Febbre a 70... mila
COME UNA FINALE DI CHAMPIONS CONNECTICUT RE DEI COLLEGE
Tutto esaurito a Houston: gli Huskies col quinto trionfo eguagliano Duke e Indiana È la squadra di Napier, play di Milano, che nel 2014 vinse da MVP
La follia di marzo Nel torneo che ha eliminato tutte le teste di serie, domina la più forte delle quattro
di Paolo Bartezzaghi
La Gazzetta dello Sport - 5 apr 2023
Le sorprese e tutta la follia si sono esaurite a marzo. La Final Four di aprile ha eletto la più forte delle quattro squadre che sono arrivate in fondo alla “March Madness”, la follia di marzo in cui il torneo universitario ha stravolto ancora più pronostici del solito. Ha vinto Connecticut, l’unica delle quattro ad avere esperienza di Final Four. E l’unica che ha rispettato, almeno ad aprile, i pronostici di un torneo che ha eliminato tutte le prime tre teste di serie delle quattro parti in cui si divide il tabellone.
Al primo turno una delle numero 1, Purdue, è stata mandata a casa dall’improbabile Fairleigh Dickinson in uno dei risultati più sorprendenti della storia. Anche perché ha fatto sì che, pronti-via, nessuno dei milioni di bracket, i tabelloni con i pronostici compilati negli Stati Uniti e non solo, potesse essere azzeccato al cento per cento. È il fascino di un torneo a eliminazione diretta, in un mondo dello sport dove le partite “secche” sono sempre meno e quindi sempre più affascinanti.
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Quinta volta
Lo Nrg Stadium di Houston, dove giocano i Texans di football, era ovviamente pieno. Succede sempre per le Final Four a prescindere da dove si giochi e da chi le giochi. Davanti a 72.423 spettatori,
Connecticut ha battuto San Diego State 76-59. Nelle semifinali erano usciti due college della Florida, Miami e Florida Atlantic. Gli Huskies, nomignolo di Connecticut, hanno vinto le sei partite del torneo di oltre 10 punti e con una media di 20. E hanno conquistato il quinto titolo della loro storia. Una storia recente per i risultati cestistici maschili: i 5 successi sono arrivati dal 1999 in poi e senza mai perdere una finale. Il numero di titoli proietta il college di Storrs in un’élite della pallacanestro universitaria statunitense, alla pari di Duke e Indiana. Più in alto si entra nell’Olimpo: 11 di Ucla (come la Connecticut femminile di Geno Auriemma), 8 di Kentucky e 6 di North Carolina.
Gli ex
L’ultima volta che gli Huskies vinsero il torneo è stata nel 2014. Ad Arlington (Texas) batterono Michigan State e il premio di miglior giocatore andò a Shabazz Napier, il playmaker ora a Milano. Ieri Napier ha preferito non parlare per lasciare che i meriti e i riflettori fossero tutti per la squadra di oggi. «Abbiamo il sangue blu? Gli orsi la fanno nei boschi? Certo che abbiamo il sangue blu», ha spiegato in modo anche più esplicito su Twitter aggiungendo: «Sì, ho vinto il mio bracket».
A Houston c’erano anche altri ex Huskies che hanno fatto la storia non solo del college: Ray Allen, campione Nba con Boston e Miami di cui Connecticut ha ritirato la maglia numero 34; Emeka Okafor, campione nel 2004 e seconda scelta Nba pochi mesi dopo; Kemba Walker, miglior giocatore delle finali vinte nel 2011 e quattro volte All Star, vestito con maglia UConn e cinque anelli alle dita come i cinque titoli del college. Testimonianze, queste, di quanto profondo sia il legame di appartenenza dei giocatori con le proprie università.
Chi c’era ma per ragioni di famiglia è Bill Murray. Il 72enne attore, tra gli altri anche in “Space Jam” con Michael Jordan nel 1996, è il padre di Luke, dal 2021 assistente di Dan Hurley, allenatore della squadra campione. Murray padre con il college ha una storia da film.
Nel 1970 lasciò la Regis University di Denver, dove studiava medicina, per possesso di marijuana. Gliela trovarono degli agenti che lo perquisirono all’aeroporto quando sentirono il 20enne Bill scherzare con un amico: «Sai, ho due bombe nella valigia». Nel 2007 ricevette la laurea honoris causa dallo stesso college e andò a ritirarla in calzoncini corti da pigiama dalle mani del presidente, reverendo Michael Sheeran.
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