HOOPS MEMORIES - Il malinteso che generò uno sport
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di CHRISTIAN GIORDANO ©
Rainbow Sports Books ©
La prima partita di basket femminile fu giocata appena qualche settimana dopo la prima gara, disputata nel 1891 a Springfield, nel Massachusetts, della classe maschile di James Naismith. Alcuni insegnanti delle ragazze chiesero a Naismith se sarebbe stato giusto (sic) farle giocare e questi non ebbe obiezioni. Le signorine si presentarono in abito da passeggio, la maggior parte calzando scarpe normali, anche se qualcuna portava scarpe da tennis, o meglio, una loro antesignana versione.
Tutte sopravvissero e l’incontro ebbe un’interessante quanto duratura appendice. Una di loro, tale Maude Sherman, finì per sposare il dottor Naismith. E poi dicono che lo sport non unisce...
A livello di college, la prima partita femminile venne giocata nei pressi dello Smith College di Northampton, nel Massachusetts, nel 1893. La direttrice del dipartimento di educazione fisica, Sendra Bernsen, che era venuta a conoscenza del gioco frequentando un seminario a New Haven, organizzò una partita tra le sue classi di prima e di seconda. L’accesso in palestra al pubblico maschile fu vietato per ovvi motivi: evitare che si vedesse la biancheria intima indossata dalle giocatrici.
Quelle prime partite di basket femminile furono giocate secondo le regole standard di Naismith, una consuetudine che incominciò a cambiare nel 1895. Clara Baer, insegnante di educazione fisica al Newcombe College di New Orleans, in Louisiana, scrisse una lettera a James Naismith in persona chiedendogli una copia del regolamento cestistico. Nella risposta, Naismith aveva allegato uno schema del campo che recava le posizioni in cui in genere i giocatori erano soliti stazionare. Ma la Baer fraintese, credendo che ai giocatori non fosse consentito lasciare le loro specifiche zone di competenza.
Dall’errata interpretazione della Baer nacque il regolamento femminile che prevalse per più di settant’anni in gran parte del Nord America: le giocatrici dovevano stare entro un’area definita e solo poche per squadra potevano tirare.
La Baer chiamò il gioco “basquette” e in seguito difese a spada tratta quelle restrizioni sul movimento delle giocatrici sostenendo che quella versione della pallacanestro in gonnella non doveva essere cambiata perché facilitava “alle donne e alle adolescenti la pratica di un gioco che per una ragazza delicata, non avvezza all’esercizio fisico e anzi nella gran parte dei casi ad esso riluttante, sarebbe divenuto, suo malgrado, di suo interesse”.
Molti insegnanti di educazione fisica all’epoca condividevano tale filosofia ritenendo che le donne avrebbero potuto procurarsi dei danni fisici se in campo non ci fossero state delle linee di divisione che le giocatrici non potevano attraversare. Le regole della Baer furono accettate a livello nazionale e alle atlete ci volle buona parte del secolo per scrollarsi di dosso le catene che tanto le avevano limitate in seguito ad uno schema di Naismith che era stato frainteso. Oggi esiste perfino la WNBA, il basket femminile è ovviamente identico, in quasi ogni aspetto, a quello maschile e spesso altrettanto piacevole. Ma che fatica arrivarci.
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