Ieri e oggi di Moser e Saronni
11 gennaio 2009
Moser: «Nel 1968 andai alle Tre Cime di Lavaredo a vedere Eddy Merckx, cinque anni dopo correvo contro di lui».
Saronni: «Nel 1976 ero dilettante, facevo due o tre allenamenti alla settimana, e partecipai all’Olimpiade di Montreal, su pista. L’anno dopo debuttai tra i professionisti su strada».
Moser: «Lui sembrava un pistard».
Saronni: «Lui era già Moser».
Moser: «Sembrava solo un pistard, invece aveva stoffa».
Saronni: «E Moser era Moser».
Moser: «All’inizio non c’era rivalità».
Saronni: «Mondiale 1977, a San Cristobal. Moser era il leader. E io ero stato agli ordini di Martini. Anche nel finale, quando ormai lui era andato via con Thurau e gli altri scattavano per conquistare il terzo posto, io cercavo di chiudere per proteggerlo. Finché venne lì Bitossi: "Non preoccuparti, giovane, tu hai già lavorato tanto, adesso tocca a me". E così terzo arrivò lui».
Moser: «Nel 1978 la rivalità era fatta solo di schermaglie».
Saronni: «Mica tanto. Mondiale al Nurburgring. Fuga a tre: io, Hinault e Raas. Dietro si misero a tirare i belgi. Normale, se si pensa che davanti c’erano un italiano, un francese e un olandese. Ma si diceva che, a farli tirare, fosse Moser. Tant’è che, una volta che ci hanno ripresi, a scattare fu proprio Moser con Knetemann».
Moser: «Gli altri corridori si lamentavano: i giornali, dicevano, scrivono solo di voi due. Invece a noi faceva piacere».
Saronni: «La stagione cominciava con i ciclocross e la Sei Giorni di Milano, poi proseguiva dal Laigueglia fino al Lombardia. Dieci mesi uno contro l’altro».
Moser: «Le rivalità stanno in piedi solo se i due rivali sono all’altezza delle situazioni».
Saronni: «Spesso i giornalisti hanno scritto meno di quello che si poteva, però hanno scritto tanto. Veniva Beppe Conti: "Sai cos’ha detto di te quello là?". Io abboccavo e rispondevo per le rime».
Moser: «Di noi due si scriveva sempre, comunque e dovunque».
Saronni: «I tifosi erano schierati».
Moser: «C’erano anche quelli per Baronchelli o Gavazzi, ma erano minoranze».
Saronni: «Cori sotto l’albergo».
Moser: «Cartelli, striscioni, scritte sui muri».
Saronni: «Anche i giornalisti. Conti era per Moser, Zomegnan per me».
Moser: «All’estero dicevano che la nostra rivalità fosse provinciale».
Saronni: «Ma allora il grande ciclismo era quello italiano».
Moser: «Nel 1978 conquistai la mia prima Parigi-Roubaix, da solo, per distacco».
Saronni: «Avevo 19 anni e tre mesi, c’era la neve, fu un dramma. Finii sotto la macchina del mio direttore sportivo».
Moser: «Nel 1980 conquistai la Parigi-Roubaix per la terza volta consecutiva e sempre per distacco».
Saronni: «I giornalisti mi chiesero che cosa ne pensassi. Risposi che la Roubaix era un ciclocross da abolire».
Moser: «Fu il finimondo».
Saronni: «Però due giorni dopo vinsi la Freccia Vallone».
Moser: «Eccolo: il dualismo».
Saronni: «Tirreno-Adriatico del 1981. Dissi: "Quello lì vado a prenderlo anche con le scarpe da tennis"».
Moser: «Campionato italiano a Compiano, nel 1981. Saronni mi tagliò la strada, gli dissi: "Piano, mi fai cadere"».
Saronni: «Gli risposi: "Se non sai più stare in bici…"».
Moser: «Quella frase mi caricò come una molla».
Saronni: «Quella frase la pagai a caro prezzo. Vinse lui».
Moser: «A volte mi chiedevo se ne valesse la pena di insultarci così. Pensavo al giorno dopo, quando avrei dovuto rientrare in gruppo e correre».
Saronni: «Di quegli anni ricordo la folla sulle strade. Pedalavi e sentivi quello che diceva».
Moser: «Ricordo il Mondiale di Praga, nel 1981».
Saronni: «I più importanti corridori stavano nella squadra azzurra.
Martini si era raccomandato: "A tre giri dalla fine tutti per la volata di Saronni". Infatti: a tre giri dalla fine scattò Battaglin. Risultato: primo Maertens, secondo io».
Moser: «Ti sei rifatto l’anno dopo, al Mondiale di Goodwood. Ho capito che non era il mio percorso, a meno che non partisse una fuga da lontano».
Saronni: «Non ho avuto aiuti».
Moser: «Io gregario? Mai».
Saronni: «Moser è stato il mio avversario numero 1 fino al 1983. Dal 1984 in poi era un altro: l’unico a poter accedere a nuove metodologie di allenamento. A quel punto Moser si confrontava e sfidava solo se stesso».
Moser: «Saronni ha pagato il Giro d’Italia del 1983. L’ha vinto ma con grande fatica. Sarà stato quello a provocargli il declino a soli 26-27 anni».
Saronni: «Quando Moser stabilì i record dell’ora, prima a 50,808, poi addirittura a 51,151, quasi non si credeva che potesse essere vero. Ma non ne soffrii. Ormai il nostro non era più un confronto diretto o personale».
Moser: «Di Saronni ho sempre invidiato la velocità, e che potesse vincere facilmente in volata. Invece io dovevo muovermi prima e fare molta più fatica di lui».
Saronni: «Di Moser ho sempre ammirato il fondo, la volontà, la voglia, la capacità di soffrire. Per me la corsa doveva essere più facile. Lui era costretto a essere generoso, io a risparmiare. Lui era portato a seguire l’istinto, io a fare calcoli».
Moser: «E pensare che una volta abbiamo corso insieme».
Saronni: «Trofeo Baracchi, nel 1979».
Moser: «Le coppie le faceva Baracchi, padre-padrone della corsa. E’ stato lui a metterci insieme».
Saronni: «Dovevamo trovarci un giorno e mezzo prima per provare il percorso. Niente. Rimandato al giorno prima per provare almeno i cambi. Niente. Non abbiamo fatto insieme neanche il riscaldamento: ci siamo trovati direttamente sulla passerella alla partenza».
Moser: «C’era una coppia belga, forte, ma è caduta».
Saronni: «Moser mi ha tirato il collo, forse voleva staccarmi. Alla fine ero così distrutto che non riuscivo neanche più a sedermi».
Moser: «Adesso va molto meglio».
Saronni: «Sì, è vero, però… Francesco produce vino, che è pure buono. A me piace il vino rosso, ma lui non me ne ha mai regalato una bottiglia».
Moser: «Io faccio il vino per venderlo. Ma se vieni a prenderlo a casa mia, poi te ne regalo. Una bottiglia».
(al Museo del ciclismo, alla Madonna del Ghisallo, sabato 10 gennaio 2009)
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