Moser vs Saronni, così diversi così uguali


venerdì 23 aprile 2010 
di CHRISTIAN GIORDANO, La Gazzetta dello Sport - Home Video

NEMICI PER SEMPRE

Il dualismo fra Francesco Moser e Giuseppe Saronni ha caratterizzato il nostro ciclismo degli anni 70-80 e diviso i tifosi come non accadeva dai tempi di Bartali e Coppi.

Nati in famiglie di corridori, sembravano fatti apposta per essere avversari tanto erano l’uno l’opposto dell’altro. In bicicletta come nella vita. Eppure, per certi versi, erano anche più simili di quanto fossero disposti ad ammettere: dotati di classe purissima, incapaci di mollare, generosi e primedonne, in grado di vincere su ogni terreno, in ogni corsa, a tappe o in linea, e in qualsiasi periodo della stagione. Più potente e istintivo il Checco, più veloce e più furbo il Beppe: si sono sfidati per un decennio e hanno regalato a milioni di appassionati emozioni impossibili da dimenticare.

1979, IL GIRO DELLA CONSACRAZIONE

Il duello Moser-Saronni è già all’apice. Moser vince il cronoprologo di Firenze, e la terza tappa, la Caserta-Napoli, ancora contro il tempo. Saronni però gli è addosso già a Vieste, dove vince da finisseur antico: agile in salita, potente in volata. Il sorpasso avviene sul terreno prediletto dall’avversario: la cronoscalata, a San Marino, e la crono finale Cesano Maderno-Milano. Saronni, a ventun anni, vince il suo primo Giro d’Italia.

Per il campione di Novara la stagione era iniziata con tre secondi posti consecutivi: alla Sanremo (dietro De Vlaeminck), nella Freccia Vallone (alle spalle di Hinault) e nella Tirreno-Adriatico (dopo il norvegese Knudsen). Che la preparazione fosse ben calibrata lo dimostreranno la vittoria nel Campionato di Zurigo, davanti a Moser, e il Giro di Romandia, vinto alla grande su Gianbattista Baronchelli. Chi fa bene al Romandia difficilmente sbaglia il Giro Italia. E quando parte la corsa rosa, il 17 maggio, Saronni è tra i favoriti nonostante la giovane età, la poca esperienza e il tracciato disegnato per Moser.

Inoltre, Saronni non viene ritenuto maturo per vincere una corsa così dura e lunga tre settimane. I fatti sembrano dare ragione agli scettici già dal prologo, col trentino che batte Beppe e va subito in rosa. Tre giorni dopo Francesco domina la crono di Napoli, ma Saronni, terzo, non molla e a Vieste, dopo 223 km, lo batte allo sprint. Altri tre giorni e la crono Rimini-San Marino ribalta le gerarchie. La vince Saronni, che conquista la maglia rosa. Moser nemmeno chiude tra i primi tre.

Il duello, intanto, anche per via delle dichiarazioni di fuoco dei protagonisti, spacca i tifosi italiani.
Moser non ama attaccare montagna, ma per vincere non ha scelta e sui monti di casa sferra il primo affondo con l'impresa nella tappa da Pieve di Cadore a Trento, tra due ali di folla impazzita. Saronni però resiste e resta in rosa. A due giorni dalla conclusione, la corsa sembra decisa. Nell’ultima frazione si concede il lusso di vincere la crono da Cesano a Milano. Il Giro è suo, Moser è secondo in classifica generale, staccato a 2’09”. La grande rivalità, capace di riportare sulle strade milioni di italiani, è all’apice. Eppure, i due grandi nemici finiscono la stagione da alleati per vincere insieme il Trofeo Baracchi. Beppe vincerà poi anche le Tre Valli Varesine, chiudendo alla grande una stagione magica.

MOSER, NATO PER CORRERE

Nato a Palù di Giovo (Trento) il 19 giugno 1951, eccezionale passista e cronoman, professionista dal 1973 al 1988, in carriera ha raccolto 276 vittorie.

Quarto corridore di una famiglia di ciclisti - tre dei suoi undici fratelli, Enzo, Aldo e Diego, sono stati professionisti -, Francesco Moser occupa un posto di rilievo fra i grandissimi di ogni tempo in virtù degli straordinari risultati che è riuscito ad assicurarsi grazie, soprattutto, alle straordinarie doti fisiche, ma anche alla professionalità, all'intelligenza e alla dedizione al ciclismo.

Francesco Moser a tredici anni lascia la scuola per lavorare nei campi. Al ciclismo comincia a dedicarsi sul serio in età già matura, a 18 anni. Dopo il dilettantismo nelle file della Bottegone e la partecipazione alle Olimpiadi di Monaco ’72, passa al professionismo nel 1973 e nel 1975 si laurea campione italiano a Pescara, sul circuito del Trofeo Matteotti.

A 24 anni Moser si presenta per la prima volta al Tour de France, nel 1975, vince il prologo di Charleroi e la tappa di Angoulême e indossa la maglia gialla, poi tenuta per sette giorni. Con i suoi attacchi nella prima fase della corsa mette in crisi il grande Eddy Merckx che sulle Alpi deve cedere il Tour al francese Bernard Thèvenet. In Francia, Francesco diventa un idolo ma al Tour non si vedrà più.

Ai mondiali di Ostuni del 1976 giunge secondo nella prova su strada dietro al belga Maertens ma conquista l’oro dell'inseguimento in pista. Dodici mesi dopo, è sua anche la maglia iridata dei professionsiti su strada: la vince sotto il diluvio di San Cristobal, in Venezuela. Con la maglia di campione del mondo ottiene, nel 1978, 39 vittorie tra cui la prima delle sue tre consecutive Parigi-Roubaix .

Forte, veloce e abile allo sprint, Moser si mette in luce per la sua combattività e intreccia negli anni un duello con Giuseppe Saronni che divide il tifo degli italiani. Nel corso dei suoi quattordici anni di carriera conquista ins erie classiche di prestigio quali la Parigi-Tours (1974), due Giri di Lombardia (1975, 1978), la Freccia Vallone (1977), il Campionato di Zurigo (1977), la Gand-Wevelgem (1979). Nel palmarès conta quasi tutte le più importanti corse in linea e a tappe italiane e una serie di vittorie parziali al Giro d'Italia. In gruppo lo chiamano lo “Sceriffo” perché in gruppo detta legge e governa le corse come solo i grandi campioni sanno fare.

Per quanto ingeneroso e limitativo, la fama di Francesco Moser è però legata soprattutto al Record dell'ora. Nel gennaio 1984 parte per il Messico per tentare in altura il primato mondiale che, da 12 anni, appartiene al “Cannibale” Eddy Merckx.

Il suo declino era cominciato la stagione precedente, a poco più di trent'anni. Le motivazioni per una nuova sfida invece lo rigenerano: «Se nella vita non si tenta sempre qualcosa di nuovo, allora cosa si campa a fare?» è il motto alla base della sua nuova, per tanti versi irripetibile, impresa.

Seguito da una équipe specializzata, sotto la supervisione del professor Francesco Conconi, docente e poi rettore dell’Università di Ferrara, Moser porta il record dell'ora a 50,080 km. Quattro giorni dopo lo migliora: 51,151 km.

Il successo apre le porte a una rivoluzione scientifica e tecnica nel mondo del ciclismo. Grazie a Moser vengono introdotte innovazioni nell'alimentazione, nelle pratiche di allenamento, nell'abbigliamento da gara (con una speciale tuta e il casco aerodinamico), nelle tecniche di costruzione delle biciclette, ideate in galleria del vento e dotate di rivoluzionarie ruote lenticolari e le pendici del manubrio fatte “a corna di bue”.

Dieci anni dopo, già ritiratosi da diverse stagioni, Moser torna in Messico per sfidare nuovamente il record, all’epoca detenuto dal britannico Chris Boardman. Realizza la misura di 51,840, quattrocento metri in meno della misura necessaria, ma sufficiente a battere la sua precedente prestazione.

Rientrato all'attività su strada, nel magico 1984 vince la Milano-Sanremo e nel Giro d'Italia dà vita a una accanita lotta con Laurent Fignon. Il francese, favorito sulle montagne, gli sfila la maglia rosa due giorni prima della conclusione della corsa. Nell'ultima tappa, la cronometro che si conclude all'Arena di Verona, Moser vince tappa e Giro grazie a una prova straordinaria, favorita dalla bici dalle ruote lenticolari. Finalmente, conquista così la gara a tappe sul cui podio sale per ben altre cinque volte.

1975, L’UNICA VOLTA AL TOUR

Francesco e il Tour non si sono mai amati. Vi ha partecipato solo una volta, nel '75, dopo aver rinunciato al Giro d'Italia che finiva sullo Stelvio. Eppure anche nella “Grande Boucle” fu subito come protagonista con due tappe vinte, una settimana in maglia gialla e il settimo posto finale nonostante la caduta sui Pirenei.

I GIRI PRIMA DELLA GRANDE RIVALITÀ

1976 (59a edizione) - Lirismo della “vecchiaia” per Gimondi, che a 34 anni vince per la terza volta il Giro d'Italia. Precede di soli 19" il belga De Muynck. Terzo è Bertoglio, vincitore dell'edizione precedente, il quale perde la piazza d'onore nella decisiva cronometro di Arcore. Moser è quarto a 1'7".

1977 (60a edizione) - Tutti aspettano Moser, ma vince il belga Michel Pollentier, gregario di Freddy Maertens, che domina persino nella specialità più cara al trentino: si impone, infatti, nella crono di Binago, penultima tappa. Le prime frazioni sono un duello fra i velocisti Maertens e Van Linden, ma i due rovinano a terra in una tremenda volata al Mugello, e sono costretti al ritiro. La vittoria di tappa va a Marino Basso.

1978 (61a edizione) - Lotta di sprinter prima delle montagne, come sempre: bella volata di Van Linden su Thurau a Novi Ligure. Nella tappa successiva si mostra per la prima volta Giuseppe Saronni, prima vittoria al Giro con lo sprint di La Spezia. Saronni vincerà ancora a Benevento e a Ravello. Si instaura il duello con Moser che fa sua la tappa di Siena, la crono di Poggibonsi, la Solaria-Cavalese. La serie degli scalatori “sfortunati” è continuata da Panizza (primo sul mitico monte Bondone). Fra gli sprinter spunta Pierino Gavazzi: vittorioso nell'ultima tappa, la tradizionale passerella a Milano.

ANCHE UOMO DA UN GIORNO

Due classiche ha vinto per positività al controllo medico dell'avversario che l'aveva battuto: Karstens nella Parigi-Tours '74 e Maertens nella Freccia Vallone '77. Come, grazie alla vittoria nel campionato italiano (il terzo dopo quelli del '75 e del '79), nell'81 a Compiano rispose a chi lo dava finito, altrettanto, mettendo a profitto l'équipe Enervit postagli a disposizione dal dottor Sorbini, fece e nella maniera più superba nell'84 con l'avvento della ruota lenticolare aggiudicandosi il record dell'ora, la Sanremo e il Giro.

1981-83 LA RINASCITA

da 0.35.58 a 37.55 Parigi-Roubaix 81 e primo scontro con Hinault, la Montecatini-Salsomaggiore, Giro di Toscana 82, Giro d’Italia

L’ANNO D’ORO DI MOSER: 1984

da 0.37.56 Alla fine: il record dell’ora, la Milano-Sanremo, la Vuelta, il Giro d’Italia e duello con Fignon, e vittoria finale, con carrellata foto all’Arena di Verona.

IL DOPPIO RECORD DELL’ORA

La sua carriera, splendida e fruttuosa per un decennio, pareva stesse per chiudersi in maniera opaca quando, preparandosi in maniera del tutto nuova e quasi futuristica, perché studiava e poi metteva in pratica conquiste scientifiche e tecniche che hanno poi dato una svolta al ciclismo, conquistò il Record dell'ora portandolo in due successive prove, il 19 e il 23 gennaio 1984 sulla pista in cemento del Centro sportivo di Città del Messico, dai 49,431 di Merckx (1972) prima a 50,808 e infine a 51,151 km.

Non solo, sullo slancio della eccezionale condizione ritrovata, riuscì, a distanza di pochi mesi del suo anno migliore, ad aggiungere al palmarès due grandi successi a lungo inseguiti: la Milano-Sanremo e il Giro d'Italia (dopo un duello appassionante con Laurent Fignon vinto nella conclusiva, indimenticabile cronometro di Verona).

Un ritorno ai vertici imperioso e che ha ripagato Moser della generosità con la quale s'era sempre battuto, talvolta incurante di preparare agli avversari il terreno propizio, in particolare all’arcirivale Saronni con il quale ha dato vita per anni a un duello incandescente che ha accresciuto la popolarità del ciclismo.

IL CORRIDORE:
CHECCO IL GENEROSO, ANCHE TROPPO

Grande passista, potente velocista ha sovente patito le grandi montagne anche se le più dure salite delle corse classiche lo hanno avuto in prima fila. Preparandosi in maniera completamente nuova e mettendo in pratica conquiste scientifiche e tecniche, che hanno poi dato una svolta al ciclismo, conquistò il Record dell'ora portandolo in due successive prove - il 19 e il 23 gennaio 1984 sulla pista in cemento del Centro sportivo di Città del Messico - dai 49,431 di Merckx ('72) prima a 50,808 e infine a 51,151.

Non solo ma a distanza di pochi mesi riuscì ad aggiungere al suo palmarès due grandi vittorie che ancora mancavano, quelle nella Milano-Sanremo e nel Giro d'Italia. Insieme a Saronni, suo grande rivale, ha dato vita per alcuni anni a un duello incandescente che ha infiammato e accresciuto la popolarità del ciclismo.

Del '77 è la maglia iridata nella prova su strada a San Cristobal dopo aver indossato quella di campione dell'inseguimento l'anno precedente a Monteroni. Uomo da classiche Moser ha fatto della Parigi-Roubaix il simbolo della sua eccezionale qualità: tre vittorie consecutive nel'78, '79, '80, due secondi posti ('74 e '76) e due terzi ('81 e '83). Ha partecipato nel '75 al Tour e anche qui si evidenziò subito come protagonista con due tappe vinte, una settimana in maglia gialla e il settimo posto finale nonostante una caduta sui Pirenei.

Due classiche le ha vinte per la positività al controllo antidoping dell'avversario che l'aveva battuto: l’olandese Gerben Karstens nella Parigi-Tours '74 (come accadde nel Lombardia ’73 a favore di Gimondi) e Freddy Maertens nella Freccia Vallone '77 (al belga la stessa cosa accadde al Giro delle Fiandre dove peraltro era stato battuto da Roger De Vlaeminck), quest’ultima davanti proprio a Saronni.

Come, grazie alla vittoria nel campionato italiano (il terzo dopo quelli del '75 e del '79), nell'81 a Compiano rispose a chi lo dava finito, altrettanto - mettendo a profitto l'équipe Enervit postagli a disposizione dal dottor Sorbini - fece e nella maniera più superba nell'84 (allorché già si annunciava la sua rinuncia) con l'avvento della ruota lenticolare aggiudicandosi il record dell'ora, la Sanremo e il Giro.

E per completare il suo predominio il re dell'ora il 3 ottobre 1986 ha portato il record a km 49,801 al Vigorelli (migliorando quello da lui stesso stabilito la settimana precedente con km 48,543). Nel 1987 ottenne il record mondiale dell'ora su pista coperta con 48,637 nel Velodromo olimpico a Mosca e nell'88, a Stoccarda, lo migliorò ancora: 50,644 km.

MOSER, GLI ALTRI SUCCESSI

La prima e più lunga fase della sua carriera ha consentito a Francesco di conquistare, splendidamente, la maglia iridata nel '77 nella prova su strada a San Cristobal, in Venezuela, dopo aver indossato quella di campione dell'inseguimento l'anno precedente a Monteroni.

Solo un'incredibile leggerezza gli impedì di confermarsi campione su strada nel '78 sul Nürburgring dove finì 2° (come già aveva fatto a Ostuni nel '76).

MONDIALE 1976, LA BEFFA DI OSTUNI

Per Freddy Maertens quelli dal ’76 all’80 furono gli anni migliori. A Ostuni ’76 è lui il piu forte e si avvale della collaborazione che il connazionale Merckx gli aveva negato nel ’73, quando il suo mancato apporto aveva consentito a Gimondi di battere Maertens in volata sul traguardo di Barcellona dopo aver tenuto bene le ruote dei due belgi e dello spagnolo Ocaña sulla salita del Montjuich.

A Ostuni, nel giro finale, quando Maertens e Moser si avvantaggiano su Zoetemelk e Conti, da dietro Merckx controlla che nessuno rientri sui battistrada. Per i quattro, frazionati in due coppie, è facile arrivare al traguardo e per Maertens è quasi uno scherzo battere il generoso Moser che aveva fatto la corsa e si era lasciato abbindolare dai finti lamenti di fatica dello sprinter belga. Terzo arriverà Tino Conti.

MONDIALE 1977
LA RIVINCITA A SAN CRISTOBAL

Al primo anno da professionista, Saronni veste con onore la sua prima maglia azzurra: nell’ultimo terzo di corsa, con un abile mossa nel circoscrivere una grande aiuola in discesa, sgancia Moser che poi risolverà la gara. Beppe arriverà nono.

Moser è in formissima. Quando Bitossi si stacca dal gruppetto, Thurau smette di tirare. A 5,5 km e mezzo dal traguardo, Moser fora; avvisa il Ct Martini, ma in modo che Thurau non se ne accorga. I meccaninici sostituiscono la ruota con tempi da Formula Uno: 5 secondi, Francesco perde un centinaio di metri, ma riprende il tedesco dopo un chilometro. A meno di tre km dall’arrivo, i due hanno un vantaggio di 3’15” e Martini ordina a Moser di non tirare. Arrivano al traguardo ai 25 all’ora, giocandosi il mondiale con una guerra di nervi, visto che nessuno vuole partire per primo e magari finire beffato in rimonta come era capitato, l’anno prima, a Ostuini, allo stesso Moser con Maertens.

Stavolta però Checco è troppo forte. Ai trecento metri si decide la volata e contro quel Moser non ce n’è per nessuno. Nella foga dello sprint, dopo l’arrivo Francesco finisce contro i fotografi. Ma è finalmente campione del mondo. Sul terzo gradino del podio, per il secondo anno consecutivo, un altro azzurro: in questa occasione è Franco “cuore matto” Bitossi.

MONDIALE 1978
UN’ALTRA BEFFA: KNETEMANN

Ad Adenau, in Germania, altro mondiale falcidiato dalla pioggia. Non torrenziale come dodici mesi prima in Venezuela, ma corredata di vento e freddo: 4 gradi, alla faccia del 27 agosto. Alle quattordici sembra già buio, le ammiraglie accendono i fari.

Sul circuito dove nel 1927 trionfò l’italiano Alfredo Binda, un altro azzurro può emularne le gesta: il campione in carica Francesco Moser. Il capitano corre al coperto, si scatena invece il suo compagno di squadra Beppe Saronni, stella emergente nel panorama del cilccismo italiano e ora internazionale.

Chiude su de Vlaeminck dopo 230 km, poi, all’11esimo giro, sulla salita più dura, attacca. E i suoi scatti sanno far male. Knetemann risponde. Poi reagisce Hinault, fresco vincitore al Tour de France. Saronni tempreggia, sa di poter vincere allo sprint. Godefroot riporta sotto i belgi, ma sui tre fuggitivi piomba Moser. Beppe non gradisce. A 8 km dalla fine, parte Knetemann. Francesco gli prende la ruota e a 5 dal traguardo i due hanno già 30” di vantaggio. L’olandese non dà il cambio. Mai.

A 40 metri dall’arrivo Moser, fuorisella e al massimo dello sforzo per via del rapportone, si “siede”, convinto di aver vinto. Knetemann, che nel finale gli aveva promesso di non fare la volata perché troppo stanco, lo infila. Per francesco è la seconda beffa iridata, dopo quella infertagli da Maertens due anni prima. Bronzo è il danese Jorgen Marcussen, Saronni vince lo sprint per il quarto posto davanti al francese Hinault e all’olandese Zoetemelk.

IL NOSTRO “MONSIEUR ROUBAIX”

Uomo da classiche ha fatto della Parigi-Roubaix il simbolo della sua eccezionale qualità: tre vittorie in fila, nel '78, '79, '80 (record condiviso col francese Octavie Lapize, vincitore nel 1908, 1909 e 1910), due secondi posti ('74 e '76) e due terzi ('81, '83). Meglio ha fatto solo “Monsieur Roubaix”, il belga Roger De Vlaeminck: per lui 4 successi seppure non consecutivi.

IL DOPOCORSE

La sua ultima gara è il Trofeo Baracchi, nel settembre 1987. Dopo il ritiro dall'attività professionistica si dedica alla campagna come produttore di vino e coltivatore di mele. Continua a rimanere nel ciclismo come collaboratore della RCS, società organizzatrice del Giro d'Italia, e con una fortunata attività di produttore di biciclette. Dedicatosi alla politica, ha ricoperto vari incarichi nell'amministrazione della Provincia di Trento, fa parte del consiglio dei professionisti dell'UCI (Unione Ciclistica Internazionale) e nel 2001 si è candidato alla presidenza della Federazione Ciclistica Italiana.

SARONNI, LO SCATTO CHE FA MALE

Giuseppe Saronni, per tutti Beppe, nasce a Novara il 22 settembre 1957. Anche lui come Moser viene da una famiglia di ciclisti. I fratelli Alberto e Antonio svolgono attività agonistica, Antonio è pluricampione italiano di ciclocross.

Dopo la consueta trafila nelle categorie giovanili, nel 1977, appena 20enne, passa ai professionisti, fra i quali ottiene subito numerosi successi: il Giro del Friuli, il Trofeo Pantalica, la Tre Valli Varesine e il Giro del Veneto. All’esordio in una classica del Nord, la Freccia Vallone, arriva secondo alle spalle di Francesco Moser, dando inizio a una rivalità che proseguirà ininterrotta fino al 1986.

Gli ottimi risultati della sua stagione d'esordio inducono il Ct della nazionale italiana Alfredo Martini a convocarlo per il mondiale di San Cristobal, in Venezuela, in cui darà un contributo importante alla vittoria del rivale Moser. Per sé, un più che lusinghiero nono posto, piazzamento niente male per una matricola.

Nel 1978, alla Scic, Beppe comincia a fare sul serio. Ha 21 anni e già corre con la grinta e la decisione del veterano: si aggiudica il Trofeo Pantalica e la Tirreno Adriatico in preparazione alla Sanremo, quindi corre la “Classicissima di primavera” per vincerla. E ce la farebbe anche, se non fosse per lo scatenato De Vlaeminck. Poi, infila Coppa Agostoni, Giro di Campania, Giro di Puglia, 3 tappe e il 5° posto in classifica al Giro d'Italia, risultato con cui si impone come corridore per corse a tappe oltre che per le classiche in linea.

Al mondiale del Nürburgring, vinto da Knetemann su Moser, Saronni si piazza 4°: la sua marcia d'avvicinamento verso il titolo iridato continua.

Nel 1979 inizia un ciclo di vittorie che durerà fino al 1983 e che porterà Saronni sul tetto del mondo, condiviso con l'eroe d'oltralpe Bernard Hinault.

La stagione inizia con due amari secondi posti, alla Milano Sanremo, ancora dietro la sua bestia nera De Vlaeminck, e ancora alla Freccia, stavolta alle spalle di Hinault.

Di lì in poi solo vittorie: al Giro di Romandia, al Midi Libre, in 3 tappe e nella classifica generale del Giro, vinto su Moser, relegato a oltre 2’, il Campionato di Zurigo, il Gran Premio di Camaiore, la Tre Valli Varesine, il Trofeo Baracchi in coppia con – udite udite  – Moser. Secondo alla Parigi Tours, delude un po' al mondiale di Valkenburg, vinto da Raas, dove si piazza 8°. In totale, fanno 29 vittorie.

Il 1980 è quasi una copia del '79, ma con una maglia diversa: quella della Gis. Beppe è ancora 2° alla Sanremo (una specie di abbonamento) dietro Pierino Gavazzi, ma vince la Freccia Vallone, forse la classica belga da lui più amata, davanti a Nillson e a Hinault. È primo anche al Pantalica, nella Coppa Bernocchi, al Giro di Campania, a Larciano, nella Tre Valli Varesine e nel Giro di Puglia.

Al Giro d'Italia migliora il record di tappe vinte, sette in una edizione, e si piazza 7° in classifica generale. Vince anche il Campionato Italiano; unica pecca di una stagione immensa, il ritiro al Campionato del Mondo di Sallanches, in Francia, stravinto da Hinault su Baronchelli. A fine anno, però, i successi sono ben 30.
Ma la sua sete di vittorie non è appagata. E se è vero che nel 1981 rifiata un po’, nei due anni successivi si scatena. Nell'81 tante vittorie (24, fra cui Bernocchi, Camaiore, Etna, Laigueglia e Romagna) e qualche rimpianto, come il 3° posto al Giro d’Italia (con 3 tappe vinte) perso per 50” dietro Battaglin e Prim, e il 2° al Mondiale di Praga, dove viene battuto in volata da Maertens.

Il biennio così così fa da preludio alle due più belle stagioni della carriera, entrambe con la maglia della Del Tongo Colnago.

Il 1982 si apre con la vittoria al Trofeo Pantalica e alla Tirreno Adriatico; prosegue con il Giro del Trentino, con il 6° posto al Giro d'Italia più tre tappe, con la vittoria al Giro di Svizzera, nella Coppa Sabatini, nella Coppa Agostoni e nella Milano-Torino. Il piatto forte arriva però a fine stagione: nel Mondiale corso in Inghilterra, con quella che passerà alla storia come la "fucilata di Goodwood", Saronni esce dal gruppetto dei primi a ridosso del traguardo e si lascia alle spalle Lemond e Kelly aggiudicandosi finalmente il Mondiale dopo un 2° e un 4° posto. Poi chiude la stagione vincendo, in maglia iridata, il Lombardia. È il successo numero 34 e chiude un anno straordinario.

Il 1983 è più moderato, ma sempre vincente. Arriva finalmente la vittoria alla Milano-Sanremo, davanti a Bontempi e a Raas, dopo 3 secondi posti; ci prova anche alla Liegi, ma si deve accontentare della seconda piazza, beffato dall'olandese Rooks che gioca d'anticipo. Quindi arriva il bis al Giro d'Italia, un Giro per lui “facile facile”, farcito di cronometro e con pochissime montagne: nella classifica finale precede il bresciano Visentini, che si vendicherà tre anni dopo, e lo spagnolo Fernandez.

Dopo un 1984 di anonimato, peraltro sommerso dallo straripante ritorno di Moser, ci si aspetta un Saronni voglioso di riscatto. Invece, dopo 7 stagioni al massimo, e ad appena 28 anni, il campione pare non avere più stimoli.

Il 1985 gli regala 10 vittorie, tra cui il Pantalica e 2 tappe al Giro. L’anno dopo, tenta di rialzare la testa: contende fino all’ultimo a Visentini la maglia rosa, poi persa nella tappa di Foppolo; terzo al Mondiale di Colorado Springs, dietro l’azzurro Moreno Argentin e al francese Charly Mottet. Ma è il canto del cigno.

Dall'87 al '90, anno del ritiro, vince poche corse e tutte di seconda fascia: la Milano-Vignola nell'87, la Tre Valli Varesine nel 1989 e poco altro. Chiude la carriera nel 1990 con la vittoria al Giro della Provincia di Reggio Calabria.

In tutto 194 vittorie fra cui 85 frazioni di corse a tappe (24 al Giro) e 49 circuiti. Un atleta di valore assoluto che ha lasciato un segno indelebile nel ciclismo italiano ma che, purtroppo, ha iniziato il declino troppo presto, prima dei 30 anni, fattore comune a tutti i campioni di ciclismo maturati troppo in fretta.

IL SARONNI CORRIDORE

Nato a Novara (il 22 settembre 1957) velocista e passista, è stato professionista dal 1977 al 1990 con 195 vittorie. Fanciullo prodigio nelle categorie minori (dove collezionò 127 affermazioni, vinse titoli nazionali, fu azzurro) venne autorizzato al passaggio di categoria a 19 anni e mezzo e a meno di 22 aveva già all'attivo la vittoria nel Giro d'Italia a conferma della sua classe autentica.

Talento naturale di rara classe, tocca i massimi livelli di rendimento nei 14 mesi che vanno dal febbraio '82 al giugno '83. In quel periodo centra Giro della Sardegna, Milano-Torino, Tirreno-Adriatico, Giro del Trentino, Giro della Svizzera, Coppa Agostoni, Campionato Mondiale a Goodwood, Giro di Lombardia, Milano-Sanremo, Giro d'Italia.

Ma a quel punto la "macchina" Saronni s'inceppa.

Nell'85 vince una tappa alla Ruta del Sol e una alla Settimana Siciliana, poi colleziona Trofeo Pantalica, Circuito di Noto, una tappa al Giro di Puglia e due al Giro d’Italia. Nell'86 vinse il Circuito di Pietra Ligure, la Settimana Siciliana, il circuito di S. Donà di Piave, due tappe al Giro di Puglia e il Trofeo Baracchi.

Nell'87 una tappa alla Tirreno-Adriatico, il circuito di Pietra Ligure, la Parma-Vignola; nell'88 una tappa alla Ruta del Sol, il Giro di Puglia, Tre Valli Varesine; nel'89 una tappa alla Ruta del Sol e nel'90 il Giro della Provincia di Reggio Calabria.

In pista, cui deve la furbizia e la velocità appresi nella sua formazione, s’impone in 2 Sei Giorni di Milano, nel 1980 (con Sercu) e nel 1982 (con Pijnen).

1980, IL GIRO DELLA CONFERMA

Il Giro vinto l’anno prima fa sì che tutti gli occhi siano puntati su di lui. Beppe parte per vincere e le vittorie ai Giri di Campania e Puglia e di nuovo alle Tre Valli Varesine fanno ben sperare. Hinault però è troppo forte e alla prima partecipazione fa subito centro. Succederà altre due volte. Saronni vince sette tappe, compresa quella da Longarone a Cles in cui si toglie la soddisfazione di battere il grande bretone.
Il successo di prestigio arriva alla Freccia Vallone, dove Hinault è terzo. La stagione si chiude con il titolo di campione italiano, vinto allo sprint su Battaglin e Baronchelli

1981, ANNO DI MAGRA

Al Giro, Saronni è terzo a 50” dal vincitore, l’irresistibile Battaglin, nonostante la introduzione degli abbuoni voluti dal patron Vincenzo Torriani. Saronni vince due tappe e insieme allo svedese Tommy lotta fino alla fine per la maglia rosa, che gli sfugge di un soffio nell’ultima frazione a cronometro. Lo stesso gli accade al mondiale, ma in volata e nonostante un’Italia fortissima.

MONDIALE 1981
LA BEFFA DI PRAGA

Quella azzurra al mondiale di Praga ’81 è una grande squadra: Gavazzi, Battaglin, Contini, Baronchelli e, naturalmente, Moser e Saronni. E la tattica è quella giusta, con una prima fuga di dieci uomini, Battaglin a tirare e Gavazzi a fare da ruota veloce. I battistrada scavano un margine di 2’20”, ma la reazione del gruppo non si fa attendere. Si arriva allo sprint. Baronchelli, che ha il compito di aprire la strada a Saronni, cede, e Beppe si trova scoperto troppo presto, ai 350 metri, e nella posizione sbagliata, con le mani sulle leve dei freni. Scatta forte, ma a 50 metri dal traguardo cala. Ne approfitta il solito Maertens, rinato al Tour, che con l’ultimo colpo di reni lo sopravanza di 5 centimetri. Per il belga sarà l’ultima affermazione. Per l’azzurro la prova generale per l’anno dopo. Al terzo posto Hinault. Al sesto, Moser cui era saltata la catena. Per Beppe l’unica soddisfazione stagionale arriva al Giro di Romagna, vinto sul grande rivale.

1982, LA RISCOSSA

La stagione della riscossa inizia alla grande vincendo una combattutissima edizione della Tirreno-Adriatico, davanti a Knetemann e all’astro nascente Greg Lemond, e il suo primo Giro di Svizzera. Nella corsa rosa però Hinault si conferma fuori categoria, centrando la sua accoppiata Giro-Tour. Per Saronni sesto posto in classifica e tre affermazioni parziali, tra cui il tappone Cuneo-Pinerolo in cui precede Hinault e Prim.

MONDIALE 1982
LA FUCILATA DI GOODWOOD

Alla vigilia, nel corso della riunione tecnica, il Ct Martini mette in guardia gli azzurri: Facciamo conto di non essere qui a Goodwood ma a Praga: ricordate i nostri errori dell’anno scorso? Bene: non si dovranno ripetere. E infatti non succede.

L’arrivo, in cima a una salita di circa 700 metri al 4-5%, è adattissimo a Saronni. Giusto quindi lavorare per lui. Persino Moser si mette a disposizione dello storico rivale, disputando una gara impeccabile.
Maertens e Hinault saltano subito. Gli azzurri Chinetti, Masciarelli e Baronchelli fanno un gran lavoro di copertura. Nell’ultimo giro Moser si porta in testa a scandire un ritmo così alto da spegnere sul nascere ogni velleità di fuga. Su indicazione del Ct Martini l’Italia corre in difesa per arrivare alla volata di Saronni. Che arriva, puntuale, e fragorosa. La fucilata di Goodwood: così passerà alla storia uno dei gesti atletici piu emozionanti e di maggior valore visti nel ciclismi moderno.

In vista del traguardo bella azione dello spagnolo Marino Lejarreta. Ci prova poi l’elegante americano Jonathan Boyer. Del rettlineo finale Saronni aspetta il punto a maggiore pendenza e lì, a trecento metri dall’arrivo, parte. Beppe è l’unico a reggere la moltiplica più grande: scatta con il 53x15. Ai 150 metri, schizza via come lanciato da una fionda e sorprende il gruppo, che aspettava lo sprint. Dopo l'argento conquistato l'anno prima, beffato dal solito, furbissimo velocista belga Freddy Maertens, per l’azzurro è finalmente oro, davanti allo statunitense Greg Lemond e all’irlandese Kelly.

Come l'Italia del calcio, anche quella del pedale è campione del mondo. Martini e i suoi hanno lavorato alla grande sulle orme del Ct del pallone, Enzo Bearzot, e l’indimenticabile nazionale che l’11 luglio batte 3-1 al Bernabéu di Madrid la Germania Ovest.

Per Saronni, però, l’anno sarà macchiato dalla morte, avvenuta in estate, di Carlo Chiappano, suo allenatore e scopritore. Un lutto che segnerà profondamente Beppe e la sua futura carriera.

IL GIRO D’ITALIA 1983

Il Giro di Saronni. Vince le tappe di Todi con una tumultuosa volata con Moreno Argentin; la crono di Parma, confermando la formula antica dello sprinter che va forte in salita e a cronometro; vince anche la seconda semitappa della 16a frazione a Bergamo, con una splendida volata ancora su Argentin.

GIRO 1984 (67a edizione)

È il Giro di Moser. Francesco si salva a Pestum da una caduta generale, dopo il traguardo; è messo alla frusta da Fignon sulle salite. Fresco di record dell'ora e di bici con speciali ruote lenticolari (e le nuove "metodologie" studiate dal professor Conconi), sfila a Fignon la maglia rosa nella spettacolare ultima cronometro, da Soave a Verona.

SARONNI, LE ALTRE VITTORIE

Da 0.23.38 a 33.43 Milano-Sanremo in cui batte Moser, la Sei giorni di Milano, vari arrivi gare italiane, la Freccia Vallone 80, Mondiale 87, ultima vittoria giro di Reggio Calabria. Milano-Torino del 90, ultima gara.

1984 E 1985, UNA STRANA CRISI

In dieci mesi Saronni ha ottenuto successi che valgono una carriera: Mondiale, Sanremo e Giro. Poi, per due stagioni, resta a bocca asciutta. Beppe ha cambiato modo di correre. Appare svogliato e forse a disagio nell’ambiente. Per qualcuno è un corridore finito. E di certo l’anno magico di Moser non lo aiuta.

1986, RITORNO IN ROSA

Il duello in rosa perso con Visentini è forse il suo canto del cigno. Beppe è secondo a 1’02”, dietro al bresciano che vendica la sconfitta di tre anni prima. Anche senza lo sprint dei giorni migliori Saronni sembra in ripresa come conferma il Mondiale di Colorado Springs, chiuso al terzo posto e a 9” dal vincitore, il compagno di squadra Moreno Argentin. Quell’anno arriveranno però soltanto la Settimana siciliana e il Trofeo Baracchi.

1987, VERSO L'ADDIO

Il 1987 è per Saronni un altro anno deludente. La sua unica partecipazione al Tour de France finisce con il ritiro. L’anno dopo, con l’orgoglio del campione che non vuole arrendersi, conquista il Giro di Puglia e, per la quarta volta, le Tre Valli Varesine. Ormai si rende conto di aver cominciato il declino e il non essere più competitivo al Giro lo convince a lasciare. In questo assomiglia a Eddy Merckx: se non può più lottare per la vittoria, meglio lasciare e così, nel 1990, dopo aver vinto il Giro della Calabria, Beppe smette di correre.

Non lascia il ciclismo, però. Da commentatore a direttore sportivo di successo, la vita di Beppe resta legata a filo doppio alla sua passione per le due ruote. Oggi in Damiano Cunego, suo corridore alla Lampre, in molti ne rivedono il talento. Quello di un grande corridore nelle corse di un giorno e a tappe, capace di vincere in montagna come allo sprint. E anche di dividere i tifosi. Al degno erede, però, resta da trovare un Moser.

IL RAPPORTO CON MOSER
«Le corse allora erano lunghe, c’era il tempo per quattro battute con Visentini e Contini, magari per prendere in giro Moser. È vero: avevo la capacità di mandare in bestia Francesco. No so dire perché, so soltanto che mi riusciva bene... Fatte le debite proporzioni, per l’interesse che suscitava la nostra rivalità è stata l’ultima ad avvicinarsi a quella tra Coppi e Bartali». Le parole di Saronni illustrano come meglio non si potrebbe quella che per un decennio è stata LA rivalità del ciclismo italiano. E che per crescere non poteva avere terreno più fertile del Giro d’Italia. Il lombardo lo vinse due volte Giri ('79 e '83), Moser solo una nel 1984, in tutti i casi col permesso di Bernard Hinault, il bretone che venne tre volte in Italia per vincere altrettante edizioni della corsa rosa: quelle dell'80, dell'82 e dell'85.

L'ULTIMA GRANDE RIVALITÀ

Francesco Moser è il corridore italiano più vittorioso. Fortissimo nelle prove di un giorno (il suo palmarès conta le più grandi classiche), ha anche indossato le più prestigiose maglie delle maggiori corse a tappe. Nonostante i suoi noti limiti sulle grandi salite, si è imposto su tutti i terreni grazie alla combattività e alla innata capacità di gestire la squadra.

CHRISTIAN GIORDANO
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