LE ELEZIONI - Sinn Féin, niente exploit si allontana il sogno di riunificare l’Irlanda


TOBY MELVILLE/ REUTERS - Il premier Il leader di Fine Gael, Simon 
Harris, ricopre la carica di “taoiseach” cioè di capo del governo irlandese.

ANTONELLO GUERRERA
La Repubblica - domenica 1/12/2024
Edizione NAZIONALE Pagina 17

LONDRA — « Tiocfaidh ár lá », il nostro giorno arriverà. Ossia la riunificazione dell’Irlanda, prometteva Bobby Sands prima di lasciarsi morire di fame nel 1981. Stessa massima del guru Gerry Adams e dei leader di Sinn Féin succedutigli, fino all’attuale pasionaria Mary Lou McDonald. Invece, dopo le elezioni dell’altroieri nella Repubblica di Irlanda, l’ex braccio politico dei terroristi dell’Ira ha perso un’occasione unica. 

Lo spoglio è ancora in corso per il complicato sistema elettorale irlandese. Ma gli exit poll hanno assegnato circa il 20% ai tre partiti principali, con Sinn Féin in vantaggio (21,1%) rispetto a Fine Gael (21%) del 38enne taoiseach (primo ministro) “star di TikTok” Simon Harris, e a Fianna Fáil del ministro degli Esteri Micheál Martin. Queste due ultime formazioni, entrambe di centro(destra) e figlie della guerra civile del 1922-23, hanno sempre governato l’odierna Irlanda. Ora, è molto probabile che ricompongano la “grande coalizione” di governo uscente. Perché Harris e Martin sono stati netti: «Mai un esecutivo con Sinn Féin!». 

Eppure McDonald e i suoi seguaci cattolici/repubblicani volavano al 35% dei sondaggi fino all’anno scorso. Avessero stravinto anche in Irlanda, avrebbero fatto bingo: due anni fa hanno già clamorosamente conquistato l’Irlanda del Nord con la rampante Michelle O’Neill prima ministra, per la prima volta nella storia dopo il dominio totale di unionisti e protestanti. Non solo: a Belfast, Sinn Féin comanda anche nel Parlamentino di Stormont, e lo scorso luglio a Westminster ha piazzato per la prima volta più parlamentari del massimo partito unionista DUP. 

Conquistare anche Dublino sarebbe stato un incastro rivoluzionario per aizzare la causa di un referendum sulla riunificazione, da tenere sia in Irlanda del Nord che nella Repubblica a sud, che lo Sinn Féin invoca entro il 2030. E che, sebbene Londra abbia diritto di veto, è nero su bianco anche negli Accordi di pace del Venerdì Santo del 1998, «qualora fosse evidente che la maggioranza in Irlanda del Nord voglia abbandonare il Regno Unito». 

Invece lo Sinn Féin, nonostante un acclamato programma di sinistra su welfare e emergenza abitativa, è deragliato sul più bello. Prima una serie di scandali sessuali e pedofilia di alcuni suoi rilevanti rappresentanti. Poi, il boom di immigrazione che ha eroso il consenso del partito avvocato di politiche ultra-accoglienti: l’Irlanda in proporzione ha ammesso più rifugiati ucraini di tutti i Paesi del mondo, ma gli stranieri continuano a giungere anche da altri continenti: 150mila nuovi arrivi nel 2023, record degli ultimi 17 anni, per una popolazione di 5 milioni. 

Fine Gael e Fianna Fáil al governo si ritroveranno pure un clamoroso tesoretto da 25 miliardi di euro, grazie alla maxi-multa dell’Ue ad Apple per aver approfittato di “scappatoie” del regime di tassazione low cost alle imprese (15%), che ha attratto in Irlanda i massimi colossi internazionali e hi-tech. Ma la vittoria di Trump potrebbe essere letale per Dublino, visto che ha promesso di riportare in patria le imprese americane oltreoceano. Insomma, l’isola di smeraldo non solo ora rischia di non riunirsi, ma potrebbe rimanere pure al verde. 

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