Carrera in Tajikistan studia nuovi prodotti


L'Arena - 24-12-2010

La Carrera continuerà a investire nella Giavoni S.A., l'azienda tessile che controlla nel nord del Tajikistan, nonostante la querelle con la Banco Mondiale, partner con il 7% nella joint venture avviata nel 2003 nel Paese asiatico.

E proprio nello stabilimento in Tajikistan l'azienda veronese leader nella produzione di jeans ha avviato la produzione di un nuovo tessuto new stretch, come spiega Gianluca Tacchella, amministratore delegato del gruppo Carrera, che assicura anche di essere deciso a portare avanti l'esperienza iniziata in quel Paese nel 2003.

La Giavoni S.A. è una joint-venture tra il gruppo Carrera (socio al 93%) e la Banca Mondiale (che detiene il 7% della società): quest'istituto, che aveva partecipato all'iniziativa attraverso il suo braccio finanziario - l'International Finance Corporation - avrebbe dato segnali di non voler più supportare l'azienda. 

«Lo stabilimento potrebbe lavorare meglio, ma rimane in piena attività e sta facendo ricerca e sviluppo per creare nuovi prodotti: il tessuto new stretch è uno dei risultati che abbiamo ottenuto», spiega Tacchella, che si prepara a lanciare sul mercato una nuova linea di jeans elasticizzati, 100% cotone sulla pelle. «La linea verrà realizzata interamente in Tajikistan, dalla lavorazione della materia prima al capo finito», prosegue l'amministratore delegato del gruppo Carrera Italia, che conta 200 dipendenti e nel 2009 ha registrato un fatturato di 35 milioni di euro.

A rallentare il ritmo di lavoro della Giavoni S.A. ci sono una serie di fattori legati al contesto del territorio: dai blocchi alle dogane all'elevata tassazione imposta dal governo del Tajikistan, ai lavoratori precettati dallo Stato nel periodo della raccolta del cotone.

«La presenza della Banca Mondiale nella società era importante non tanto dal punto di vista del capitale», spiega Tacchella, «quanto piuttosto per l'influenza strategica che poteva esercitare sul governo».

Lo stabilimento produce ogni anno circa 5 milioni di capi tra jeans e abbigliamento casual, che vengono distribuiti principalmente in Europa e in Asia. I tremila lavoratori hanno creato un gruppo, il «Save Giavoni factory», a sostegno dell'azienda, e hanno organizzato una raccolta firme e scritto alla Banca Mondiale per capire le ragioni del suo passo indietro nella joint-venture.
M.T.

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