L’ultima battaglia silenziosa per l’“eroe” negato Peltier


Oglala-Lakota Nei luoghi mitici degli scontri coi coloni bianchi, si ricorda l’ormai ottantenne in carcere da 47 anni per omicidio: a lui è sempre stata negata la grazia

5 Jul 2024 - Il Fatto Quotidiano
Carlo Grande - 1.continua
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PINE RIDGE (SOUTH DAKOTA) - Il messaggio dice: “Buffalo Jump, stasera, a Ovest di Pine Ridge”. Sulla cartina, nella mitica riserva di Wounded Knee, non c’è. Dovrò vagare in cerca del “salto del bisonte”, se vorrò partecipare al raduno Oglala-Lakota e incontrare il mio contatto, Charles “Bamm” Brewer, organizzatore della Crazy Horse Ride, cavalcata in onore di Cavallo Pazzo, il grande capo ucciso a Fort Robinson nel Nebraska e sepolto in segreto qui a Pine Ridge.

D’altra parte, finora ho vagabondato: a Sud di Denver, città cara a Jack Kerouac, sbirciando L’ADX Florence, penitenziario federale di massima sicurezza nel quale sarebbe dovuto finire Julian Assange e dove c’è il Chapo Guzmán, e dov’era Ted Kaczynski, il famigerato Unabomber. “La Alcatraz delle Montagne Rocciose” ospita i peggiori “nemici pubblici” della cosiddetta società civile, volevo vederlo da lontano: in fondo sono uno scrittore, nessuno è perfetto. “Nobody’s perfect”, vedrò scritto, alla fine del viaggio, nel cimitero di Westwood a Los Angeles, sulla tomba del regista Billy Wilder. Non lontano riposano Marilyn Monroe, Ray Bradbury, Truman Capote e un altro dei “cari ebrei galiziani”, per dirla alla Joseph Roth, Kirk Douglas, l’indimenticabile Spartacus.

Qui a Pine Ridge, sulle praterie d’alta quota della riserva si sta facendo buio, continuerò la ricerca domani. C’è un’aria di montagna, profumano milioni di piccoli fiori gialli. Rientro nell’albergo del casinò “Prairie Wind”, dove parecchi Lakota vanno a spendere i loro pochi soldi. Pine Ridge è la Berlino Est delle riserve: alto tasso di disoccupazione, alcool e droga, suicidi. Bassa aspettativa di vita. Eppure è un luogo dello spirito.

La mattina faccio ponte con l'Italia e con Robert Ragagnin, dell’associazione Hunkapi di Genova, e dopo un lento girovagare (anche nel piccolo cimitero di Nuvola Rossa) eccomi finalmente al “salto del bufalo”, fra decine di famiglie Lakota. Impressionante. Sui prati sotto la falesia dove un tempo venivano fatti precipitare i bisonti – tecnica di caccia ereditata dai lupi – uno spettacolo d’altri tempi. Fra tepee e tende, corrals di puledri e cavalli quarter e appaloosa con colori e simboli sul mantello, qualche centinaio di Nativi, bambini e roulotte; suono di tamburi e famiglie sedute intorno al fuoco.

UNA ROULOTTE è coperta di drappi che chiedono la liberazione di Leonard Peltier, membro dell’American Indian Movement protagonista di un caso che fa discutere ancora oggi. Un processo controverso lo condannò a due ergastoli per concorso nell’omicidio di due agenti dell’FBI, nel giugno ’75 durante una sparatoria qui a Pine Ridge. È in carcere dal 1977, a settembre compirà ottant’anni, si è sempre detto innocente. Tra pochi giorni Biden (e l’FBI) decideranno se concedergli la libertà vigilata, dopo 47 anni di massima sicurezza. Per Amnesty International è un prigioniero politico, per lui hanno chiesto la grazia Mandela, John Lennon, il Dalai Lama e Madre Teresa; persino Obama ha detto no. In questi giorni in tutta Italia ricordano Peltier, simbolo dei diritti civili, vari comitati e l’associazione “Nessuno tocchi Caino”.

Qui al “Buffalo Jump” si celebra l’orgoglio di un popolo e di una cultura, si ricorda un genocidio. Chiedo il permesso di fotografare, è una gioia degli occhi: le famiglie si incontrano e si salutano ritualmente. A telecamere spente, un’altra cerimonia indimenticabile: uno sciamano irrompe a cavallo nel cerchio dei nativi, in testa la maschera di un bisonte; benedice, tutti in piedi e in silenzio.

LA SERA CANTANO intorno ai tamburi, i bambini giocano, adulti e giovani vanno e vengono a cavallo, cucinano sul fuoco zuppa e carne di bisonte. “Perché noi siamo la nazione del bisonte e dobbiamo tenere vive le nostre radici” dice Brewer. Un amico di Bamm, Cavallo pezzato, mi racconta con orgoglio come ha smesso di bere. I più mi ignorano – la diffidenza è comprensibile – qualcuno sorride. Un ragazzo e una ragazza si lasciano fotografare a cavallo: momento auratico, senza sorrisi o smorfie da selfie, con un simbolo di futuro. L’indomani, a insegne spiegate, partono per la cavalcata commemorativa. Saluto Bamm, che raccomanda, la sera, il Pow Wow nel capoluogo Pine Ridge: musica e orgoglio, costumi, piume e colori, ragazzi, ragazze e adulti che danzano.

Tre giorni, stranianti e maestosi, a Pine Ridge. Poi riparto, nel ventre d'America, nel cuore dell’occidente e della sua cattiva coscienza, della sua democrazia quasi senza più popolo, visto l’astensionismo.


Dopo la collina e il cimitero di Wounded Knee – 300 indiani massacrati dalla cavalleria americana – vedrò l’altura dell’ultima resistenza di Custer, sotto cui scorre il torrente Little Bighorn; poi il letto arido di un altro torrente, il Sand Creek, in mezzo a praterie che tramortiscono. Centinaia di miglia senza traffico o curve, solo ranch, fattorie e pick-up, mucche e pompa d’acqua, treni chilometrici alla Western Pacific e trivelle petrolifere vintage. A Cody la capanna di Butch Cassidy, la tomba e il cappottone di pelliccia di Jeremiah Johnston, che ispirò Corvo Rosso di Sidney Pollack e Robert Redford. Ricorda i padri fondatori dell’ecologia e della disobbedienza civile, Thoreau e John Muir, gente selvatica e irriducibile, come i Nativi. Sono ancora qui, "We are still here" dice la copertina di un libro. Portatori di speranza e ottimismo gramsciano, nella decadenza occidentale. Perché ci siamo ridotti così? I Nativi rispondono silenziosamente, tenacemente. Leonard Billet, l’amico che mi accoglierà a Los Angeles, già professore di Scienze Politiche alla UCLA, ne sa molto di Hobbes e Machiavelli e non esita: “Abbiamo perso la religione, il senso del sacro”.
1. continua

2. - Sand Creek: la città del massacro porta il nome di chi lo fece

Carlo Grande
Scrittore e giornalista

Sono nato a Torino, mi hanno sempre interessato cultura, natura e creatività: per molti anni ho lavorato come professionista a La Stampa (redazione culturale) e collaborato con varie testate, D La Repubblica delle donne, Diario, L’Indice, Il Foglio
Sono stato direttore di Italia Nostra, tra le prime associazioni ambientaliste in Italia, ho scritto reportage da molti continenti, perché mi piace viaggiare, e romanzi che hanno vinto premi letterari e sono piaciuti parecchio al pubblico, ad esempio La via dei lupi (Tea, 2006, 2019) che ha vinto il Premio Grinzane Civiltà della Montagna e il Premio San Vidal a Venezia, La cavalcata selvaggia (Ponte alle Grazie, 2004; Tea, 2009), Padri. Storie di maschi perplessi (Ponte alle Grazie, 2006) e Terre alteIl libro della montagna (Ponte alle Grazie, 2008, 2016). 
Nel lockdown ho scritto Il giardino incantato (ETS, 2021), viaggio-reportage sulle terre alte del Nord-Ovest italiano.

Ho partecipato al Festival della Mente di Sarzana, collaboro con Torino Spiritua­lità e nel 2020 ho contribuito, con Giuseppe Lupo, Laura Pariani, Raffaele Nigro, Dona­tella Di Pietrantonio e altri, all’antologia di racconti Le vie dell’acqua (Donzelli).

Sulla Stampa ho tenuto fino a pochi mesi fa, per 13 anni, una rubrica dedicata agli animali. Insomma, non mi sono fatto mancare nulla: per Giorgio Conte e Fredo Valla ho scritto il testo della canzone "Geò" e nel 2018 ho realizzato a Los Angeles il docfilm Last AngelesOne City, One Dream, distribuito in Italia, USA e Inghilterra su Amazon Prime Video. 
Ah, last but not least: ho giocato a calcio nell’Osvaldo Soriano Footbal Club, la Nazionale di Calcio degli scrittori italiani.

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