Gene Hackman e la moglie: l’ultimo noir di Hollywood
MISTERO SUL DECESSO - L’attore, 95 anni e da 20 assente dalle scene, è morto in casa con la consorte 60enne, trovata in una stanza separata e già in decomposizione
28 Feb 2025 - Il Fatto Quotidiano
Federico Pontiggia @ fpontiggia1
Gene Hackman, l’attore che recitava verità, è morto. Aveva 95 anni, da 20 non compariva più sul grande schermo. Assieme alla moglie, la 63enne pianista Betsy Arakawa e a uno dei tre cani, è stato trovato esanime nella propria casa di Santa Fe, nel New Mexico: il corpo della donna, in una stanza separata, era già in stato di decomposizione, la porta d’ingresso aperta e un flacone di pillole sparso per terra. Sono ancora da chiarire le circostanze del decesso, compresa la prima ipotesi da avvelenamento da monossido di carbonio. Indubbio, viceversa, è il lascito dell’attore: nella Hollywood post-classica, pochi, pochissimi – Redford, De Niro e l’amico Dustin Hoffman gli sono superiori solo per cachet, suvvia – sono stati come lui capaci di duttilità e persistenza, presenza e icasticità, immagine e immaginario.
Due Oscar, da protagonista nel 1972 per Il braccio violento della legge di William Friedkin, da non protagonista nel ’93 quale sceriffo Little Bill Daggett ne Gli spietati di Clint Eastwood: prima, durante e dopo, un talento impositivo, rabbioso o imploso che fosse, così fisico da conficcarsi nella memoria, e prima nelle emozioni, del pubblico. Talvolta fa paura, sempre scomoda lo spettatore sulla poltrona, in virtù di una forza interpretativa devastante. Quando vince per Il braccio, sulla Rivista del Cinematografo Enzo Natta ne prende mirabilmente le misure, che sono dell’agente della narcotici Jimmy “Popeye” Doyle e saranno, mutatis mutandis, della sua intera, formidabile carriera: “Aspetto massiccio e goffo, andatura scimmiesca, cocciutaggine e tenacia nel dovere, fiuto da segugio, istinto animalesco, coraggio e rischio spinti al limite, estrazione popolare, errori pagati di persona. Non si tratta di un Superman (malgrado Gene ne abbia incarnato per quattro volte la nemesi Lex Luthor, ndr), di un divo alla James Bond, ma di un uomo qualunque, di un poliziotto qualunque”.
Già, Hackman è l’uomo qualunque con licenza di straordinarietà: un’ambivalenza che spiazza, conquista, persino annichilisce. Altri gli ufficiali e gentiluomini, lui prima marine, poi studente di giornalismo all’università e a trent’anni allievo della Pasadena Playhouse School non sarà mai affettato e azzimato: senza peraltro rinunciare alla versatilità, dal loser al dirigente può tutto, Hackman è miracolosamente come appare. Umorale, duro, incazzoso, cattivo senza derogare al sense of humour, ci prende e si porta via, oltre ai due Academy Awards, quattro Golden Globes, l’Orso d’argento a Berlino nel 1989 per il federale antirazzista di Mississippi Burning di Alan Parker e i nostri “oooh!” di ammirazione.
Rende ogni parte questione di vita e morte, ovvero di fede nel potere non già imitativo ma trasformativo del cinema: ci sono gli attori, e poi c’è Hackman, bestia finissima e mostro sacro in fieri. Vedere per credere uno dei migliori film della storia della Settima Arte, La conversazione di Francis Ford Coppola, anno di grazia 1974, in cui con ambigua sottigliezza dà corpo e mente al tecnico del suono Harry Caul, inquietante precipitato della paranoia che ormai insidia l'America: spietata per economia di mezzi, magistrale per sottrazione e adesione, è una prova Gen-ial-e.
Gavetta psicofisica da traslocatore, autista e cameriere, l’epifania di successo è con il fratello maggiore altrettanto fuorilegge di Clyde in Gangster Story (1967) di Arthur Penn che gli vale una nomination all’Oscar come non protagonista, e accanto al sequel de Il braccio per la regia di Frankenheimer saranno notevoli le incarnazioni del barbone ne Lo spaventapasseri di Schatzberg, in cui fa a gara di bravura con Al Pacino, e dell’eremita cieco – e chi se lo scorda! – di Frankenstein Junior di Mel Brooks, nonché le concessioni alla malinconia e al disincanto di Stringi i denti e vai! e Bersaglio di notte di Arthur Penn. Incline per stazza e tempra – da Hoosiers (Colpo vincente) a Senza via di scampo, i titoli non mentono – all’azione, Gene per giustapposizione si esalta, sia la Meryl Streep di Cartoline dall’inferno (1990) o il Tom Cruise de Il socio (1993), per contrapposizione si entusiasma, sia Denzel Washington di Allarme rosso (1995) o il Nick Nolte di Sotto tiro.
Anche nelle ultime prove non si risparmia: è il Presidente degli Stati Uniti coinvolto nell’omicidio dell’amante di Potere assoluto (1997), ancora per Eastwood; l’iconico capofamiglia Royal de I Tenenbaum (2001) di Wes Anderson; l’ex Presidente USA ridotto a sindaco di Due candidati per una poltrona, che nel 2004 segna il congedo dalle scene. Un’angioplastica nel ’90, tre romanzi con l’archeologo sottomarino Daniel Lenihan e uno da solo, Payback at Morning Peak del 2011, lascia tre figli, Christopher, Elizabeth e Leslie. Nel 2011 aveva detto a GQ che gli sarebbe piaciuto essere ricordato come un “attore dignitoso”, ovvero “qualcuno che ha cercato di ritrarre ciò che gli è stato dato in modo onesto”: Gene Hackman è stato largamente esaudito.
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