Addio Neeskens - Eroe dell’Olanda e del calcio totale
Si è spento a 73 anni uno degli alfieri di Michels con l’Ajax e gli Orange Compagno di Cruijff (che seguì poi al Barça) per tutti lui era Johan II
Johan Neeskens, simbolo con Johan Cruijff del calcio totale dell’Ajax e dell’Olanda dei primi anni Settanta, si è spento domenica a 73 anni. Lo ha annunciato ieri la federazione olandese: «Con Johan Neeskens, il mondo del calcio olandese e internazionale ha perso una leggenda». Neeskens ha fatto parte dell’Ajax che ha vinto tre Coppe dei Campioni consecutive (1971, 1972 e 1973) ed è stato anche giocatore della nazionale olandese che ha raggiunto la finale dei Mondiali nel 1974 e nel 1978. In tutto ha vestito la maglia dell’Olanda per 49 volte. Dopo la carriera di giocatore, Neeskens si è dedicato all’attività di allenatore, in particolare nei paesi in via di sviluppo. È stato, ricorda la federcalcio olandese, «un cittadino del mondo e un padre amorevole, orgoglioso dei suoi figli e nipoti e che, fino alla fine, ha “toccato” gli altri con il suo amore per il calcio».
Da terzino sinistro a laterale, mezzala, incontrista E poi rifinitore e goleador: tosto, affamato, inquieto, si consacrò nel Mondiale in Germania del ’74 e in quella epica finale persa contro Beckenbauer Giocò con Chinaglia nei Cosmos
Sbucava dalla tana e dava il segnale di attaccare la palla Aveva i tempi giusti
Tatticamente un versatile: da noi il suo “messaggio” lo ereditò Tardelli
8 Oct 2024 - Corriere dello Sport
di Roberto Beccantini
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Con la scomparsa di Johan Neeskens il calcio perde il simbolo di un passato che diventò futuro anche per merito suo. Aveva 73 anni. Ci ha accompagnato, ci ha stupito; e se non proprio noi, ha reso migliori i nostri sogni. Nacque ad Heemstede, cittadina di 25 mila abitanti dell’Olanda settentrionale, bagnata dal fiume Spaarne e illustrata da una squadra, il Racing Club Heemstede, che ebbe l’onore di battezzarne stile e stiletto. Lui, che come molti ragazzi «rischiò» di darsi al baseball, sport tra i più popolari del Paese. E invece no. Sterzò. Scelse il calcio. A 16 anni debutta nel Racing Club di Heemstede, un paio di stagioni e via. All’Ajax di Rinus Michels.
E qui la cronaca s’impenna: terzino sinistro poi battitore libero (nell’Under 19) poi laterale, mezzala, incontrista, rifinitore, goleador. Era tosto, affamato, inquieto. Firmò la saga dell’Ajax di Michels e Stefan Kovacs. L’Ajax delle tre Coppe dei Campioni consecutive, 1971-1972-1973. L’Ajax, tanto per rendere l’idea, di Wim Suurbier e Ruud Krol, di Arie Haan e Piet Keizer. E di Cruijff, naturalmente: il «falso nueve» che rendeva vera ogni mossa, ogni giocata.
CALCIO TOTALE. Fenomeno tra fenomeni, con l’elmetto di un tedesco, la garra di un uruguagio e, nella testa, il concetto del football inculcatogli da Michels. «Totale» e, per i tempi che correvano, tempi di made in Italy, di catenaccio e contropiede, di Milan-Ajax 4-1 (1969, una stagione prima della sua epifania), rivoluzionario. L’onda lunga del Sessantotto aveva investito i fragili scogli dell’ordine vecchio; le biciclette dei Provos, i provocatori, titillavano la voglia di andare oltre, non importa come, non importa quando. Al diavolo, i piani quinquennali. Subito, se possibile. Lo fu.
L’Ajax e l’Olanda. L’abolizione del posto fisso, la fisicità come perno della tecnica, il pressing come arma d’invasione, lo spazio da allargare e lo spazio da soffocare. Neeskens ci sguazza. Con quei boccoli un po’ così, americaneggianti, il sorriso da finto buono e i tacchetti da sceriffo-bandito in base ai copioni, alle esigenze e, perché no, alle lune. Fallo tattico e fuorigioco assursero ben presto al rango di dispositivi cruciali e micidiali. Neeskens ne era polpa ossessiva e compulsiva: sbucava dalla tana, avanzava e, con Haan, dava il segnale di attaccare la palla (viene in mente il «taca la bala» di herreriana dottrina).
“RAMBICO”.
Ma era in fase di possesso che Johan toccava i picchi più alti: dotato di un atletismo «rambico» e di un timing straordinario - nei tackle, nelle incursioni, negli inserimenti - il batavo è stato forse il primo «shadow striker» della storia (attaccante ombra, da «l’Ultimo uomo»). Cruijff arretrava e liberava l’area; Neeskens si buttava dentro, sfruttando tecnica, potenza, corsa.
Secondo al Mondiale del 1974, nella Germania dell’Ovest, con Michels ct. E ancora secondo al Mondiale del 1978, in Argentina, con Ernst Happel. È soprattutto all’edizione tedesca che dobbiamo la sua consacrazione, ammesso che ce ne fosse bisogno. Cannoniere della Nazionale orange con 5 reti, trasformò il rigore-lampo che, al culmine di un romantico e romanzesco tiki-taka, aveva indotto Uli Hoeness, ubriaco, a zompare su Cruijff. A scanso di equivoci, Neeskens era Johan II, Giovanni secondo, dal momento che sul primo non si potevano nutrire dubbi o pretese. Occhio, però: nessuno era Don Chischiotte, nessuno era Sancho Panza. E i mulini, dalle loro parti, davano da vivere, non solo sa scrivere.
Lo seguì a Barcellona, dopodiché si arruolò nei Cosmos di New York, in una compagnia di giro che comprendeva Carlos Alberto, Franz Beckenbauer, Giorgione Chinaglia. Vinse pure lì. Tornò in Olanda (Groningen), ritornò negli USA (Kansas City Comets e Fort Lauderdale Suns). Ci provò da allenatore, ma non era tagliato: vice di molti (di Guus Hiddink alla guida di Olanda e Australia; di Frank Rijkaard al Barcellona e al Galatasaray) e amen.
Numero 13, Neeskens. Numero 14, Cruijff. Non si può non riesumare l’epilogo del Mondiale ‘74, inaugurato da un penalty e suggellato dal 2-1 dei panzer (ma Kaiser Franz un panzer non era). Quella Olanda lì affianca l’Ungheria del ’54 - battuta anch’essa dalla Germania a Berna, in finale - a conferma di come e quanto, a volte, i secondi possano essere primi: nella memoria, se non proprio sul podio.
Il suo messaggio continua a decorare le lavagne, travolto da imitazioni ora letterali ora letterarie capaci di minare e ridurre la nobiltà dell’eclettismo a un «genericume» e a una scopiazzatura di banale cabotaggio. In Italia, venne raccolto da Marco Tardelli, il più versatile di una generazione che Enzo Bearzot aveva invitato a confondere, in campo, la casa con l’ufficio, i ruoli con le funzioni.
Sono passati 50 anni dalla omerica battaglia di Monaco. Si trovava in Algeria, Johan Neeskens. Lo aspetta il suo «capo», di cui fu complice e sentinella, giammai vassallo.
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