HOOPS MEMORIES - The Shot, ogni santo giorno



The Shot
Non ne potete più dell’etichetta - appiccicata ad almeno tre Tiri del solo Michael Jordan (valsi il titolo NCAA 1982 con North Carolina, il perenne highlight sul povero Craig Ehlo dei Cleveland Cavaliers nel 1988, il sesto e ultimo anello dei Chicago Bulls, a 6.6" dalla fine nel 1998)? 
Figuratevi Keith Smart, che da trent’anni se la sente nominare ogni santo giorno.

The Shot, nell’Indiana, è il suo: il jumper scagliato a 5” dalla fine dai quattro-cinque metri, quasi dalla linea di fondo di sinistra, che valse alla Indiana University la vittoria per 74-73 su Syracuse nella finale nazionale di New Orleans, in Louisiana. Era il 30 marzo 1987. 

Smart dice che la gente ancora lo riconosce. Per quel tiro, però, e non perché oggi, nella NBA, è assistente allenatore ai Golden State Warriors dopo esserlo stato dei Cleveland Cavaliers, che il 20 gennaio 2003 lo promossero ad interim head coach (9-31 il bilancio) al posto dell’esonerato John Lucas. «Sono orgoglioso che quel tiro sia andato dentro - dichiarò a USA Today nel ventennale - e ogni volta che entro in un palazzetto qualcuno mi ricorda dov’era e cosa faceva allora. Ma parlarne non mi dispiace».

Neanche agli abitanti dello “Hoosier State”, che ricordano bene quella edizione di IU. Nell’Indiana il “Mr Basketball” dell’epoca era Steve Alford, uno dei più celebri liceali nella storia di quello Stato pazzo per il basket. Quando decise di frequentare il campus di Bloomington, i tifosi degli Hoosiers cullavano sogni di titolo. Ma a vincerlo fu uno sconosciuto transfer di junior college mai reclutato una volta finita la high school, in Louisiana, eppure capace di infilare 12 degli ultimi 15 punti di Indiana nella finale. Compresi i due che, a cinque secondi dall’ultima sirena, valsero a coach Bobby Knight il suo terzo titolo NCAA e a Indiana il quinto della storia.

Knight aveva cominciato ad accettare “JuCo transfer” appena due anni addietro, quando oltre a Smart si era assicurato Dean Garrett, centro di 2.07, che avrebbe fornito agli Hoosiers un buon numero di stoppate prima di fare altrettanto nella lunga carriera da pro nella NBA (Minnesota, due volte, Denver e Golden State) e in Europa. Smart invece complementava con rapidità e penetrazioni le brillanti doti al tiro di Alford.

Smart era un classico late bloomer. Junior di appena 1,61, il ragazzo nato il 21 settembre 1964 a Baton Rouge, in Louisiana, crebbe fino a 1.74 nell’anno senior, ma un polso rotto lo tenne lontano dalle mire dei reclutatori di college. «Avevo la “testa”, ma non il fisico», dice oggi. Così, terminato il liceo, trascorse un anno a lavorare da McDonald’s, giocando nei campetti della città. Intanto la statura si era assestata sull’1,82. Il coach del Garden City Community College, nel Kansas, gli concesse un provino e lo prese. Dopo due stagioni, Knight se lo portò a Indiana.

Ma per gli Hoosiers, numero uno del ranking, la strada verso la finale non fu in discesa. Nei Midwest regionals, il primo turno fu una passeggiata (92-58 su Fairfield), ma nel secondo, contro Auburn, erano sotto di 14 punti prima di maramaldeggiare per 107-90; entrati nelle Sweet Sixteen, batterono 88-82 Duke e in finale, contro Louisiana State, nella ripresa riemersero dal -12 prima di vincere la Elite Eight (77-76) con un canestro di Rick Calloway. Nella semifinale nazionale, contro i Runnin’ Rebels di UNLV, gli Hoosiers la spuntarono a fatica (97-93) e nell’ultimo atto avrebbero dovuto vedersela contro Syracuse, alla prima finale NCAA.

L’intento di coach Jim Boeheim era fermare Alford, due volte All-American e capocannoniere di Indiana. Gli Orangemen impiegarono varie difese, compresa la box-and-one con l’1.94 Howard Triche in marcatura sull’1.87 Alford, ma la stella di IU riuscì lo stesso a liberarsi al tiro e a inchiodare quattro triple su cinque tentativi per arrivare all’intervallo con i suoi avanti 34-33.

Alford, autore di un game-high di 23 punti, ne infilò altre tre nel secondo tempo prima che Syracuse riuscisse a prendergli le misure tanto da tenerlo senza segnare negli ultimi 4 minuti. Ma come spesso succede, quando la difesa si concentra troppo su un avversario, corre serissimi rischi contro qualcun altro. Nella fattispecie Smart, che al Superdome era di casa.

Nella ripresa segnò 17 dei suoi 21 punti totali infilando a ripetizione dei sottomano o dei jumper dalla corta distanza. Dopo che un tiro libero di Triche portò Syracuse avanti 73-70 a 38” dalla fine, Smart portò palla e segnò in sospensione da sotto. Sulla successiva rimessa, Smart fece subito fallo su Derrick Coleman, fermando il cronometro sui 28”. 

Coleman, freshman con un futuro da All-American al college e di problematica, discontinua stella nella NBA, andò in uno-contro-uno ma sbagliò, Indiana prese il rimbalzo e optò per il più classico dei motion offense. Smart portò palla oltre la linea di metà campo, cercò Alford, che però era marcato, allora servì in post Daryl Thomas. 

Mentre Coleman e Triche convergevano sul senior, Thomas restituì la boccia a Smart che stava tagliando a sinistra verso la linea di fondo: il resto è storia. Anche perché gli Orangemen, ormai in confusione, sbagliarono la rimessa, sulla quale l’MVP Smart si gettò per l’ultimo recupero di una gara da ricordare. 
Ogni santo giorno.

 CHRISTIAN GIORDANO

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