FOOTBALL PORTRAITS - Per un gol Martin (O'Neill) perse le Coppe


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Gli è successo due volte, nel finale della scorsa stagione: il titolo è andato ai Rangers che hanno segnato solo una rete in più, la Coppa UEFA al Porto che con Derlei, al 115’, ha inaugurato il silver-gol. Ma O’Neill non si è perso d’animo e ci riprova

di Christian Giordano ©, Calcio Gold

Uno degli spettacoli più divertenti ammirati alle partite di Leicester City e Celtic Glasgow degli ultimi anni si deve alla vista di un omino esile, dalla testa ricciuta, che si muoveva come un ossesso su e giù lungo la linea laterale prospiciente la propria panchina. Martin O’Neill è uno abituato, per quanto possa farlo un allenatore professionista, a parlare col cuore in mano; e se qualcuno, che sia un arbitro o un giocatore, incorre nelle sue ire, non c’è bisogno di aspettare la conferenza stampa per conoscere il Martin-pensiero: in campo lui ha già dato. E detto.

Da calciatore, O’Neill è stato un ottimo esterno destro di centrocampo, ha collezionato trofei nazionali e internazionali sotto la guida di Brian Clough al Nottingham Forest, dove è giunto, proveniente dal Distillery, nell’ottobre del 1971, l’anno del debutto in nazionale (contro l’URSS). Il grande apporto che forniva assieme all’altro esterno John Robertson era fondamentale per i successi della squadra bicampione d’Europa nel biennio 1979-80 (O’Neill saltò per infortunio la finale di Monaco contro il Malmö ma giocò titolare in quella dell’anno successivo, a Madrid contro l’Amburgo). A livello di nazionale, militando in una rappresentativa mediocre come quella nord-irlandese, le chance di vincere qualcosa erano limitate, per non dire nulle, tuttavia ebbe in sorte l’opportunità di essere capitano in uno più gloriosi momenti nella storia di quella selezione, la vittoria contro i padroni di casa a Spagna ’82. 

Da allenatore, ha avuto l’intelligenza (e l’occasione) di cominciare dal basso, al Grantham Town, dove è subito riuscito ad abbinare le qualità morali che aveva da giocatore – spirito di corpo e determinazione – con le lezioni tattiche e motivazionali apprese alle dipendenze di Clough. Dopo le parentesi con Stamford e Shepshed Charterhouse, l’eccellente record nelle serie inferiori ottenuto nella GM Vauxhall Conference con i semiprofessionisti del Wycombe Wanderers (2 FA Trophy, un Bob Lord Trophy e 2 promozioni filate: l’approdo in Football League, il primo nella storia del club, nel ’93, e l’ascesa in Division Two) lo portò, dopo aver mancato per un punto (e dalli…) gli spareggi-promozione, in First Division per assumere, nel giugno ’95, l’incarico di manager del Norwich City. Ma a Carrow Road durò poco. Il presidente Robert Chase voleva ripianare i debiti del club vendendo i “pezzi” migliori e così a O’Neill non rimasero che le dimissioni. Il fatto curioso è che le rassegnò qualche ora prima di Leicester-Norwich, appuntamento trasmesso in diretta Tv nazionale; caso vuole, a voler essere maligni, proprio prima dell’incontro con la sua futura squadra. Ma con lui di mezzo, a pensar male si rischia di prendere clamorose cantonate perché proprio per mantenere la parola data O’Neill rinunciò alla panchina del Leeds, che era pronto a coprirlo di sterline.

Al Leicester City andava a sostituire Mark McGhee, ma smaltito un avvio difficile entrò nei cuori di tifosi e dirigenti riportando le Foxes nella massima serie dopo l’imbarazzante retrocessione dell’anno prima e rendendoli finalmente competitivi anche in Premier League (10° posto nel 1998). Inevitabile che a Filbert Street la stampa cominciasse a speculare su quale sarebbe stata la prossima destinazione di O’Neill, e su ciò che sarebbe riuscito a ottenere una volta che l’avesse raggiunta. Alla fine l'uomo di Kilrea, contea di Derry, dove è nato 51 anni fa, scelse il Celtic Glasgow, che con lui al timone ha subito centrato la doppietta in campionato (2001, 2002), mancando la tripletta per un gol in meno rispetto ai rivali di sempre, i Rangers, e la Coppa UEFA, persa in finale lo scorso maggio con il Porto in quel di Siviglia. 

In poco più di tre stagioni, Martin O’Neill ha trasformato il Celtic da club con un profondo complesso di inferiorità nei confronti degli arcirivali cittadini in una società capace di tornare ai vertici del calcio scozzese e di dimostrarsi competitiva anche in Europa. Da quando, nell’estate del 2000, ha assunto la guida tecnica dei “cattolici” rilevandola dal duo John Barnes-Kenny Dalglish, i biancoverdi sono riusciti a interrompere, per due stagioni, un trend che sembrava irreversibile. E il Celtic non vinceva due campionati consecutivi da vent’anni; a quelle latitudini, un’enormità. L’anno scorso la solfa è ricominciata, con i Rangers che in patria hanno fatto piazza pulita centrando il nono “Treble” (Coppa di Lega, campionato, Coppa di Scozia) della loro storia e lasciando ai “cugini”, oltre a uno sfortunatissimo secondo posto, soltanto le luci della ribalta continentale. Questa volta però la musica è stata diversa. Le due rivali storiche hanno chiuso il torneo a pari merito, a 97 punti, ma a fare la differenza, è il caso di dirlo, sono state le reti: 101 fatte e 28 quelle subite per i ’Gers, 98 e 26 quelle per gli Hoops; riassumendo: +73 contro +72 e, per la 50ª volta, titolo ai Rangers. A termini di regolamento, per carità, nulla da eccepire. Ma a chi ama il confronto sul campo, più che quello al pallottoliere, qualcosa che non porta c’è.

Tornando a O’Neill, i traguardi che ha raggiunto alla guida del Celtic hanno incrementato la grande considerazione di cui il manager dei Bhoys gode nel Regno Unito. Il contagioso entusiasmo, le qualità di grande motivatore, la debordante personalità, la sagacia tattica unita a un occhio sempre attento al bilancio, ne fanno uno dei più apprezzati fra i tecnici della nouvelle vague indigena che cerca con tutte le forze di opporsi all’invasione continentale dei vari Wenger, Houllier, Tigana, Ranieri e compagnia.

A conferma di ciò, nel dicembre 2001, svanita la prima scelta Sven-Göran Eriksson, che preferiva restare al timone della Nazionale inglese, O’Neill era con Fabio Capello il più probabile candidato alla successione del presunto dimissionario “Sir” Alex Ferguson alla guida del Manchester United, se è vero che i bookmaker d’oltremanica li quotavano alla pari, 11 a 8. Lo scorso settembre, terminata con largo anticipo la stagione di Glenn Hoddle in sella al Tottenham Hotspur, dopo aver contattato l’ex tecnico del Barcellona Radomir Antic i dirigenti degli Spurs lo avevano inserito nella ristretta lista di papabili comprendente Alan Curbishley (Charlton) e Harry Redknapp (Porsmouth). Inevitabile che a Parkhead la stampa abbia cominciato a speculare su quale sarà la prossima destinazione di O’Neill, e su ciò che riuscirà a ottenere una volta che l’avrà raggiunta. Buon segno.


La scheda/Martin O’Neill
Data e luogo di nascita:
Kilrea, County Derry (Irlanda del Nord), 1 marzo 1952
Presenze (e reti) in Nazionale:
64 (8)
Club da giocatore:
Distillery (N. Irl.), Nottingham Forest (Ing), Norwich City (Ing), Manchester City (Ing), Norwich City (Ing), Notts County (Ing)
Presenze (e reti) in Premier League:
Nottingham Forest, 285 (48); Norwich City, 11 (1); Manchester City, 13 (0); Norwich City, 55 (11); Notts County, 64 (5)
Trofei da giocatore:
Coppa dei Campioni (Nottingham Forest, 1979)
Club da allenatore:
Wycombe Wanderers (1990-95), Norwich City (1995), Leicester City (1995), Celtic Glasgow (2000)
Trofei da allenatore:
2 titoli nazionali (2001, 2002), 1 Coppa di Scozia (2001), 2 Coppe di Lega (1997, 2000)


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