L’eroe totale dell’Olanda, con Cruijff cambiò il calcio
L’UOMO DI FIDUCIA DEL GRANDE CRUIJFF
INSIEME NEL MITO TRA AJAX E OLANDA
Se ne è andato l’“altro” Johan, centrocampista che sapeva fare tutto e che aveva un feeling speciale con il Profeta del gol
8 Oct 2024 - La Gazzetta dello Sport
di Sebastiano Vernazza
"Con grande tristezza abbiamo appreso della morte inaspettata di Neeskens.
Johan è stato uno dei nostri più grandi"
"Da bambino era il mio grande idolo e quando giocavo per strada, volevo essere lui.
Abbiamo pure giocato contro"
"Siamo profondamente rattristati dalla notizia della sua scomparsa.
I nostri pensieri sono con la sua famiglia
LE QUALITÀ
Era un giocatore che teneva insieme la squadra, organizzava, dettava i tempi e i modi del pressing
LA LEZIONE DEL '74
Il match della seconda fase col Brasile la gara più iconica:
i sudamericani picchiano, i due “Giovanni” fanno i gol
Se n’è andato l’ultimo dei due Giovanni del calcio olandese, Johan Neeskens. In Spagna, al Barcellona, lo chiamavano “Johan Segundo” per distinguerlo da Johan Cruijff, volato via nel 2016 a 68 anni. Tra Ajax, Olanda e Barcellona, sotto la guida dell’allenatore Rinus Michels, detto il Generale, i due Giovanni modernizzarono il gioco, liberarono il pallone dalle tattiche delle caverne, lo colorarono di arancione e lo resero totale, nel senso che tutti dovevano fare tutto, attaccare e difendere. Neeskens è morto domenica a 73 anni in Algeria. Era in Nord Africa come formatore di istruttori e allenatori per conto della KNVB, la federcalcio d’Olanda, che ha dato notizia del decesso senza specificarne le cause. Pare sia stato un malore, qualcosa di improvviso, non risulta che Neeskens fosse malato.
Faceva tutto
Nella memoria di chi c’era e c’è ancora, Neeskens è archiviato come un numero 8 tuttofare ed è vero, Giovanni Secondo declinava il ruolo con ogni verbo: correva, difendeva e recuperava, impostava e segnava. Il numero 8 però lo portò poco. Amava il 6 e il 7 e al Mondiale del 1974, nell’allora Germania Ovest, vestiva il 13. Riduttivo ricordarlo come una specie di attendente di Cruijff, come colui che porgeva la palla al Leonardo Da Vinci del calcio. Neeskens teneva insieme la squadra, dettava i tempi e i modi del pressing, organizzava. Cruijff lo sapeva e lo aveva voluto con sé al Barcellona. Giovanni Primo aveva lasciato l’Ajax, dopo tre Coppe dei Campioni vinte, perché, al culmine dei successi, buona parte dello spogliatoio non lo sopportava più, pensava che il gruppo gli fosse superiore. Nell’estate del 1973 gli insofferenti organizzarono il colpo di Stato, chiesero che la nomina del capitano, fin lì scontata, Cruijff e nessun altro, passasse attraverso un’elezione democratica. I congiurati vinsero per 9 voti a 5, la fascia tornò a Keizer (capitano nella Coppa dei Campioni del 1972, ndr). Cruijff, ferito nell’anima, firmò per il Barcellona che lo voleva da tempo. Senza Cruijff, l’Ajax uscì al secondo turno di Coppa dei Campioni, contro il CSKA Sofia.
L’anno successivo, dopo il Mondiale in Germania, Neeskens raggiunse il suo capitano al Barça per ricomporre una coppia sbilanciata solo in apparenza. Sul campo i due Giovanni avevano bisogno l’uno dell’altro. «Neeskens non è il mio gregario né la mia spalla», spiegò Cruijff. Neeskens viveva di vita propria, non di luce riflessa. «Cruijff è stato il più grande di tutti, sapeva che cosa fare prima di chiunque altro», disse un giorno Neeskens. Senza Cruijff il calcio olandese sarebbe stato meno totale.
Quel rigore Il Mondiale del 1974 in Germania Ovest è il campo principale di questa storia. Mezzo secolo fa, milioni di ragazzi presero a tifare in mondovisione per quei giovani con i capelli lunghi e le maglie arancioni. L’ala destra, Johnny Rep, aveva le generalità e le sembianze di una rockstar. Il Comandante Cruijff e i suoi guerriglieri. Una squadra pazzesca, che cambiò i codici del gioco. Neeskens, di base, stava a centrocampo assieme a Jansen e van Hanegem, dietro Cruijff falso nove e falso dieci, libero di andare dappertutto, refrattario ai ruoli, attento alle posizioni e agli interscambi, e se questo dettaglio vi suona attuale, sappiate che tutto viene da lì. Olanda-Brasile 2-0, nella seconda fase, resta forse la partita più iconica dei ribelli oranje del ‘74. Il Brasile campione uscente, senza Pelé, ma con Rivelino, cercò di buttarla in rissa. I brasiliani, in maglia blu, menavano come forsennati, ma gli olandesi uscivano rafforzati da ogni tentativo di azzoppamento. Correvano di più e scappavano via sulle ali di un gioco automatizzato e filante, da qui il soprannome di Arancia Meccanica. Due a zero con reti dei due Giovanni, prima Neeskens e poi Cruijff.
La finale a Monaco di Baviera, contro la Germania Ovest di Beckenbauer, sembrava l’ultimo atto pro forma. Il mondo si aspettava che l’Olanda prendesse il palazzo del Potere e ne ebbe la quasi certezza quando l’Arancia Meccanica, al calcio d’inizio, tenne in scacco i tedeschi con un possesso palla di un minuto e 18 secondi e 16 passaggi, finché Cruijff, lanciato a rete, venne abbattuto in area (da Uli Hoeness, ndr). Sul dischetto andò Neeskens - «Tira i rigori meglio di me», aveva stabilito Cruijff - e Giovanni Secondo con freddezza batté Maier. Pareva tutto scritto, ma i tedeschi dell’Ovest riemersero e vinsero la Coppa con un rigore di Paul Breitner, il “barbudo”, l’unico germanico che si sarebbe incastrato bene in quell’Olanda, e con un gol di Gerd Mueller.
Due denti
Non andò meglio la volta successiva, Argentina ‘78, quando l’Olanda di Neeskens e non più di Cruijff, rimasto a casa, venne sconfitta in finale dalla Selección padrona di casa, complice l’arbitraggio un po’ così dell’italiano Gonella. Una gomitata di Passarella costò a Neeskens la rottura di due denti, ma il VAR non c’era e Passarella neppure venne ammonito. L’Argentina "doveva" vincere e vinse ai supplementari. L’Olanda sconfitta entrò lo stesso nel mito. In cima ai ricordi di quegli Anni Settanta plumbei, e però vivi e colorati, ci sono le maglie arancioni. Germania Ovest e Argentina vengono dopo, nella scala della memoria. I due Giovanni e gli altri, eroi per sempre giovani e belli.
***
IPP - Campioni Da sinistra, Johan Cruijff, scomparso nel 2016, Johan Neeskens, il ct di quell’Olanda Rinus Michels, scomparso nel 2005 e Ruud Krol, 75 anni, ex giocatore anche del Napoli
«Un grande mediano segnava in tutti i modi. Non aveva limiti»
di Antonio Giordano
L’amico all’Ajax e in nazionale: «Che personalità, era di qualità elevatissima in campo e anche fuori»
"Era deciso e si faceva sentire,
non si tirava indietro nei tackle, anzi.
Era l’insegnante, l’ambasciatore,
il protagonista di quell’epoca"
- Ruud Krol su Johan Neeskens
Quando il calcio era (quasi) esclusivamente l’Ajax oppure l’Olanda, nell’immaginario collettivo fiorivano tulipani ovunque, ovviamente arancioni: di quei favolosi anni '70 c’è una traccia che rimarrà, sempre, e che gli esteti, i puristi e i romantici seguiranno.
«Io sono molto triste in questo momento e, si può dire, adesso ci sentiamo tutti assai più poveri». Ruud Krol e Johan Neeskens condivisero un tempo indimenticabile, probabilmente irripetibile, e dal 1970 al 1974 si presero tutto quello che era dovuto a una squadra da sogno, ma soprattutto l’eternità.
► Krol, cos’era per lei Neeskens?
«Il compagno di quelle stagioni, ma anche un amico vero con il quale avevamo il piacere di incontrarci ogni volta che si poteva. Era accaduto a marzo scorso, a Francoforte, ma succedeva assai spesso, come è facile immaginare, a gare delle nazionali, a cerimonie in cui venissero invitati i simboli di quell’Ajax».
► Il ricordo non può attenuarne il dolore, ma almeno tentare di addolcirlo.
«Quella squadra è stata rivoluzionaria, merito di Michels e poi di Kovacs, di due tecnici straordinari e di un gruppo di calciatori che si fusero nel concetto di calcio totale. C’era una qualità elevatissima, dal punto di vista tecnico ma pure umano».
► Neeskens riempiva il campo del suo possente atletismo.
«Oggi si direbbe di lui: è un giocatore “box to box”. Ha anticipato, come gran parte di quegli uomini, un modello di comportamento tattico, è stato incisivo. Era deciso, si faceva sentire eccome, ne avvertivi la presenza anche fisicamente, non si tirava indietro nei tackle, anzi. Aveva una personalità spiccata, dominante. Era un mediano trascinante che non si poneva limiti: poteva fare gol e ne segnava, ma tanti, in qualsiasi modo, di testa, di piedi, attaccando lo spazio. Sapeva sposare le due fasi, te lo trovavi dove sentiva fosse necessario esserci. Diventava un fattore».
► Stupiva per caratteristiche insolite...
«Aveva gamba, copriva in ampiezza e in profondità e poi sentiva la porta come se fosse un attaccante. Basterebbe dare un’occhiata alle sue statistiche. Aggiungeva, poi, una freddezza divenuta esemplare dal dischetto. Che cos’altro avrebbe dovuto o potuto aggiungere a tutto ciò?».
► Sul finire della carriera vi unì, anche, una simile scelta di vita: lasciare l’Europa.
«Lui era andato al Barcellona, con Michels. Poi, quando pure quella esperienza si concluse, volle provare in America. E io, qualche mese dopo che lui era arrivato ai Cosmos, approdai a Vancouver, in Canada, dove restai poco: rimasi affascinato dalla proposta del Napoli».
► L’Olanda è un simbolo che il calcio terrà nella sua memoria.
«Neeskens portava in giro per il mondo ciò che vivrà di quella scuola. Gli piaceva il calcio e lo amava con un sentimento forte che aveva assorbito da ragazzo e che non lo aveva mai abbandonato. Sabato aveva tenuto una lezione in Algeria, dove era andato come rappresentante della Federazione: portava in sé la passione per il gioco, la sua visione, la sua dedizione. Era l’insegnante, l’ambasciatore, il testimone, il protagonista di quell’epoca».
Commenti
Posta un commento