HOOPS MEMORIES - Attimi per una vita
di CHRISTIAN GIORDANO, Hoops Memories
Un attimo, una vita. Concetto pollackiano per antonomasia, se ne esiste uno. L’intera carriera e poi l’esistenza stessa marchiate da un flash, da un istante, da un’idea, da un pallone perso o intercettato: prima ancora che il risultato, è quel momento scritto nel destino – per chi ci crede – dagli astri, o da chi volete voi.
Hoops Memories – Momenti epici di basket americano ne racconta alcuni che hanno segnato, bene o male, la storia della pallacanestro - di strada, liceale, universitaria, professionistica - degli Stati Uniti. E a volte, come per gli Harlem Globetrotters a Berlino nel 1951, pure la Storia tut court. Quella con la maiuscola.
I Beavers precipitati dall’altare dalla prima doppietta NCAA-NIT nella stessa stagione alla polvere, l’anno dopo, del più grande scandalo-scommesse nel college basketball.
L’intuizione di Danny Biasone, il santo patrono della NBA, che ideando, formula compresa, il cronometro dei 24 secondi per il tiro rivitalizzò il basket pro’, ormai a rischio-estinzione a causa del freezing game.
I Dandy Dons di USF con quel Bill Russell che il gioco lo rivoluzionerà in campo e fuori, dove un decennio prima i “pioneri” Nat Clifton, Chuck Cooper e Earl Lloyd erano diventati i Jackie Robinson della NBA. Apripista del vento nuovo dei diritti civili che, a metà anni Sessanta, spazzerà via i Rupp’s Runts di Kentucky, battuti in finale dal primo quintetto nero campione NCAA: i Miners di Texas Western immortalati (anche) nel film Glory Road.
Pure il basket di high school ha avuto la sua sorpresissima: la De Matha che batte la Power Memorial di Lew Alcindor, il fenomeno che poi cambierà le regole del gioco (schiacciata vietata già dal riscaldamento) con i Bruins di John Wooden, il Mago di Westwood che porterà UCLA a dieci titoli NCAA in dodici stagioni; e a una striscia di imbattibilità interrotta nel 1968 dai Cougars di Elvin “Big E” Hayes nella Partita del secolo al mastodontico Astrodome di Houston.
Fra i ricordi epici del basket a stelle e strisce però non ci sono soltanto vittorie e sconfitte, imprese e cadute, canestri decisivi e record battuti, titoli in serie e dinastie mai nate. C’è anche il dramma di due vite, quella quasi spezzata di Rudy Tomjanovich e quella rovinata per sempre di Kermit Washington, legate per l’eternità da The Punch: il più devastante cazzotto mai assestato nel basket pro’.
Sia al college sia nella NBA, hanno fatto epoca anche infortuni altrimenti banali: quello a un occhio per Alcindor ai tempi di UCLA e quello a una caviglia allo stesso centro, divenuto nel frattempo Kareem Abdul-Jabbar, che ai Lakers in Gara6 delle Finali NBA 1980 contro Philadelphia lascerà il posto a Ervin Magic Johnson, alla partita della vita giocando tutti e cinque i ruoli.
In altre finali storiche ci sono stati un paio di The Shot destinati ai posteri: il jumper di Michael Jordan, che da matricola a 17 secondi dalla fine regalò a North Carolina contro Georgetown il titolo NCAA 1982, il primo di coach Dean Smith; poi, un lustro dopo, quello di Keith Smart di Indiana su Syracuse.
E come dimenticare la bimane di Lorenzo Charles, campione NCAA 1983 sulla sirena contro la favoritissima Houston, affondata assieme alla Phi Slama Jama, la confraternita della schiacciata di Drexler, Olajuwon, Micheaux e Young.
Il più memorabile dei duelli è stato la Shootout on Causeway Street fra Larry Bird e Dominique Wilkins, Semifinali di Eastern Conference NBA 1988. Ma anche lo Showdown in Motown fra i Pistons di Isiah Thomas e i Knicks di Bernard King nell’indimenticabile Gara5 di primo turno 1984, non scherza.
The Game per antonomasia dei playoff NBA però è stata un’altra Gara5, quella delle Finali NBA 1976: tre supplementari e il tiro vincente di Gar Heard dei Suns sui Celtics – l’inevitabile «The Shot Heard ’Round the World». Definizione che oltreatlantico associano alle più disparate vicende dell’umanità (dalla Rivoluzione americana all’assassinio dell’Arciduca d’Austria Franz Ferdinand) e adottata, nello sport, un quarto di secolo prima, per il fuoricampo da tre punti con cui Bobby Thomson diede ai New York Giants contro i Brooklyn Dodgers il pennant della National League nel 1951.
La (prima) rapina del secolo, specie in quello ancora più radiofonico che televisivo, è stata l’intercetto di John Havlicek a Chet Walker, carnefice e vittima dell’immortale «Havlicek stole the ball!» sganciato nell’etere da Johnny Most, la roca The Voice dei Boston Celtics, nell’epilogo di gara7 contro Phila nelle Finali della Eastern Conference del 1965.
Più articolato il discorso sulle squadre capaci di segnare un’era: vuoi per una sporadica, effimera estate indiana come la Philly delle One-Year Wondersnel 1967, la Milwaukee di Big Lew & Big O nel 1971, la Portland di Walton nel 1977 che scatenò un’autentica isteria collettiva, la Blazermania, che dura ancora oggi, la Washington del Team Destinynel 1978, persino la Boston della forse Greatest Team Evernel 1986; vuoi per un gruppo così caratterizzato dal loro leader (la Minneapolis dell’èra-Mikan) o da quello avversario (“The Jordan Rules” per gli Original Bad Boysdi Detroit) da costringere la lega stessa, per sopravvivere, a cambiare il proprio regolamento.
Una narrazione a parte la meriterebbero gli heroisms, le prodezze farcite di epica, che tanto piacciono a un Paese tanto giovane quanto eternamente a caccia di “eroi” da idolatrare.
Il sogno azzoppato di Baby Face Isiah Thomas contro i Celtics in Gara6 delle Finali NBA 1988.
Larry Bird, il duro del parquet che su quello sacro e incrociato del Garden, contro Indiana nel primo turno dei playoff 1991, ci mette – alla lettera – la faccia, e quasi ce la lascia.
La leggendaria Flu Game da 38 punti con 38 di febbre di Michael Jordan in Gara5 delle Finali NBA 1997 contro Utah.
La battaglia di El-Amin che realizzò il sogno, ritenuto impossibile, battere Duke nella finale NCAA del 1999: Yes, UConn. Riuscitissimo titolo-parafrasi su una storica cover di Sports Illustrated di uno slogan altrettanto fortunato che un baskettaro chicagoano cresciuto alle Hawaii avrebbe speso, quasi un decennio dopo, in un campo un filino più importante: le Presidenziali USA 2008.
Ce ne sarebbero altri millanta, di Hoops Memories. Perché ogni stagione di basket ne sforna di nuovi. E sempre diversi. Basta saperli cogliere. Attimi, per una vita.
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