Brailsford: Stay Hungry, Stay Sky


INTERVISTA ESCLUSIVA a DAVE BRAILSFORD, general manager Team Sky
di CHRISTIAN GIORDANO, inviato di Sky Sport
Port Alcúdia (Spagna) - Siamo andati a trovare il Team Sky a Port Alcúdia, tre quarti d'ora d'auto da Palma de Mallorca, Isole Baleari. Per la Vecchia Europa del ciclismo è ancora inverno pieno. Qui no. Qui la squadra diretta da Dave Brailsford prepara per il sesto gennaio consecutivo la nuova stagione. Ci siamo fatti raccontare da lui il secondo piano quinquennale della multinazionale che, da quando è nata, nel 2010, ha rivoluzionato il ciclismo del terzo millennio.

- Brailsford, posso chiamarla Dave o devo chiamarla Sir?
«No, no: Dave, decisamente. Sir è così imbarazzante…».

- Bel posto, no? Perché sempre qui e a gennaio?
«Veniamo qui a Maiorca da cinque anni, ed è il quinto anno anche per me. È un bel posto, è perfetto come ambiente. Il clima, i percorsi - ci sono salite, lunghi tratti pianeggianti -, abbiamo tutto qui e possiamo controllare tutto – dal cibo alle attrezzature. E’ perfetto per preparare al meglio l’inizio di stagione. Abbiamo a nostra disposizione l’intero hotel. I corridori rientrano subito dall’allenamento, hanno tutto qui a portata di mano, non devono fare trasferimenti. Abbiamo i cuochi della squadra ed è tutto perfetto per cominciare a preparare la stagione.

- Parliamo del Brailsford corridore, molti non ricordano o non sanno che lei in bici ha corso.
«La mia carriera di corridore risale a tanto tempo fa. Ero un ragazzino di un paesino sperduto nel Galles del nord e avevo grandi sogni nel ciclismo, che allora non era uno sport di grande tradizione in Gran Bretagna. Era molto di nicchia. Se volevi correre dovevi andare all’estero, e allora zaino in spalla, mettevi la bici nel borsone e partivi. Mi sono trasferito in Francia, ho vissuto a Saint-Étienne tre anni e mezzo. Ero giovane ma capii subito che non sarei mai arrivato a correre il Tour de France. All'epoca però scoprii di avere un'autentica passione per la scienza applicata allo sport, per la psicologia sportiva, la nutrizione. Leggevo tutto, mi piaceva tantissimo. Poi sono andato all’università, mi sono laureato e ho fatto un master di specializzazione. Ed è così che ho cominciato la mia carriera nel management sportivo».

- Come ha inciso, poi, la sua parentesi da corridore nella sua carriera di manager sportivo?
«In generale è molto importante, per chi ha una carriera nella gestione sportiva, aver fatto sport agonistico. Il ciclismo è uno sport duro e avendolo praticato capisci che cosa significa la sofferenza, la fatica di un corridore che compete ad alto livello, le difficoltà che incontra. Quando ho lasciato casa per andare a vivere in Francia non sapevo il francese, vivevo da solo, non avevo telefono e tv, mi sentivo solo, era dura; ma è stata un’esperienza formativa. Non era un sacrificio, perché ho sempre adorato il ciclismo, ha sempre fatto parte di me, ma ho imparato molto. Ho capito come era la vita all’estero e ora capisco che cosa significa per giovani corridori che arrivano dall’America o da altre parti del mondo venire a vivere per correre in Europa; adattarsi a una cultura diversa, a un altro continente, a un’altra lingua. È stata dura per me, e quell’esperienza mi è servita per meglio comprendere le difficoltà dei corridori, perché le ho vissute anch’io».

- Che cosa risponde a chi sostiene che il Team Sky sia sin troppo tecnologico nella gestione degli atleti e delle corse?
«Sono sempre stato appassionato della tradizione, della storia del ciclismo "romantico". Ma sono anche un convinto sostenitore dei vantaggi che derivano dal vivere nel mondo contemporaneo, dal progresso, dalla tecnologia che avanza, dall’impiego di tutte queste conoscenze nella scienza e nella tecnologia per il miglioramento delle prestazioni sportive.
Sappiamo tutti che le prestazioni sportive sono migliorate in altri modi in passato. Noi vogliamo portare nel ciclismo tutte queste conoscenze e migliorare le prestazioni sportive, ma farlo in modo lecito, onestamente. Ed è quello che abbiamo fatto e che vogliamo continuare a fare.
Adoro il "romanticismo" di questo sport, ma anche le più avanzate conoscenze scientifiche, tecnologiche e di allenamento che servono per migliorarne le prestazioni».

- Quali sono i limiti? 
«Domanda interessante, perché la nostra è un’epoca che vive una crescita esponenziale della scienza applicata allo sport, delle prestazioni sportive, della tecnologia, della fisiologia. E’ un settore con ancora enormi margini di sviluppo, e fa parte del nostro lavoro imparare il più possibile, cercare di portare sempre più queste conoscenze e queste nuove idee nel ciclismo. E a essere sincero non siamo neanche vicini a capire quali potranno essere i limiti nelle prestazioni sportive».

- Quando siete nati avevate l'obiettivo di vincere il Tour de France entro cinque anni. Ne avete vinti due in quattro. Qual è la prossima sfida? 
«Bella domanda. Nel 2010, quando il Team Sky è nato, volevamo anche portare un milione di spettatori sulle strade del ciclismo nel Regno Unito: ne abbiamo portati due milioni. Adesso apriamo un nuovo capitolo, di altri cinque anni, fino al 2020. E vogliamo migliorare ancora, questo è sicuro.
Per arrivare, dopo dieci anni, ad essere la migliore squadra di ciclismo al mondo e a essere riconosciuta come tale.
Questo significa continuare a migliorare, continuare a vincere le grandi corse. Anche le classiche. E continuare a migliorare le prestazioni. E' importante diventare una squadra sempre più completa. Ma al di fuori delle corse, è una sfida molto affascinante per noi vedere coinvolte sempre più persone nel ciclismo. E credo sia una grossa responsabilità che la gente ami sempre di più questo sport. E su questo tema avremo molto da lavorare nei prossimi cinque anni».

- Lei è famoso (anche) per la teoria dei marginal gains, i guadagni marginali. Quali sono invece gli eventuali growing pains, i dolori di una crescita tanto esponenziale?
«Non so quali saranno i problemi legati a questa crescita. È una buona domanda. Nei prossimi 15-20 anni questo sport subirà molte trasformazioni. Il ciclismo sta attraversando un’era di profondi cambiamenti, di modernizzazione. Non solo dal punto di vista del calendario stagionale, ma anche delle strutture di questo ambiente. E se vogliamo mantenere la nostra leadership nel movimento, dobbiamo essere sempre più parte in causa di queste decisioni.
Ma quello dei growing pains è un argomento molto interessante. Quando si punta a vincere, a ottenere un risultato, tutti si sentono in missione, sono concentrati su quello: raggiungere il successo, poi altri successi ancora e via così. Ma ripetersi, continuare a vincere è molto diverso dall'esserci riusciti una volta o per un breve periodo. Riuscire a gestire tutto questo è un aspetto nel quale avremo ancora tanto da imparare nei prossimi cinque anni.
Abbiamo vissuto un’enorme crescita di popolarità del ciclismo, in particolare in Gran Bretagna, e possiamo fare molto nei social media, nel coinvolgere la gente e i media. Sono tutti settori dove possiamo ancora migliorare molto».

- Il ciclismo italiano è in crisi. Nibali ha vinto il Tour de France, Aru è un giovane dal grande futuro, ma manca la base. E a parte la Lampre non abbiamo squadre Pro Tour. Come giudica lei il ciclismo italiano?
«Non sono così sicuro che il movimento italiano sia in crisi. Al mondiale ogni anno siete sempre protagonisti e tutti vi tengono d’occhio. La squadra azzurra, la squadra azzurra. Avete un’enorme cultura di ciclismo, una ricca tradizione. E' una questione di cicli. Il successo non è mai una linea retta, costante, ci sono alti e bassi. Si sale, poi si scende, poi si risale un po’ e così via. La squadra italiana, coi suoi tifosi, ai mondiali è sempre protagonista.
Un italiano, Vincenzo Nibali, ha vinto il Tour de France. È un movimento in continua crescita. Ho molto rispetto per il ciclismo italiano.
In squadra abbiamo due corridori italiani e vogliamo averne ancora di più per il futuro nel Team Sky. Salvatore Puccio sta crescendo e crediamo possa diventare un grande corridore. Elia Viviani lo conoscevamo da tanto dalla pista e finalmente siamo riusciti a prenderlo. E con i corridori italiani vogliamo continuare a crescere.
Ci sono tanti ottimi giovani corridori italiani, c’è una nuova generazione che sta crescendo. Non solo Puccio, c’è [Davide] Fòrmolo che è già un ottimo corridore».

- Che cosa non ha funzionato con Dario Cataldo, che dopo due anni al Team Sky è passato all'Astana di Nibali?
«Non abbiamo più Cataldo, ma questo fa parte del ciclismo: un anno sei in una squadra, l’anno dopo in un’altra. Quest’anno è arrivato Elia Viviani e siamo concentrati su chi è con noi, su quello che dobbiamo fare. E sono certo che i tifosi non vedono l’ora di festeggiare una vittoria di un corridore italiano del Team Sky, quest’anno».

- Nella vostra meeting room ho letto l'acronimo MVOST, che sta per Mission, Vision, Objectives, Strategies & Tactics. Che cosa significa, nel dettaglio?
«Come in qualsiasi attività, c’è bisogno di uno scopo, di una visione generale, perché tutto funzioni. E anche nel ciclismo è così. Siamo partiti con enormi obiettivi e li abbiamo raggiunti. Ma noi adoriamo questo sport, è la nostra passione. E tutti quelli che ne sono coinvolti hanno ben chiaro come dobbiamo passare dalla mission iniziale alla strategie per ottenere le prestazioni necessarie a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi.
Vogliamo mantenere la leadership in questo sport e rendere il ciclismo sempre più credibile, e partendo da questo giù giù fino a scendere sul piano tattico delle gare, a come programmare ogni corsa, la stagione. Ad arrivarci con il giusto allenamento. Curare tutti gli aspetti che riguardano o non riguardano la prestazione.
Alla fine, però, al di sopra di tutto deve esserci una visione più generale, che vada al di là del vincere o perdere. Non si tratta solo di vincere il Tour de France o il Giro d’Italia, ma di qualcosa di più grande. Ed è per questo che lavoriamo».

- Chi lo vince il Tour de France?
«Non saprei dire quali saranno i favoriti per il prossimo Tour de France. Quello che so è che saremo competitivi per vincerlo. E che saremo pronti per ottenere le migliori prestazioni per riuscirci».

- Bradley Wiggins che rinnova ma solo fino alla Roubaix. Avete perso Cavendish, Uran Uran e Boasson-Hagen. Non è che al Team Sky non sapete gestire i big?
«No, non sono d’accordo con chi ci dice che il Team Sky abbia problemi coi grossi nomi. Bradley Wiggins è stato il primo britannico a vincere il Tour de France, Chris Froome lo ha vinto l’anno dopo. Bradley ha vinto il mondiale a cronometro nel 2014. E ora vogliamo concentrarci per puntare a vincere anche le classiche. Quindi no, la realtà è che semmai è vero il contrario. Mark Cavendish è arrivato al Team Sky nel momento in cui noi puntavamo a vincere il Tour de France e non la maglia verde di leader degli sprint. Quindi non era un problema di personalità ingombranti, quanto piuttosto di riuscire a conciliare gli obiettivi con le persone giuste che sono state scelte per raggiungerli.
Abbiamo tanti campioni in questa squadra, corridori di grandissimo talento e insieme stiamo facendo cose fantastiche.
Tutti vorrebbero vincere le grandi corse, e correre i tre grandi Giri nella stessa stagione. Sarebbe un grande spettacolo per i tifosi. Tutti vogliono vedere un grande spettacolo, le grandi corse, i grandi campioni che si sfidano fino all’ultima salita. A chi non piacerebbe? Ma per riuscirci serve una grande squadra e bisogna trovare il modo giusto di costruirla». 

- Ma al Giro d'Italia il Team Sky ci verrà per vincerlo?
«Il Giro continua a crescere, è una grande corsa, di enorme tradizione. E abbiamo una gran voglia di vincerlo, questo è sicuro».
CHRISTIAN GIORDANO, Sky Sport

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