Maestri di calcio, e di Storia


Christian Giordano
MAESTRI DI CALCIO - I grandi allenatori stranieri
© Rainbow Sports Books - kindle - 9,90 euro


La rubrica “Maestri di calcio: i grandi allenatori stranieri” fu una felice intuizione del Guerin Sportivo, dove all’epoca lavoravo come sostituzione estiva per coprire le ferie dei pochi, pochissimi redattori assunti.

Il direttore era Andrea Aloi, mente finissima che, per sua stessa ammissione, il tifo obnubilava quando scendeva in campo la Juventus. Finita la partita, fine del blackout. Ovviamente bianconero.

Per il resto, chapeau bas per classe e cultura. E fiducia nel sottoscritto. «Christian, tu sei un eversore», il suo miglior ancorché involontario complimento. Questi ritratti li devo quindi a lui, e al suo successore Matteo Marani, che molte lune dopo mi avrebbe raggiunto - e diretto - a Sky Sport 24.

Sono storie di uomini di campo e di Storia più che ancora di solo calcio, Inevitabilmente (forse troppo) eurocentriche, e che attraversano il Novecento, il secolo del fotball. Si spazia dagli anni Trenta ai giorni nostri, con un’unica, grande linea di demarcazione e rarissime eccezioni: i grandi allenatori stranieri che non abbiano allenato in Italia, se non in fuggevoli e non gloriosissime parentesi. Ecco, quindi, perché sì Béla Guttmann, César Luis Menotti e Bora Milutinović, e non Helenio Herrera, Alex Ferguson, Pep Guardiola e José Mourinho, tanto per far nomi illustri.

È una selezione fatta per epoche, vicende storiche, aree geografiche, idee tattiche. 

Non ha pretesa di completezza né di esausitività, e tantissimi allenatori più o meno grandi meriterebbero di starci: quelli mai visti a queste latitudini (il foltissimo clan degli scozzesi da Willie Maley e Alex Ferguson in giù, gli olandesi Louis van Gaal e Dick Advocaat, i tedeschi Hennes Weisweiler, Ottmar Hitzfeld e Jupp Heynckes, gli inglesi Bill Nicholson e Bob Paisley, il pioniere austriaco Hugo Meisl, le generazioni di sudamericani da Mario Zagallo a Carlos Alberto Parreira, da Marcelo Bielsa a Gerardo Martino, da Manuel Pellegrini a Jorge Jesús, da Reinaldo Rueda a Luis Alberto Cubilla, da Edgardo Bauza a Oswaldo de Oliveira e si potrebbe continuare); e quelli che sarebbe stato meglio rivederli, magari in altre piazze (dal “Maestro” Óscar Washington Tabárez a Carlos “el Virrey” Bianchi, tanto per dire).

Ecco allora che, in ordine alfabetico, si snocciolano le vite e le imprese di autentici, e fra i più disparati, guru del calcio mondiale. Non sempre e necessariamente eccellenti motivatori, tattici o innovatori ma tutti, questo sì, in grado di lasciare un segno – indelebile – nel calcio. E ben oltre i risultati.

Il calcio felice di Albert Batteux e del suo “Grand Reims” a cinque stelle. 

Il Sistema anti-metodista di Herbert Chapman. 

Il cuore verde-smeraldo di Jack Charlton, un Englishman cittadino onorario d’Irlanda. 

Il Brain Power di Clough al Nottingham Forest, asceso – in tre anni – dalla promozione in First Division al titolo e a due Coppe dei Campioni in fila. 

Il Cruijff due volte profeta della rivoluzione arancione. 

La paciosità felice e vittoriosa di Feola. 

La Science esatta di Raymond Goethals. 

La Maledizione di Béla Guttmann, avvelenatissimo ex, al Benfica. 

Il tiranno Ernst Happel bestia nera del calcio italiano. 

La meteora Artur Jorge di un Porto speciale ben prima di José Mourinho e André Villas-Boas. 

Il re Udo Lattek, il vincente che faceva ombra a Franz Beckenbauer. 

Il futuristico laboratorio del colonnello Lobanovski. 

Lo slow foot del filosofo cafetero Francisco Maturana, l’Arrigo Sacchi del 4-2-2-2. 

Il Flaco argentino César Luis Menotti, l’esteta che alla Junta militare regalò il Mondiale che non si poteva perdere, ma non il 17-enne Diego Armando Maradona. 

Il generale Rinus Michels, ideologo involontario del Calcio Totale. 

Il cosmopolita dei mondiali impossibili Bora Milutinović. 

L’Hombre Real Muñoz delle cinque Coppecampioni merengue in fila. 

Karl Rappan, l’austriaco che inventò il Verrou, antesignano svizzero dell’italicissimo Catenaccio. 

Il pragmatismo teutonico di König Otto Rehhagel, sovrano dell’unica Grecia regina d’Europa. 

L’eterno Monsieur Roux all’Auxerre. 

Il corsaro rosso João Saldanha cui la dittatura Médici sfilò il Brasile dei cinque numeri dieci prima del mondiale già vinto. 

L’uomo del sogno Gusztáv Sebes (o meglio, Sebes Gusztáv), spazzato via come la Aranycsapat, la Squadra d’oro, dai carri armati sovietici a Budapest 1956. 

Il primo Liverpool europeo di Bill Shankly, l’idolo della Kop. 

I Lisbon Lions di Jock Stein, l’ultimo Immortale, che nel 1967 chiuse l’epopea della grande Inter herreriana con un Celtic nato tutto a Glasgow e dintorni. 

Arsène Wenger che in vent’anni di Arsenal con una mano ha sempre difeso la gloriosa tradizione del calcio inglese e con l’altra, nel bene e nel male, s’è prodigato a picconarla, traghettandola nel nuovo millennio.

Come bonus track, il manager playboy “Big Mal” Allison; la schiena dritta per destino del santone paulista Oswaldo Brandão; il requiem per un promesso grande (?) allenatore, Tito Vilanova, l’amico di Pep capace di far chiedere scusa a Mou.

Ventotto uomini straordinari come i tempi che hanno attraversato, cambiandoli per sempre.

Maestri di calcio, e di Storia.

CHRISTIAN GIORDANO

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