American dreamz: sogni e idoli perduti dei playground USA


Tipoff - Introduzione

di Christian Giordano © - Rainbow Sports Books ©

Di essere sulla strada giusta, di volere davvero questo libro, l’ho capito dopo averlo scritto, consegnando le bozze a certi mammasantissima del giornalismo sportivo italiano: non gliene fregava niente. A nessuno.

Difficile dar loro torto.

Avevo raccolto storie di perdenti. Gente che nei pro’ non solo non aveva sfondato, ma nemmeno c’era arrivata. E se sì, per il tempo d’un contropiede. L’ennesimo in vite consumate nel ghetto, nella violenza, nella miseria troppo spesso nera delle metropoli USA.

Ma più ne sapevo, più mi appassionavo a vicende e personaggi che poi avrei raccontato su American Superbasket nella rubrica “Lost Souls”.

Anime perdute, oltre che talenti persi, per strada. Alla lettera.

Il complimento più bello me lo fece una volta Claudio Limardi, all’epoca caporedattore e in seguito direttore, ora come allora mai incline a facili elogi. Ai miei dubbi sull’opportunità di continuare a parlare di campioni solo potenziali, delinquenti reali o semplici emarginati, falliti, sfortunati, chissà quanto pentiti o consapevoli della grande occasione mancata, mi stoppò subito con un pinning dei suoi, da city rep: «Culturalmente, di gran lunga la parte migliore del giornale».

Parole che non ho dimenticato, e non solo perché Claudio quasi mai risponde alle e-mail, figuriamoci ai messaggi o al telefono.

Così ho continuato. Per due anni.

Poi ho chiesto comunque di smettere, per non ripetermi e per non scadere nei cliché. Quelle storie, anche le più tragiche, erano tali per la loro unicità. Non meritavano generalizzazioni.

“The Animal” Adams in galera per omicidio.

Come “Big Stretch” Elting, sparito da Facebook dopo che mi aveva chiesto di aiutarlo a scrivere la sua autobiografia e promesso una sua foto in campo. Mai arrivata.

“Swee’Pea” Daniels “sparato” davanti a casa per droga, “Fly” Williams in strada per soldi e Benji Wilson a due passi da scuola per niente.

Ray Lew che faceva piovere, e “Black Jack” Ryan tiratore puro come acqua di fonte.

L’anima nera quanto la magia di “Black Magic” Lloyd a Philly e la fame di “Kid” Harris a Chicago, “Radar” Allen in Florida, Wingo a Bed-Stuy, poi addirittura ai Knicks e persino da noi a Cantù.

La grande speranza bianca “White Jesus” Rieser, ieri sacerdote della schiacciata, oggi predicatore di fede.

Quasi come Space, uscito dalla droga con la forza della Bibbia.

La testa disabitata di Curry, il Vietnam saltato da “Jumpin’ Jackie” Jackson ma fatale a Pablo Robertson, il crac al ginocchio di Ramsey, il tragico schianto di “Helicopter” Knowings.

Il background gangsta di “Destroyer” Hammond, “Pee Wee” Kirkland, “Shake & Bake” Streety, “Speedy” Williams, “Skip” Wise.

God Shammgod che per la patria era “Dio” e per la famiglia giocava in Cina.

“Legend” Rogers che mai avrebbe lasciato il sud e il tradizionale gumbo cucinato dalla mamma.

“Sad Eye” Watson felice solo in cortile.

Il destino nel nome del padre per “Baby Sunshine” Doyle e del figlio per “Terminator” Matthias.

Il “segreto meglio nascosto” Reid e quello svelato troppo presto di “Pace” Fields.

Nunn che pur di entrare nei pro ha fatto l’arbitro e “Mr. Everything” Staggers che per giocarci aveva tutto e non ha fatto niente.

“Hook” Mitchell che balzava sulla luna, ma non sapeva giocare.

Come “Money” Mondane, cash in banca da casa sua, bond argentino in layup.

E forse il più grande, Earl “Goat” Manigault, che col pallone poteva fare tutto tranne autografarlo.

In appendice, “Ci sono anche loro”: brevi ritratti di altri idoli del playground che non ce l’hanno fatta epperò meritavano di essere raccontati.

Se queste storie insegneranno qualcosa, come è successo a me nel raccontarle, sarà un’ulteriore conferma – se mai ve ne fosse bisogno – che la strada era quella giusta. Alla faccia dei mammasantissima.

Buona lettura.

Christian Giordano
10 gennaio 2023

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