo di rientro fallì per via dei problemi a un ginocchio e alla schiena. Ma il suo programma di assistenza continuò, grazie anche ai contributi di giocatori e dirigenti.
Il general manager dei Blazers, Stu Inman, fotografò così la situazione: “Il mondo è diventato un posto migliore perché Kermit Washington ci ha messo piede”. Forse era vero, ma chi glielo spiega a Rudy T?
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