HOOPS MEMORIES - Finale NCAA '82, UNC vs. G'town: La Legge non è uguale per tutti
di CHRISTIAN GIORDANO
A North Carolina vige una Legge non scritta: le matricole vedono il campo poco e sgobbano molto. Dean Smith ci costruirà ua dinastia, ma per vincere il suo primo titolo NCAA farà un’eccezione. Per un debuttante molto particolare: Michael Jordan, 13.5 punti, 4.3 rimbalzi, 1.7 assist e 1.2 palle rubate di media in 34 partite nella stagione 1981-82; Rookie of the Year della Atlantic Coast Conference e terzo Tar Heel titolare da freshman nella storia, ma niente di più lontano dall’icona sportiva che sarebbe diventato.
Battendo 63-50 North Carolina nella finale del 1981, Indiana ha dato a coach Bobby Knight il secondo titolo in sei anni (per il terzo ne serviranno altrettanti). Il futuro prossimo sembra luminoso per gli Hoosiers, che avendo perso, fra i giocatori-chiave, il solo Tolbert, puntano al bis. Invece, Thomas imita l’amico Magic Johnson scegliendo la NBA dopo aver vinto il titolo da sophomore e prima che la tragedia si abbatta su Landon Turner, rimasto paralizzato da un incidente automobilistico durante la off-season.
Anche UNC è ancora uno squadrone. L’ala Al Wood, senior sulle cui spalle poggiava il peso offensivo, va rimpiazzato, ma nel settore ali James Worthy e Sam Perkins erano stati delle colonne già da sophomore e freshman, e potevano solo crescere.
Nella ACC, i Tar Heels continuano infatti a duellare al vertice con Virginia. Spartitesi le sfide stagionali, le corazzate si ritrovano in finale, decisa da coach Smith congelando i suoi a quattro angoli per l’intera gara (il che accelererà di parecchio l’introduzione pure nel college basketball del cronometro per il tiro). A ovest, ogni trasferta del fenomenale centro Ralph Sampson di Virginia è un evento e rievoca il delirio suscitato dalle UCLA di Lew Alcindor prima e di Bill Walton poi. Ma nelle semifinali dei Regionals, Alabama-Birmingham ne arresta la corsa. Idem accade nel Midwest, dove a un’altra gran regular season la DePaul dell’asso Mark Aguirre fa seguire un’altra clamorosa eliminazione: al secondo turno, da Boston College.
L’interesse dei media è allora catalizzato da Georgetown. A una squadra già forte e guidata da una shooting guard, l’All-American Eric Sleepy Floyd, coach George Thompson ha aggiunto il freshman-rivelazione Patrick Ewing, centrone di 2.12 e apertura alare di 244 cm, che nel look collegiale ha portato una ventata di novità indossando sott la canotta una T-shirt grigia. Le quattro sopravvissute per la Final Four di New Orleans, non a caso, coincidono con la vetta del ranking: North Carolina, Louisville, Houston e Georgetown, che nei primi turni ha soffocato con la difesa Wyoming (51-43) e Fresno State (50-40), prima di disfarsi, nella finale dei West regionals, di Oregon State (69-45), numero 4 del ranking, tirando con il 74.7%, percentuale-record nel Torneo. Louisville schiera quattro quinti della squadra campione nel 1980 – Rodney McCray, Jerry Eaves, Derek Smith e Poncho Wright – accanto alla guardia sophomore Lancaster Gordon. Chiusa sul 20-9 la stagione regolare, i Cardinals si superano eliminando Middle Tennessee State (che a sorpresa ha battuto Kentucky, evitando così il tanto atteso Bluegrass State Showdown), la quotata Minnesota e l’altra rivelazione Alabama-Birmingham.
Entrata a fari spenti nel torneo, Houston conquista presto il pubblico neutrale e gli addetti ai lavori. Il leader dei Cougars è la guardia Rob Williams, che con 21.1 punti per gara fa da chioccia al futuro Phi Slama Jama: l’ala Clyde The Glide Drexler, saltatore mostruoso, il solido Larry Micheaux, il tiratore Michael Young e il centro di riserva Akeem The Dream Olajuwon, 2.08 (scarsi) dalle incredibili doti fisiche ma con qualità cestistiche tutte da rifinire.
Per arrivare a New Orleans, Houston si sbarazza di Alcorn State e Tulsa, ribalta il pronostico contro Missouri (a St. Louis) e spiana Boston College. Nel frattempo i Tar Heels, numero uno del ranking, esordiscono negli East Regionals battendo all’ultimo respiro, 52-50, James Madison al secondo turno, prima di eliminare Alabama (74-69) in semifinale e Villanova (70-60) in finale. Anche le semifinali NCAA sono serratissime. UNC scappa sul 14-0 contro Houston, che poi rimonta fino al -2 dell’intervallo. A decidere è la feroce difesa della guardia senior Jimmy Black su Williams, a secco su azione nel 68-63 Tar Heels. Georgetown-Louisville è un’altra battaglia vinta dalla difesa. Gli Hoyas ne segnano due per tempo più dei Cardinals e la sfangano 50-46.
Il Superdome stipato da una folla-record di 61.612 privilegiati è il palcoscenico ideale per una delle più grandi partite di sempre: Georgetown-UNC, coach John Thompson contro coach Smith, Ewing & Floyd opposti a Worthy&Perkins; più Jordan. Un match, col senno di poi, già storico prima ancora di cominciare. Per tanti motivi. Come suo costume Thompson tiene gli Hoyas lontano dai media. Alla lettera, visto che li fa alloggiare in un hotel di Biloxi, Mississippi, a un centinaio di chilometri da New Orleans. E a chi gli fa notare che è lui il primo coach nero a guidare una squadra alle Finals, ringhia: «Non voglio essere il primo nero in niente». Da parte sua Smith svuota di significati l’aver mancato il titolo nei sei precedenti viaggi (con tre finali) alle Final Four. Ai media allora non pare vero di avere almeno uno contro l’altro gli All-American, Floyd e Worthy, due della stessa cittadina: Gastonia, North Carolina. In quintetto UNC schiera con Perkins centro, Worthy ala e Jordan guardia, gli specialisti Jimmy Black e Matt Doherty. Per GU, con Ewing e Floyd partono dall’inizio lo swingman senior Eric Smith, l’ala forte Micke Hancock e Downtown Fred Brown, point guard al primo anno.
L’avvio è da brividi con Ewing che spazza via tutto ciò che North Carolina gli tira verso il cesto. Per quattro volte alla matricola viene chiamata interferenza a canestro; tradotto: i primi otto punti dei Tar Heels, ma anche una delle più intimidenti giocate difensive nella storia del Torneo. Ewing spedisce ai Talloni Incatramati anche un eloquente messaggio: non pensateci neanche a penetrare; qua nel mezzo, comando io. Infatti, per i primi tredici minuti e mezzo con Ewing in campo, Carolina è incapace di segnare su azione. Sulla sica di quella straordinaria dimostrazione di forza difensiva, gli Hoyas balzano sul +6, ma dopo che UNC rimonta fino al 18-pari nessuno condurrà per più di 4 punti.
Worthy si scalda a metà tempo ma Ewing e Floyd portano gli Hoyas sul 32-31 della pausa. Smith ordina giocate per Worthy lungo la linea di fondo, “sotto” Ewing e appena possibile scarichi sugli esterni per aprire la difesa degli Hoyas, che restano in vantaggio. E quando Floyd sbaglia un layup in contropiede sul 47-43 dei suoi, i Tar Heels accelerano e sorpassano. La gara resta punto a punto, la tensione monta. Jordan firma il +3 (61-58), ma Ewing colpisce in giravolta a meno di 1’ dalla fine. Gli Hoyas riemergono quando Floyd infila un difficile jumper. I Tar Heels portano palla, se la passano sul perimetro e chiamano timeout con 32” rimasti e Georgetown avanti 62-61. La sequenza che segue è tra le più memorabili nella storia del basket di college. Durante l’huddle, il cui copyright gli appartiene, coach Smith dice ai suoi che Georgetown si aspetta che la palla giunga a Perkins o a Worthy, quindi i Tar Heels dovranno sì lavorarla per un buon jumper dalla media.
Solo che a prenderlo sarà Jordan. Non una bensì la matricola. E allora, mentre la squadra rientra sul parquet, il leggendario guru della panchina, mai così vicino al tanto agognato primo titolo, gli sussurra parole destinate ai posteri: «Knock it, Michael» (buttala dentro). Come da istruzioni, i Tar Heels lavorano la palla sul perimetro, fintando passaggi in post basso. E a 17” dall’ultima sirena, Jordan arriva smarcato sull’ala sinistra dell’attacco, riceve il pallone e infila – in faccia a Eric Smith – l’arcuatissimo jumper.
Solo che a prenderlo sarà Jordan. Non una bensì la matricola. E allora, mentre la squadra rientra sul parquet, il leggendario guru della panchina, mai così vicino al tanto agognato primo titolo, gli sussurra parole destinate ai posteri: «Knock it, Michael» (buttala dentro). Come da istruzioni, i Tar Heels lavorano la palla sul perimetro, fintando passaggi in post basso. E a 17” dall’ultima sirena, Jordan arriva smarcato sull’ala sinistra dell’attacco, riceve il pallone e infila – in faccia a Eric Smith – l’arcuatissimo jumper.
Senza esitare né considerare l’idea di un timeout, Georgetown effettua subito la rimessa e porta palla in avanti per l’ultimo tiro. Quello del titolo. Brown supera la metà campo, raccoglie il palleggio e cerca il suo Smith, ma il compagno sta tagliando verso il canestro, mentre Worthy fraintendendo le intenzioni di Brown, gli balza alle spalle e proprio sulla linea di passaggio. E in una delle più memorabili gaffe nella storia del basket, Brown consegna a Worthy la palla che vale il campionato. L’ala palleggia arretrando fino all’angolo, dove viene chiuso e subisce fallo. A 2” dalla fine. Worthy – Most Outstanding Player del torneo – sbaglia entrambi i liberi, ma Georgetown non riesce più a tirare. Per UNC e tifosi esplode la festa, mentre coach Thompson consola Brown. Nel modo più improbabile, coach Smith e i Tar Heels sono campioni NCAA.
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